Storie del brigantaggio post-unitario nei Picentini (II)
LA LEGGENDA NERA DEL PICENTINO
di Walter Brancaccio
Il Mancusi stranamente denunciò l’inquietante ed oscuro episodio non al Delegato di P.S. di Giffoni come sarebbe stato normale ma al Procuratore del Re in Napoli che informa il Generale Pallavicini, Comandante della Divisione Territoriale di Salerno. Il Generale Pallavicini in una riservata urgente si dice sicuro che il fatto non è mai successo e che non sia “che un raggiro dello stesso inteso unicamente al suo interesse personale, ciò non pertanto disposi per le necessarie misure di sorveglianza, onde scongiurare il pericolo di qualche colpo di mano della predetta banda”.
Il delegato di P.S. di Giffoni Collina dopo aver interrogato il cocchiere fornisce questa spiegazione dei fatti: “…mi persuasi che l’avvenimento era del tutto immaginario, e me persuasi ancora perché sapevo non essere la prima volta che le persone di servizio del Mancusi tutti parenti della donna con cui questi convive usano di tali mezzi per intimidirlo e servire così al loro scopo che è quello di decidere il Mancusi a ritirarsi in Salerno, ove lontano dalla influenza dei parenti e dal consiglio degli amici sperano deciderlo al matrimonio con la concubina, loro congiunta ed assicurare per tale modo a questa e a loro stessi una posizione sicura”. Le forze dell’ordine si sbagliavano e di grosso. Le avvisaglie di un colpo di mano c’erano tutte.
Un documento originale, inedito, che qui trascriviamo,ricostruisce il blitz audace e spettacolare. “…Si era in tale perplessità quando la sera del 27 giugno allo ore 9- 1/2 il Manzi con una banda di circa venti persone armati di fucili, attraversando i boschi e scendendo per le montagne, strisciando inosservati e nel più profondo silenzio per la contrada Tuoppolo a Gaya si introduceva nell’abitato di Giffoni Valle Piana, e attraversando la strada Annunziata, e sbucato nella piazza del Mercato (in realtà Piazza Iacolinupoli nd.r.) piombava improvviso nella bottega di Ermenegildo Cappetta, ghermiva con altri, il Sign.° Giuseppe Mancusi ricchissimo proprietario che colà era uso trattenersi ogni sera, e Giacchino Cerino, i quali esterrefatti, spaurati da quei ceffi minacciosi ed armati, non gridarono, non opposero, e non potevano, veruna resistenza. Tutti gli abitanti del paese, com’è costume dei luoghi situati fra boschi, erano di dentro a riposare dagli immani lavori cui è dedito la gente di Giffoni. I briganti ben diretti, ben guidati avevano fatto un colpo supremamente audace, era meravigliosamente riuscito, era loro venuto alle mani un uomo da cui si aspettavano un riscatto favoloso, un riscatto da arricchire dieci anni. La loro gioia fu sconfinata e si manifestò con grida entusiastiche di “viva il capitano Manzi”, viva con strana ironia il Generale Garibaldi e con lo sparo ripetuto di tutti i fucili che ciò fu mezzo per oltre a tre quarti d’ora lungo il cammino che fecero. Appena i briganti coi ricattati fuggirono dalla bottega del Cappetta, s’incamminarono per la contrada bellis… che trovasi accanto alla stessa e che passa d’isotto all’abitazione del Mancusi, e per il ponte sul fiume riapre al Villaggio Vassi ed alla montagna del Salvatore. Ma come furono in prossimità della casa del Mancusi, una casa bellissima, costui sia per paura, sia perché si fermino, sia per dare tempo alla popolazione di armarsi, gittavasi per terra, ed i briganti compreso il di lui animo, con violenza, operate percosse, se lo cacciavano innanzi: però il Manzi non curando gli strazi gli scioglieva i calzoni onde caduti gli fossero d’impedimento, e i briganti glieli strapparono, come gli strapparono il resto degli abiti fino alla camicia, rimanendolo del tutto nudo. Erano essi tutti intenti a tale bisogna, quando uno dei ricattati, il Gioacchino Cerino colto il destro, giusto quando ha poi dichiarato, gittavasi boccone anche lui accanto ad un fascio di lunghe pertiche che si trovavano per caso in quella stretta via, e rimasto inosservato per l’oscurità, come prima la banda si allontanò che rialzatosi subito si pose in salvo nella propria casa. I briganti il cui principale scopo era di trasportare con loro il Sig.Mancusi proseguirono lentamente il cammino, e per la montagna del Salvatore presero la catena dei boschi che conducevano ad Acerno, obbligarono un tal Fortunato Palo ad accompagnarli finchè giungono verso l’albeggiare per la Cellica nel Vallone dell’Oglio dove sostarono. Lungo la via acciò potessero andar più spediti, costruita una barella di pertiche e tralci di vite selvaggia vi appoggiarono il Mancusi e lo trasportavano di peso; qui nascosti stettero tutto il giorno e obbligarono il Mancusi a scrivere una lettera al nipote Sig.Giovanni onde avesse procurato di raccogliere la somma di Lire ottocentomila e quarantamila marenghi d’oro, tanto avendone chiesto per riscatto, ed il Mancusi dettò la lettera al Cappetta che la scrisse. Ma i briganti non contenti vollero che lo stesso Mancusi di suo pugno avesse fatto una procura al nipote, onde potesse ritrovare la favolosa somma. Ed il Mancusi obbediva, ma nello scrivere forzava il carattere, come può accorgersi chiunque esamina la scrittura, e furtivamente faceva sapere col capo a Cappetta di non tener conto di nulla, e di non inviare denaro per il riscatto. Ciò fatto il Manzo ordinò venisse liberato il Cappetta, gli consegnò i due documenti ingiungendo al Fortunato Palo di accompagnarlo e di recare loro la somma richiesta fra otto giorni. Intanto che cosa era avvenuto nel paese nel momento del ricatto?Le grida dei briganti, i numerosi colpi di fucile dettero l’allarme, ma come suole intervenirsi in simili casi, tutto fu confusione.
Dei cinque Carabinieri della stazione che col Brigadiere trovansi in servizio fuori il comune, gli altri due corsero a visitare il nipote del Mancusi a nome Giovanni acciò si fosse armato, ma costui timido per natura, spaventato dall’improvviso e non ancora ben chiaro caso, avendo la moglie incinta, non ebbe il coraggio di uscire di casa. Il Cerino così provvidenzialmente salvato, da quando egli dice beneficato oltremodo dal Sign.Giuseppe Mancusi, invece di armarsi, e chiamare i numerosi suoi parenti ad accorrere, si chiuse anch’egli in casa. Il Sign.Filippo Tedesco Cassiere e Consigliere Municipale, popolarissimo e di buona numerosa clientela, colui che sostituisce d’ordinario il Sindaco, domiciliato in altro alloggio del Comune, dopo perduta qualche ora nell’inerzia si decide ad invitare la Guardia Nazionale, ed invece di dirigersi a quella del paese e di Vassi villaggio contiguo che sicuramente sarebbe accorso, come fece in altre simili occasioni, richiese invece la Guardia Nazionale dell’altro villaggio Curti, lontano due ora dall’abitato di Giffoni, in modo che quel solertissimo e zelante Capitano nonostante che immediatamente avesse riunita la Guardia, pure non prima delle cinque del mattino del giorno 28 giunse a Giffoni, da dove prese la via battuta dai briganti. Così’ percorsero lunghissimo cammino, ritrovarono per terra le vesti lacere del Mancusi, rovistarono tutte le capanne, tutte le grotte del tenimento di Giffoni, e dopo di aver girato tutti i luoghi più sospetti, rientrarono in paese il giorno 29 trafelati e senza risultamenti di sorta. La notizia di così deplorevole avvenimento perveniva in Salerno il mattino del 28in sulle ore sette antimeridiane. Immediatamente quel solertissimo Prefetto che tante cure aveva prese per distruggere la banda, scriveva al Generale Comandante le Armi perché inviasse subito a Giffoni e altrove quanto poteva di truppe”. La persecuzione contro la banda Manzo fu attivissima: squadriglie volanti da tutti i paesi del circondario si muovevano simultaneamente, si pagarono spie e confidenti, si corrompevano pastori e carbonai, si rinforzavano le truppe,tra cui la “mitica” squadriglia Pettinati, si arrestarono complici e manutengoli, ma il solo risultato fu quello di spingere la banda verso l’immensa montagna del Polveracchio nella parte di Campagna.
fonte
http://www.promemorianews.org/dossier/brigantaggio_2.html