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Storie e aneddoti di Caserta del “700 in Terra di Lavoro

Posted by on Feb 16, 2017

Storie e aneddoti di Caserta del “700 in Terra di Lavoro

Un Estratto da D. A. Ianniello, Storie e aneddoti di Caserta della seconda metà del Settecento, in Quaderni della Biblioteca del Seminario, Associazione Biblioteca del Seminario “Civitas Casertana”, Tipografia Depigraf, Caserta 2005, pp. 115-125, contiene, oltre a degli aneddoti, come recita il titolo, anche delle considerazioni interessanti, che si vuol sottolineare.

Un primo aneddoto, riguarda la passione di Luigi Vanvitelli per il gioco del lotto, dove il noto architetto la pensava come molti (e com’è), cioè che il gioco d’azzardo era una sorta di tassa nascosta, posta per impinguare le casse statali (ivi, p. 116). In realtà, le lettere di Luigi Vanvitelli al fratello “ci forniscono una crisi esistenziale in reazione ai momenti topici casertani, dopo l’entusiasmo, la grande fatica degli anni della Reggia, acquedotto, mille altre cose. 1759: Carlo è Terzo sul trono di Spagna. Egli è convinto di esser chiamato a Madrid. Invece mancano gli investimenti per la Reggia; le difficoltà finanziarie personali crescono […] Gli eventi incalzano, il suo gioco del loto si fa più intenso; la convinzione si muta in struggente delusione: età che avanza, difficoltà finanziarie; si fanno varco detti popolari, pessimismi sul lotto: componente italiana di ‘Don Luigi Vaanfitelli l’olandese’. Pure tu!” (ibidem, corsivi e grassetto in originale). Tuttavia l’opinione popolare non poteva in alcun modo accettare una ragione così prosaica per le difficoltà finanziarie del grande architetto. Un aneddoto interessante su Vanvitelli, così recita: “‘Vanvitelli è morto povero e cieco. Lo ha cecato il Re per non fargli costruire una Reggia più bella della nostra. La più bella del mondo!’. Diabolico: […] lo sfortunato ‘Luiggi Vaanfitelli[1], l’olandese’ non doveva costruire una Reggia più bella della nostra” (ivi, p. 117, corsivi in originale)[2].

Ma è un’altra l’osservazione molto interessante, che si vuol sottolineare: “E’ acquisito, nell’800 si forma il notabilato cittadino, la borghesia classe dirigente, che conquista il potere e come vi giunge e lo esercita. Una borghesia che ‘si fa da sé’ (Felicio Corvese in modo efficace). A Caserta non vi era nobiltà, salvo quella di Corte in residenze provvisorie quando erano presenti re e corte. La nobiltà dei tempi passati era da un pezzo altrove, anche se v’erano feudi in città, i quali pagavano l’adoha[3] al Re. Un ramo dei Pignatelli (feudo del Vico) era il maggiore, non residente. Ebbene, la culla della borghesia dell’800 è nella seconda metà del ‘700. Se ne catalogano i nomi. Come chiamarli? Galantuomini con qualche equivoco con l’uso post unitario. La scelta si basa sul documento del 1770: Per la formazione a Caserta di un ceto distinto di galantuomini dal resto della popolazione, con lista di sottoscrittori; altre liste: elezione di un Decurionato borbonico post crisi del 1764[4] (dimenticato da Città e studiosi): l’elezione di San Gaetano nuovo patrono[5] […]; i legittimi censuari del Decreto del 1790. Si ha, così, un nutrito numero di proprietari: la borghesia che dirigerà comune e provincia nell’800. Formata nel ‘700 vanvitelliano – ruolo nella Reale Amministrazione dello Stato di Caserta, Baronia del Re – ha una ‘mentalità’ ossequiosa dell’autorità, come si rivelerà una volta giunta al potere nell’800” (ibidem, corsivi in originale, grassetto aggiunto). Questa mentalità – pessima – “ossequiosa dell’autorità”, fosse anche quella di un cagnolino, è una caratteristica distintiva, e penalizzante oltre ogni dire, della borghesia casertana, terribilmente fallimentare, ma in questo in ottima compagnia. Ricordo, infatti, come i “notabili” napoletani, cui spesso di questi tempi è di moda “fare la ruota” intorno al passato borbonico, come subito, non appena Garibaldi stava entrando in Napoli, si affrettassero a fare atto d’ossequio alle nuove autorità. Diciamo che le borghesie meridionali non brillano, e la stessa borghesia “nazionale” italica sia tutt’altro che priva di tale difetto, che, tuttavia, a Caserta diventa una complessione quasi “gogololiana” (del Golog de Il cappotto, tra l’altro N. V. Gogol’ (1809-1852) era un ucraino ma scriveva in russo … ecco una “contrazione dello stomaco” e una “torsione delle budella” all’occorrenza molto casertana …). Si spiega così la totale debolezza di Caserta, anche rispetto ad altre città capoluogo campane, non parliamo di fuori del Sud e di fuori della Campania.

Andrea A. Ianniello

 

“Il ritratto di Luigi Vanvitelli che riproduciamo di seguito (opera di autore ignoto del XVIII secolo) è custodito nelle retrostanze della reggia unitamente alla statua in gesso modellata dal Buccini per il monumento eretto nella seconda metà del secolo scorso, nei giardini che si sviluppano dinanzi al Palazzo Municipale” (Da In Provincia di Terra di Lavoro, anno nono, dicembre 1972, “Speciale per le celebrazioni vanvitelliane”, direttore A, Marotta, p. 1)

  1. NB. La copia, proprietà della famiglia Ianniello, è per scopi educativi, non commerciali.

vanvitelli

 

 

 

[1]  Molto interessante la pronuncia popolare dell’originale cognome italianizzato in “Vanvitelli”, che è l’olandese Van Wittel, pronunciato in olandese “Fan Vìttel”, la pronuncia napoletana mantiene – ed è significativo – la differenza tra la “f” e la “v”, che si perde in italiano (lingua sempre troppo semplificatrice a causa di una tavolozza fonetica davvero esigua), ma l’ inverte, eccola cosa particolare! La “f” e la “v” si scambiano di posto! Dunque “Vanfitelli” invece di “Fanvitelli”, che sarebbe l’italianizzazione corretta, che, purtroppo, per le dette ragioni di fonetica molto ma molto povera, la lingua italiana non accetta. Come fonetica la lingua italiana ha appena qualche suono in più delle lingue polinesiane o del giapponese.

[2]  In realtà, il tema dell’architetto “prodigioso” fatto accecare da un re, o governante d’altra forma, perché non potesse mai ripetere un’opera “sì grande”, fa parte della tradizione “mitica”, la cosa stupefacente è che tale tema risorga alla fine del Settecento a Caserta.

[3]  Su che cos’era l’ “adoha”, cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/adoha/. Vi è anche quest’altro link: http://www.treccani.it/enciclopedia/adobha-o-adoha_(Enciclopedia-Italiana)/, link quest’ultimo che, non certo per caso, dà, come altri link in basso (in “Nota”), la voce “Regno di Napoli”.

[4] Il 1764 u un momento di crisi notevole, dove la città di Caserta conservava ancora una passata e non più funzionale forma cinquecentesca d’amministrazione, cfr. ivi, pp. 118-119. Al di là dei problemi specifici del Regno di Napoli, in realtà si trattò anche di un effetto di una crisi internazionale, la “Guerra dei Sette Anni” (cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_dei_sette_anni), che durò dal 1756 al 1763, l’anno prima dell’esplosione della crisi locale, “Guerra dei Sette Anni” che fu descritta da W. Churchill come la prima delle “Guerre Mondiali” (cfr. http://www.newworldencyclopedia.org/entry/Seven_Years_War), vale a dire quelle guerre che son combattute su più continenti, poiché interessò sa alcune nazioni europee che alcune loro colonie. “Il Decurionato è la soluzione ‘generale’ della crisi con ‘più precisi connotati di classe’ a partire dalla borghesia in crescita. Forse è il maggior risultato di potere che la borghesia del Sud raggiunge prima del Decennio francese. Così è per Caserta, citata, però, solo con lo Stato Discusso del 1636. Citazione singolare e debole la cui ragione è nella mancanza di studi locali. Il caso Caserta invece vi rientra […]. Un passo del bistrattato Crescenza Esperti (Memoria Istoriche) lo registra” (ibidem, corsivi in originale). Segue il Decennio francese, decisivo per Caserta.

[5] Il più antico patrono è San Sebastiano, con l’antica chiesa di Caserta “Torre” già sul piano, poi, di seguito, la popolare Sant’Anna diverrà sempre più importante a Caserta come in tanti, tantissimi posti nel Sud. Tuttavia la scelta di San Sebastiano attesta l’antichità della cristianizzazione.

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