SU ALCUNI GIUDIZI DEL CROCE, BENEDETTO! (Seguito)
Ci siamo lasciati con un delitto di cui indicare il colpevole, e il suo nome ce lo forniscono le fatiche di un’appassionata e seria ricercatrice. Il lavoro in questione (1) è un’amara, sofferta ma impietosa analisi del modo affatto idealistico e disinteressato con cui i personaggi, che tuttora ci si ostina a presentare come modelli ideali, si comportarono durante la propria esistenza e intesero unificare la nazione, proprio come se si trattasse di un puzzle, di uno dei tanti giochi di società, di cui era sufficiente riuscire a mettere ogni tessera al posto giusto per comporre la figura. Da questa analisi emergono purtroppo notizie molto differenti da quelle propinate dalla vulgata di regime. Ed una di queste riguarda proprio Vittorio Emanuele II.
<< Una sera, al termine di uno dei convegni amorosi che abitualmente lo tenevano occupato con qualche donna del popolo, dovette vedersela con tre uomini infuriati, forse parenti o amici della ragazza, che lo sorpresero e lo aggredirono mentre regalmente fuggiva dalla finestra. (Nota:trattasi di Vittorio Emanuele II, meglio conosciuto come “re galantuomo”). A regali colpi di bastone il re galantuomo riuscì a scaraventare a terra gli aggressori. Fuggì di corsa, finché non si avvide con sollievo di non essere inseguito. Ma gli assalitori non lo seguirono solo perché uno di loro, colpito da una bastonata, era rimasto a terra. Non si era rialzato, né più lo avrebbe fatto. Era morto. Un omicidio. Non volontario, forse, né premeditato, certo, ma pur sempre un fatto di sangue, che avrebbe richiesto indagini, riempito pagine di giornali, sollevato scandali, e inevitabilmente infangato il “buon” nome del monarca. Che fare? Casa reale si preoccupò di risarcire in gran segreto la famiglia della vittima, mentre la Gazzetta d’Italia chiudeva in fretta la questione con un patetico panegirico sul diritto del re di amare le donne e sul non diritto di chicchessia di giudicarlo per questo!>> (1)
[(1) Elena Bianchini Braglia, “Risorgimento. Le radici della vergogna. Psicanalisi dell’Italia”, Edizioni Terra e Identità, pagg. 58-59)].
Ho riportato il brano di cui sopra solo per dimostrare come una medesima situazione venga giudicata adottando “ due pesi e due misure “. E, per dimostrare ancora come uno stesso fatto venga giudicato poco obiettivamente porto solo un altro esempio.
Quando, al termine della breve esperienza della Repubblica Napoletana (per cui rimando ad un mio precedente articolo apparso sul blog), ci fu la reazione borbonica, che sulle migliaia di condanne a morte ne fece eseguire solo centoventiquattro, tutto il mondo gridò alla feroce e sanguinaria repressione e la commozione universale fece erigere in una delle più belle e aristocratiche piazze di Napoli (Piazza dei Martiri) un monumento alla memoria delle vittime della reazione borbonica. Sappiamo che le simpatie e l’innamoramento dell’intellighenzia napoletana per le dottrine d’oltralpe procurò oltre sessantamila vittime. Ma queste non sono ricordate in alcun “Pantheon dei Martiri” né – in nome della tanto sbandierata uguaglianza – sono state riconosciute meritevoli di pari rispetto.
Altro campione di infedeltà fu Umberto I, degno figlio di suo padre, dal cui palazzo le amanti entravano ed uscivano in un andirivieni vorticoso, e che non disdegnò di annoverare tra le sue amanti neppure la duchessa Eugenia Attendolo Bolognini, già amante di suo padre.
Questo per quanto riguarda le persone che più di tutte avrebbero dovuto essere d’esempio agli altri, almeno per “dovere istituzionale”! Ma, chissà perché. E’ sempre la stessa storia. Quando un qualunque atto, anche un’azione insignificante, viene compiuta da un Borbone è una colpa, un’azione disdicevole, indecorosa! Quando le stesse azioni vengono compiute da altri o non se ne deve parlare o debbono essere tramandate ai posteri come esempi di correttezza e di onestà!
Con questi esempi possiamo mai aspettarci qualcosa di diverso dagli altri, e, nel caso in esame, da quelli della Destra storica, di cui al secondo giudizio del Croce?
Molti di loro non costituiscono esempi né di virtù, né di disinteresse, né di dignità per quanto riguarda il loro abito di vita. E questo – sempre fedeli al principio di non attingere a fonti vicine ai nostri orientamenti – lo ricaviamo o da documenti delle stesse persone o da quelli di persone loro comprimarie o molto vicine.
Tanto per cominciare, nessuna delle qualità riconosciute dal Croce a coloro che, secondo lui, avrebbero conservato il duraturo potere di governarci interiormente può riguardare uno dei componenti della “Destra storica”: Luigi Carlo Farini, che fu autore e ispiratore di atti violenti, estorsioni, furti, abuso di potere, delitti, e chi più ne ha più ne metta: accuse precise e dettagliate contenute nella confessione di Filippo Curletti, suo strettissimo collaboratore, già agente di Cavour. (2) Di queste accuse ci limiteremo a riportare – e solo brevemente – quelle relative alle estorsioni, alla farsa dei plebisciti per l’ annessione dei Ducati padani al Regno Sardo; la commedia della manifestazione popolare inscenata per l’ acclamazione di Farini a dittatore; gli abusi di potere; il furto e l’ istigazione al delitto con relativa copertura degli autori e col loro premio finale:abitudine che si perpetuerà poi da quel momento fino ai nostri giorni. [(2) La verità sugli uomini e le cose del Regno d’Italia. Rivelazioni di J. A. già agente segreto del Conte di Cavour].
Senza aggiungere nemmeno una parola alle circostanziate accuse rivolte dal Curletti al Farini, riportiamo, per i singoli esempi citati, e solo per quelli, perché ce ne sarebbero a iosa, quanto detto dal suo più stretto collaboratore, che intervenne personalmente anche in molte delle azioni di cui parla. Prima, però, riteniamo opportuno riportare lo spirito con il quale egli intese stendere le sue memorie.
<< … Mi sono lasciato trascinare a fare della mia posizione un abuso colpevole, di cui ho diviso gli utili e di cui per conseguenza devo dividere la vergogna>> perché <<ho promesso di dire tutto>>.
Ovviamente tale dichiarazione di intenti non può allontanare dubbi o sospetti. Ma ci troviamo di fronte a un caso che ha molte analogie con la premessa che il Conte di Saint Joroz fece alla sua opera sulle condizioni del meridione d’Italia e alle confessioni che il bersagliere Margolfo affidò al suo diario. Per cui il fatto di dar loro credito non è perché gli esempi servono a dimostrare la nostra tesi, ma perché le notizie riportate hanno avuto un riscontro documentale.
LA FARSA DELL’ACCLAMAZIONE POPOLARE DI FARINI << I partigiani della dinastia decaduta vi erano numerosi ed influenti … Bisognava che Farini restasse, e perciò era d’uopo trovare un pretesto … Il giorno fissato per la partenza di Farini, io appostai una parte dei miei uomini sul piazzale del palazzo; avevo fatto venire, per ingrandirne il numero, tutti i carabinieri e gli agenti di polizia che si trovavano a Reggio, a Carpi, Mirandola e Pavullo. Al momento che il governatore apparve per montare in carrozza, si misero a gridare, in conformità della consegna che avevano ricevuto: – Viva Farini … egli non partirà, egli è il nostro padre … Al momento in cui il governatore arrivò, dietro un mio segnale, i miei agenti si misero a gridare: – Viva il dittatore!- Si gettarono sulla carrozza, ne distaccarono i cavalli e la ricondussero in città … , si stese, senza perdita di tempo, in presenza di Farini, un processo verbale che lo nominava cittadino di Modena e governatore>> (in Elena Bianchini Braglia, “Risorgimento. Le radici della vergogna. Psicanalisi dell’Italia”, pagg. 105,106)
ESTORSIONI : << … Agenti della più infima specie reclutati da noi si introducevano presso le persone conosciute pel loro attaccamento alla dinastia ducale, presso i preti, nei conventi, ed all’atto di operare gli arresti, facevano comprendere che con qualche opportuno lascito di denaro si sarebbe potuta riacquistare la libertà …>> (op. cit. pag. 142)
FURTI : Appena Farini divenne padrone incontrastato di Modena, il primo ordine ricevuto dal Curletti – sempre così come ce lo racconta lui – fu quello di impadronirsi di tutte le chiavi del palazzo ducale, comprese quelle della cantina. L’argenteria su cui era impresso lo stemma del duca fu fatta fondere, ma nel contempo << … Mi fu ordinato di comunicare ai giornali un articolo, che tutti hanno potuto leggere, nel quale era detto che il Duca, partendo, aveva portato via tutta la sua argenteria e tutti gli oggetti di valore e non aveva, per così dire, lasciato che le quattro mura.>> Ciò al fine di salvare “il disinteresse spartano di cui Farini voleva dare spettacolo”, per continuare con le parole del Curletti. Disinteresse che, però, non poteva ingannare il re sabaudo né il primo ministro, che, conoscendo i loro polli, inviarono a Modena il Massari col preciso incarico di relazionare sulla amministrazione del neogovernatore.
La gestione del potere da parte del Farini fu talmente “allegra” che il Massari, inviato dal Cavour per verificare un ammanco di 50.000 franchi scomparsi nel nulla, dovette annotare, dando prova di impareggiabile senso dell’umorismo : <<… E’ un caso assai grave, se si sapesse … Quel benedetto uomo è la leggerezza personificata in cose finanziarie>>. (in Gigi Di Fiore, op. cit. pag.85)
ABUSO DI POTERE : Concessione del brevetto di colonnello al titolare dell’albergo San Marco per un debito di 7000 franchi accumulato in otto giorni di bagordi. Nomina ad ufficiale dell’ esercito ad un cuoco che aveva maturato un credito nei riguardi del neodittatore.
Esborso di non meno di 4000 franchi a testa, da parte di due banchieri per non essere denunciati come simpatizzanti del duca destituito. (in Gigi Di Fiore, op. cit. pag.85)
UCCISIONE DEL COLONNELLO ANVITI E PREMI AGLI ESECUTORI . In questo crimine ebbero parte attiva sia il Farini che il Curletti. Al colonnello fu mozzata la testa a cui fu fatto bere un ultimo caffè e posto un sigaro in bocca mentre il corpo veniva fatto a pezzettini e i genitali venivano inchiodati sul portone della sua amante. Per questa azione “valorosa” il Curletti ricevette la Croce dei Santi Maurizio e Lazzaro, una delle onorificenze più ambite del Regno sabaudo; il direttore del carcere, Galetti, che si era fatto “sfuggire” il prigioniero, venne nominato direttore delle poste, e Davidi, colui che aveva decapitato l’Anviti, andò ad occupare il posto di direttore del carcere lasciato vacante a seguito della promozione del Galetti.
<<… Farini è disperato, Manfredi è complice del caso Anviti. Ai veri colpevoli fu dato danaro perché vadano via.>> (dal Diario di Massari)
PLEBISCITO PER LE ANNESSIONI – Gli scrutatori, il presidente di seggio e i garanti dell’ ordine e della legalità venivano scelti tra carabinieri e agenti di polizia del regime in spregio di tutte le garanzie possibili e immaginabili circa la regolarità dello svolgimento del voto: copione identico a quello che verrà applicato al resto della penisola, per il cui approfondimento si rimanda alle citate memorie del Curletti.
Camillo Benso, conte di Cavour
Altro esemplare modello di slealtà, doppiezza, libertinaggio, amoralità e tra le più osannate e celebrate personalità del Risorgimento. Fallita, il 26 giugno 1857, la spedizione di Carlo Pisacane e di Giovanni Nicotera (spedizione organizzata dal grande statista , di cui il Nicotera era un agente!), tramite l’ambasciatore piemontese a Napoli, Giulio Figarolo di Groppello, fa pervenire a Ferdinando di Borbone l’ indignazione condivisa da ogni uomo sensato e onesto per quel fatto deplorevole e delittuoso. Il 17 maggio 1860, sei giorni dopo lo sbarco a Marsala, proclama ufficialmente che “il Governo disapprova la spedizione del generale Garibaldi”, ma dalla lettera inviata all’ammiraglio Persano il 7.7.1860 si evince ben altro orientamento. “ … può assicurare il generale Garibaldi che non meno di lui son deciso a compiere la grande impresa;ma che per riuscire è necessario operare di concerto, adoperando tuttavia modi diversi”. “Modi diversi” che costituiranno la caratteristica delle relazioni diplomatiche e del comportamento in genere sia dello statista piemontese che di tutti i maggiori personaggi che la vulgata dei vincitori imporrà come esempi da imitare.
A proposito di donne, inclinazione addebitata come deplorevole colpa a Ferdinando IV, che dire per la tendenza del Cavour? Figurarsi che la “prova d’esame” che dovette superare il Curletti per diventare suo agente fu quella di rispondere coi fatti ad una richiesta molto particolare del conte: << sei capace di rapire una ragazza e condurla questa sera a Moncalieri?>>. Il Curletti accetta e porta a compimento la missione. Ovviamente si era trattato di un vero e proprio rapimento a fine di stupro, per cui il fatto fece abbastanza rumore. Ma subito si trovò il modo di mettere a tacere la cosa, nominando direttore delle poste il fratello della donna rapita e violentata! Qualcuno potrebbe dire che si trattò di un capriccio. Nel corso di un’esistenza può anche capitare di commettere qualche stupidaggine! Ma il Curletti ci fa sapere: << Questa spedizione non fu l’ultima di simil genere di cui fui incaricato, ma delle altre non dirò parola: sono episodi della vita privata che non hanno verun interesse pel lettore serio. >>
A questo punto, se è pur vero che le vicende della vita privata di Cavour non fanno parte dei giudizi di Croce che hanno motivato queste pagine, mi domando, però, se è possibile che il grande pensatore potesse ignorare queste cose, dato che, almeno quelle che sono le memorie di J. A. – ossia di F. Curletti – erano state rese pubbliche dal ministro del Duca di Modena (Francesco V) Teodoro Bayard De Volo e pubblicate tra il 1878 e il 1882, e rese disponibili anche in italiano dopo la prima pubblicazione in francese.
Di amanti anche il Cavour ne ebbe in gran quantità, né, per soddisfare i propri desideri, si preoccupò di salvaguardare l’armonia e l’integrità delle famiglie,considerato che un leit-motiv dei suoi amori fu quello di circuire e successivamente compromettere unicamente donne sposate, alcune delle quali arrivarono perfino a suicidarsi (Bianca Sovertzy, ballerina del Teatro Regio, maritata Ronzani; la marchesa Clementina Guasco di Castelletto; Anna Schiaffino Giustiniani, morta suicida per il rifiuto di Cavour di essere il suo amante esclusivo; la contessa Emilia Gazzelli Pollone; la scrittrice parigina Melanie Waldor, già amante di Dumas; Hortense de Meritens, sostenitrice dell’amore libero … ).
Qui mi fermo e non mi dilungo nemmeno sull’ordine dato dal Cavour alla truppa di caricare la folla delle persone che chiedevano un po’ di grano o di farina durante la carestia di Torino, mentre nei depositi il nostro aveva fatto incetta di enormi quantità sia dell’uno che dell’altra. Né parlerò dell’attentato del 1857 di Felice Orsini all’imperatore Napoleone III, organizzato e finanziato dal Cavour mentre flirtava con Napoleone, e garantiva, alla fine, una pensione alla vedova di Orsini. (3)
Chi ha orecchi intenda!
Castrese L. Schiano
( 3 ) -Notizia riportata in Mazzini di Denis Mack Smith e ricavata da documenti d’archivio inglesi,e dai carteggi e documenti privati di Emanuele D’Azeglio, nipote del più noto Massimo, che era stato a lungo ambasciatore in Inghilterra.