Alta Terra di Lavoro

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SU ALCUNI GIUDIZI DEL CROCE, BENEDETTO!!!

Posted by on Mag 29, 2017

SU ALCUNI GIUDIZI DEL CROCE, BENEDETTO!!!

La spinta ad intraprendere questa nuova incursione nell’analisi di fatti o nelle contraddizioni tra le asserzioni pubbliche ed il comportamento privato di personaggi che si vuole proporre a modello per il resto dei mortali mi è stata offerta da due tra i tanti giudizi con cui il Croce, dall’alto della posizione raggiunta, ha assolto o condannato fatti o persone che – secondo i casi – hanno avuto il piacere o la disavventura di costituire l’oggetto delle sue riflessioni.

I fatti hanno poi dimostrato che – almeno relativamente a quelli presi in considerazione – i giudizi sono stati espressi o come quelli che era solito esprimere il Cavour su Napoli senza averla mai vista oppure senza adeguati e doverosi approfondimenti.

Ragionando con la cosiddetta “logica del sagrestano”, infatti, un minimo di buon senso imporrebbe che, allorché ci si accinge a consegnare alle pagine della storia o a quelle delle celebrazioni di Stato la figura di una o più persone, che, per virtù, correttezza, senso dell’onore e lealtà, dovranno essere proposte come modello sia per i contemporanei che per le generazioni future, la prima preoccupazione dovrebbe consistere nell’ accertare che le citate qualità dei personaggi che ci si appresta ad elevare agli onori dell’ altare facciano veramente parte del loro DNA e non siano, invece, un semplice comportamento di facciata, o addirittura una vera e propria mistificazione.

Nel caso specifico, dei due giudizi che hanno suscitato la mia perplessità, uno investe con disprezzo un personaggio della nostra recente storia ed un altro si spertica in elogi per un’intera classe politica. Entrambi i giudizi, però, smentiti dai fatti, dimostrano, non voglio dire la faziosità ideologica, ma la scarsa obiettività con cui sono stati formulati.

Sono stati proprio giudizi come quelli del Croce ad offrire un aiuto supplementare – di cui non c’era proprio bisogno – alla formazione sistematica di falsi storici e alla stratificazione di preconcetti, che hanno contribuito a “confezionare” la storia nel modo che conosciamo, secondo cui una “mala unità” deve passare ed essere accettata come unificazione totale di sentimenti e di valori. Unificazione di sentimenti continuamente smentita, poiché il modo in cui è stata concepita e portata a termine l’unità della nazione non ha tenuto in alcuna considerazione quelle profonde differenze tra le varie parti della penisola e tra i suoi abitanti, differenze – si badi bene – che sono sempre esistite, che non hanno mai diviso gli abitanti della penisola, ma che, anzi, li facevano sentire più “italiani” che non dopo la violenta, cruenta e menzognera unificazione:operazione che non è stata, quindi, in grado di ottenere che le varie popolazioni della penisola potessero sentirsi veramente “fratelli”. E questo fallimento è riscontrabile ancora oggi, quando in regioni dell’ “altra” Italia si continua a vedere sui muri o dietro le vetrine di negozi scritte come queste: “NON SI FITTA AI NAPOLETANI”(Piemonte) oppure “VIETATO L’INGRESSO AI CANI E AI NAPOLETANI”(Toscana).

Ho detto all’inizio che l’occasione per queste riflessioni mi è stata offerta da due giudizi espressi da Benedetto Croce. Il primo di essi riguarda Ferdinando IV del quale il filosofo afferma che << … A re Ferdinando si è fatto forse troppo onore chiamandolo un tiranno … Egli pensava alla caccia, alle femmine e alla buona tavola; e purché gli lasciassero fare le dette cose, era pronto a intimare la guerra, a fuggire, a promettere, a spergiurare, a perdonare e ad uccidere, spesso ridendo allo spettacolo bizzarro>>.[B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799 (Prima pubblicazione 1912)]. Conoscendo i vari primati di cui Ferdinando IV costellò il Regno durante la sua permanenza sul trono , il giudizio ci sembra poco appropriato. Se poi – metodo imperdonabile per un biografo, uno storico o un critico – per condannare o assolvere una persona si assumono come elementi di giudizio solo alcuni momenti della sua vita, un tale approccio non può non essere ritenuto pretestuoso o quantomeno poco obiettivo.

L’altro giudizio è quello espresso su alcuni personaggi della “Destra storica” per i quali, solo a motivo del suo ateismo, il Croce non ritenne di proporre il processo di beatificazione. Ora, poiché tali giudizi furono espressi a molti anni di distanza dal loro verificarsi, molti documenti riguardanti vita, morte e miracoli dei personaggi in questione erano già disponibili, anche se non proprio di pubblico dominio. Documenti che il grande pensatore non poteva certamente ignorare, e che – in considerazione della sua notorietà – non avrebbe avuto difficoltà a consultare per maggiori approfondimenti.

Nel consegnare ai posteri il suo giudizio sui componenti della Destra storica, egli afferma <<… di rado un popolo ebbe a capo della cosa pubblica un’eletta di uomini come quelli della vecchia Destra italiana, da considerare a buon diritto esemplare per la purezza del loro amore di patria che era amore della virtù, per la serietà e dignità del loro abito di vita, per l’interezza del loro disinteresse, per il vigore dell’ animo e della mente, per la disciplina religiosa che s’erano data sin da giovani e serbarono costante: il Ricasoli, il Lamarmora, il Lanza, il Sella, il Minghetti, lo Spaventa e gli altri di loro minori ma da loro non discordi, componenti un’ aristocrazia spirituale, galantuomini e gentiluomini di piena lealtà. Gli atti loro, le parole che ci hanno lasciate scritte, sono fonti perenni di educazione morale e civile, e ci ammoniscono e ci confortano e ci fanno a volte arrossire; sicché deve dirsi che, se cadde dalle loro mani il fuggevole potere del governo, hanno pur conservato il duraturo potere di governarci interiormente, che è di ogni vita bene spesa ed entrata nel pantheon delle grandezze nazionali>>.( “Storia d’Italia dal 1871 al 1915”)

Ora, per il giudizio espresso su Ferdinando IV, non ci sforzeremo di intentare alcuna difesa d’ufficio, in quanto riteniamo non disdicevole che, come uomo normale,a Ferdinando potessero piacere la caccia, le donne e la buona tavola. Se questi possono essere considerati peccati, non so quanti “uomini normali” potrebbero evitare una condanna. In Ferdinando, però, tali abitudini vengono presentate spregiativamente come una colpa, come malsane pratiche che inducono a comportamenti non confacenti per un sovrano con responsabilità di governo.

Per quanto riguarda le parole lasciateci dagli uomini della Destra storica, esse possono anche essere considerate esemplari fonti di educazione morale e civile, solo, però, se avulse – come si vedrà per il Farini e il Ricasoli (tanto per citarne due) – dallo stile di vita dei loro estensori.

Ora Croce (1866-1952), quando nacque, l’Italia era già passata da cinque anni sotto i Savoia, e Savoia furono tutti gli altri sovrani fino al breve periodo degli ultimi anni di vita del filosofo in cui egli divenne cittadino di una repubblica e non più suddito di un regno. Pertanto, quando nel 1912 pubblicò la sua ” La rivoluzione napoletana del 1799”, per Ferdinando IV (1751-1825) erano trascorsi 87 anni dalla morte, e quando nel 1927 venne pubblicata anche la “Storia d’Italia dal 1871 al 1915”, le vicende personali di Vittorio Emanuele II, di Umberto I, di Vittorio Emanuele III e quelle di Umberto II si erano svolte lungo il corso della vita dello storico. Pertanto egli non avrebbe dovuto ignorare che le abitudini che sprezzantemente aveva imputato al re di Napoli erano comunemente e costantemente praticate anche dai reali di casa Savoia. Per cui, se esse erano “colpe” quando a praticarle era Ferdinando IV, avrebbero dovuto esserlo anche per il re “galantuomo” e per il re “buono”. E diciamo ancora che, se ci fu qualcuno che per storie di sesso arrivò addirittura ad uccidere, non fu il re “nasone”, ma proprio il re “galantuomo”, come diremo nella prossima puntata.

Castrese Lucio Schiano

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