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Tradizionalisti, conservatori e moderati di Gianandrea de Antonellis

Posted by on Apr 16, 2025

Tradizionalisti, conservatori e moderati di Gianandrea de Antonellis

La “Barbajada” è una bibita inventata dal mio bisarcavolo Domenico Barbaja, mischiando cioccolato, caffè e latte, per stimolare, irrobustire e addolcire. La presente rubrica intende rivolgersi al lettore stimolandolo con il caffè delle considerazioni, irrobustendolo con il cacao delle dimostrazioni e, possibilmente, addolcire il tutto, rasserenandolo con lo zucchero dell’ironia o la panna della leggerezza.

Meglio un reazionario, un conservatore o un moderato?

Per la gente comune, il termine reazionario è di per sé negativo. Anche chi osteggia il progressismo più spinto (quello che vuole imporre il gender, l’animalismo, l’ecologismo estremo) si sente meglio protetto da un politico o da una ideologia conservatrice o moderata, anziché reazionaria, come se moderazione e/o conservazione fossero opposte al pensiero rivoluzionario.

In realtà, già due secoli or sono, il sacerdote cattolico (e pensatore carlista) Jaime Balmes (1810-1848) scrisse a proposito dei partiti spagnoli moderato (del 1833 – scoppio della prima guerra carlista) e conservatore (costituitosi dal precedente per le elezioni generali del 3 settembre del 1844 in vista della revisione della Costituzione del 1845): «Il partito del 1833 fu battezzato dai propri istinti e venne chiamato moderato; il partito nato nel 1844, nel quale risiede la grande idea di governo, è battezzato dal sistema vigente e viene chiamato conservatore: il primo era destinato a moderare gli impeti di una rivoluzione risoluta nei fini e violenta nei mezzi; l’altro è destinato a conservare gli interessi di una rivoluzione consumata e riconosciuta»[1].

Né l’uno né l’altro – ma nell’uso comune e nella prassi politica conservatore e moderato sono pressoché equivalenti – sono quindi in grado di respingere l’assalto della rivoluzione, le sue dannose innovazioni: entrambi – ma sarebbe più corretto dire la fazione moderata, conservatrice, centrista – cercano di moderare gli effetti della rivoluzione, cioè della legislazione progressista, senza disconoscere (anzi, spesso esaltandone) i principi.

Si pensi al comportamento dei governi “conservatori” o “moderati” nei confronti di discutibilissime (per non dire vergognose) leggi imposte dai precedenti governi progressisti: dalla Legge della memoria storica spagnola alla “legge Mancino” italiana, i governi di “destra” non hanno fatto altro che accettare il fatto compiuto.

Troni e patiboli

Passiamo ad un altro pensatore carlista, Juan Vázquez de Mella (1861-1928), bisogna ricordare una sua meravigliosa frase secondo cui non è possibile «levantar tronos a las causas y cadalsos a las consecuencias»[2], vale a dire «impiccare gli effetti dopo aver incoronato le cause», ovvero, per essere più aderenti al testo originale, prima porre le premesse sopra un trono, poi alzare un patibolo alle conseguenze.

Questo significa che non è possibile criticare solamente gli “eccessi” della rivoluzione francese ed esaltarne i presupposti, cioè rifiutare il Terrore del 1793, ma considerare positivi gli “immor(t)ali principi” del 1789.

Non è possibile criticare il terrore stalinista, ma difendere i principi della rivoluzione bolscevica, il pensiero di Lenin e quello di Marx.

Non è possibile criticare gli eccessi del nazionalismo senza rifiutare anche i presupposti del pensiero hegeliano o l’immoralità della politica attuale esaltando la “modernità” del pensiero machiavellico…

E ciò vale in tutti i campi: considerando la Chiesa cattolica e passando agli eccessi in ambito liturgico, non è possibile criticare le disinvolte scelte dei ministri di culto – vescovi che ballano il flashmob a Rio de Janeiro davanti a Bergoglio o che si presentano sull’altare imbracciando una chitarra ad Avellino; preti che scorrazzano tra i fedeli su biciclette o monopattini, che celebrano con il naso da clown o su un materassino da spiaggia e via enumerando… – senza criticare l’introduzione del Novus Ordo (1969) e l’evento epocale che ne sta alla base, il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965).

La punta della lancia

La rivoluzione – intesa non nel senso etimologico proposto da Evola, né in quello edulcorato di riforma innovatrice, bensì in quello classico di distruzione della cultura tradizionale – è come una lancia: è la punta in metallo che colpisce, ma essa può ferire solo in quanto innestata su un’asta di legno. E quest’ultima è il risultato della sedimentazione continua di un pensiero antitradizionale che, talvolta a poco a poco, talaltra con forti sbalzi, ma sempre con costanza, ha modificato il comune sentire.

I partigiani comunisti che durante la guerra civile combatterono mettendo a repentaglio la loro vita per realizzare lo stato bolscevico anche in Italia – sottolineò qualche anno fa Marcello Veneziani – avrebbero mai pensato che i loro discendenti (i rappresentanti del PD) avrebbero posto come punto fondamentale del loro programma politico non la lotta di classe o la dittatura del proletariato, bensì… il riconoscimento dei “diritti” degli omosessuali, che gli stessi partigiani di un tempo avrebbero bollato come invertiti?

E con il passare del tempo, da un Togliatti che cercava di evitare l’omosessuale Luchino Visconti, radical chic che smaniava per essere “accettato” dai vertici del PCI, siamo passati ad una Sinistra che ha accolto – prima con qualche remora, poi pienamente – Pier Paolo Pasolini ed infine è degnamente rappresentata dai Vladimir Luxuria e dagli Scalfarotto che si battono – in un’Italia allo sfascio morale, sociale ed economico – non in favore dei diritti dei lavoratori, bensì contro le discriminazioni verso gli omosessuali e i transessuali, come se non fossero ben altre le priorità del popolo che sono – teoricamente – chiamati a rappresentare (ma l’articolo 67 della Costituzione li libera da ogni vincolo di mandato).

Conclusione

Per riportare la politica alla razionalità sarebbe necessario, dunque, un governo non semplicemente moderato o conservatore, bensì decisamente reazionario, capace di reagire allo sfacelo attuale, non di limitarsi a moderarlo o, peggio, a conservarlo. Ma poiché, assieme alla guerra mondiale, l’Europa ha perso anche – e soprattutto – la guerra culturale, il solo termine reazione spaventa le masse (come i termini fascismo, nazismo, nazi-fascismo, usato molto spesso del tutto a sproposito) mentre il concetto di progressismo viene percepito come positivo ed il concetto di comunismo viene considerato come una idea politica discutibile, ma tutto sommato accettabile, separandola dai crimini che ad essa sono necessariamente collegati (ricordo che le stime vanno dagli 80 ai 200 milioni di morti dovuti ai vari regimi di matrice comunista nel mondo: ma il male assoluto rimane solo e soltanto il nazi-fascismo, che pur sommando tutti i morti accreditatigli, rispetto alle cifre anzidette farebbe una figura da dilettante…).

È quindi necessaria e propedeutica una battaglia linguistica ed dottrinaria per poter permettere lo sviluppo di una sana politica che abbia a cuore i veri problemi della popolazione.


[1] «Al partido de 1833 le bautizaron sus instintos y se llamó moderado; al partido que nace en 1844, partido cuya vida se reconcentra en la grande idea de gobierno, le bautiza su sistema y se llama conservador: el uno estaba destinado a moderar los ímpetus de una revolución osada en sus fines y violenta en sus medios; el otro está destinado a conservar los intereses creados de una revolución consumada y reconocida». Jaime Balmes, El Pensamiento de la Nación (1844), Escritos políticos, tomo III (volumen XXV de las Obras completas), Barcelona, 1926, p. 241, cit. in  Miguel Ayuso, Las murallas de la Ciudad, Nueva Hispanidad, Buenos Aires 2001, p. 124.

[2] La frase originale, indirizzata ai liberali, recita: «Vosotros levántais tronos a las premisas y cadalsos a las consecuencias». Vázquez de Mella, Crítica del liberalismo. Le ley de jurisdicciones, Discurso en el Congreso de los Diputados, 3 de marzo de 1906, in Obras Completas del Excelentísimo Señor Don Juan Vázquez de Mella y Fanjul, volumen IX [Discursos parlamentarios IV], Madrid, Junta del Homenaje a Mella, 1932, p. 141.

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