Alta Terra di Lavoro

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Tradizione delle Guarattelle

Posted by on Ott 14, 2016

Tradizione delle Guarattelle

Viva la tradizione!

Cosa è la tradizione?

a questa domanda un vecchio saggio indiano risponde:

“la tradizione è creare cose nuove”

Strana risposta.

Nel mio percorso artistico mi sono dovuto inventare la tradizione un bel pò prima che il mio maestro Nunzio Zampella me ne mostrasse il repertorio come lo interpretava lui.

Poi, per un certo periodo, ho imparato questo repertorio, cercando di ripeterne le battute , e dimenticando quello che io avevo inventato, anche se, quasi da subito, il repertorio che mettevo in scena ha cominciato a mescolarsi con le mie creazioni, sia nell’interpretazione, che nell’introdurre scene nuove come quella del pollo, che fu introdotta nel repertorio tradizionale su suggerimento dello stesso maestro, poi quella dei pulcinellini e del parto di Pulcinellla, accettata con entusiasmo dal maestro, oppure cambiando le stesse scene del repertorio tradizionale, come la scena del carabiniere che come la faccio io mescola canovacci di Zampella a mie idee originali.

Ci sono anche forti cambiamenti di stile, come l’uso delle baracche mobili, la creazione di burattini con radici di canna, l’introduzione del Pulcinella maschera, come è fortemente evidente in « Vita e Resurrazione di Pollicinella Cetrulo. » Poi, in una seconda fase, ho ripreso la creazione di spettacoli completamente nuovi come : « Pulcinella e la Rivoluzione francese » del 1989, oppure ho montato spettacoli potici di attualità come lo spettacolo sul progetto animazione creato già nel 1982-83 (si tratta di uno spettacolo che metteva in ridicolo, anche in senso autoironico, alcuni progetti del Comune di Napoli di animazione estiva con i bambini della città, ai quali partecipavo in qualità appunto di « animatore »).

Nella mia carriera artistica ho creato molti spettacoli, inventando addiritura nuovi Pulcinella come un Pulcinella palestinese dal nome Kusa Kat Kut, un Pulcinella del Chapas dal nome Chin Mut Chon e addirittura facendo uno spettacolo su San Gennaro, dove San Gennaro usa la pivetta e diventa una specie di Pulcinella.

A volte con scarsi risultati , a volte con risultati più eccellenti.

Ho continuato a fare tradizione ?

Secondo la definizione del vecchio indiano, io direi di si.

In verità, alcune mie creazioni come il parto di Pulcinella sono diventate di pubblico dominio, molti burattinai le hanno inserite nel proprio repertorio come scene originali, e uno studioso inglese (Byrom) lo cita in un suo articolo come canovaccio storico tipico della tradizione napoletana, per sottolineare un elemento che differenzia in maniera evidente la tradizione napoletana da quella inglese

Vorrei ora cercare di spiegare meglio l’idea.

Immaginiamo che la tradizione sia un albero. E un idea non troppo fantasiosa visto che gli spettacoli di ombre del Karagoz turco sempre cominciano con l’apparizione di un albero sulla scena. L’albero non è sempre uguale, a volte è spoglio, poi può mostrare i suoi boccioli, (i boccioli sono quelle piccole formazioni che appaiono in primavera prima dell’uscita di fiori e foglie) o può essere tutto pieno di tenere foglie verdi, riempirsi di fiori, di frutta, prima piccole e verdi e poi coloratissime, gialle, rosse, arancio, vermiglio, oppure perdere le foglie per ritornare a essere fatto solo di rami e mostrarci il suo affascinante scheletro.

L’albero ci mostra immagini diverse, certo col ciclo annuale tende a ripetersi, ma sempre in maniera differente, un anno ricco di boccioli ci dice che pioverà molto, e un altro anno, piu scarso di boccioli, ci dice che ci sarà un po di siccità (un nativo del sud del messico un giorno mi fece osservare lo stato di un albero, facendomi notare che la natura è in grado di prevedere il futuro delle stagioni a secondo di come l’albero si presenta, siamo noi che non siamo più in grado di leggere le lezioni della natura). Potremo considerare il tronco, la sua ossatura, come il repertorio base della tradizione. Ma l’albero al rinnovarsi di ogni ciclo delle stagioni non è sempre lo stesso, tende a crescere, da tenero arbusto fino a diventare gigante della foresta, così anche l’idea base della tradizione può subire delle variazioni.

Quando è che ferma la sua crescita ? Apparemente solo quando muore, se è un albero fortunato che non marcisce, il tronco diviene come di pietra e resiste nel tempo. Sicuremente avrà un grande fascino, ma non cambiera più molto nel tempo, e soprattutto non ci dirà piu nulla sul mutare delle stagioni ; potrà apparire diverso solo se vi cresce un parassita o un rampicante, ma se c’è un giardiniere che avrà cura di tenerlo pulito, conserverà il suo stato per un tempo più lungo. Il suo fascino statico cambierà solo in rapporto al paesaggio intorno e ai cambiamenti di luce, o se lo vediamo da diversi punti di vista. Per me, questo rappresenta la tradizione museificata, sempre molto affascinante ma non più vivente.

E bello, è importante il tronco ma quando è vivo è differente.

Questa è per me la tradizione. La sperimentazione puo essere un gioco dove con particolari potature (tagli dell’uomo sull’albero per indirizzarne la forma e la crescita) si cambia la forma dell’albero, oppure con innesti particolari (inserimento sull’albero di altre specie fruttifere, come si fa innestando su un pero selvatico un pero che da frutti buoni da mangiare) si può mutare la natura stessa dell’albero. Con particolari accorgimenti tecnici o genetici si possono addirittura creare dei mostri come quegli alberi potati a forma di oggetti (tradizione commerciale) o nuove specie transgenetiche (tradizione tradita). Ma comunque l’albero vero, l’albero vivo continua a sperimentare anche lasciato da solo nella foresta. Si potrebbe parlare cosi di tradizione morta, tradizione viva, sperimentazione, manipolazione che col tempo può diventare anche tradizione, (ad esempio il mandaarancio, frutto creato dalla sperimentazione genetica, viene spesso preferito al mandarino, frutto molto più antico).

Credo que questa idea dell’albero possa spiegare cosa è la tradizione.

Io all’inizio della mia carriera artistica tendevo a mitizzare il repertorio tradizionale sopratutto per l’aspetto rituale che si base essenzialmente sulla ripetizione, anzi parte del suo fascino nasce proprio da questa ripetizione, come per i bambini, che vogliono sentire una storia raccontata sempre con le stesse parole. Questo è giustissimo e i rituali vanno preservati, ci sono necessari. Ma ci siamo mai chiesti veramente a cosa servono i rituali? Il rituale in genere non è qualcosa dal valore assoluto ma è un rito di iniziazione, si potrebbe dire molto banalmente che è una introduzione all’azione.

Prima di andare a caccia o in guerra, facciamo un rituale particolare, prima di mangiare o bere facciamo un altro tipo di rituale che si ripete al ripetersi dell’azione. Alcuni rituali sono unici, come un matrimonio, una nascita, una morte. Ma poi, tranne che per il rituale che accompagna la morte, di cui ignoriamo il seguito, ma che comunque è necessario ai vivi per elaborare il lutto e continuare a vivere, segue l’azione: dopo la nascita la vita, dopo lo scongiuro l’esame, dopo il matrimonio la creazione di una famiglia, e altro ancora.

L’idea della tradizione come rituale è molto importante, ma mitizzare questa idea, fino a confondere il rituale con lo spettacolo è una forma di aberrazione. Come il bigotto che prega solo e confonde questo con la vita, che si perde nel rigraziamento e perde il gusto del cibo che poi mangia, anzi magari si sente pure in colpa per questo.

Il rituale nello spettacolo di guaratelle è fondamentale ma mitizzarlo è pericoloso e negativo, a volte viene usato da alcuni burattinai come un alibi che possa nascondere la propria incapacità di artista a creare nuove cose.

Ma il repertorio tradizionale non è importante solo dal punto di vista rituale. Capito profondamente diventa la base della creazione e quindi l’ossature della creazione, come il tronco per l’albero. Ma forse può diventare ancora qualcosa in più del tronco come il repertorio per i comici dell’arte, repertorio che era la base dell’improvvizazione e della creazione di nuovi canovacci nella commedia dell’arte.

Per me il repertorio sono come le carte dei tarocchi, un numero limitato di figure, con la cui combinazione è possibile indovinare le diverse possibilità che la vita ci può offrire nel gioco della divinazione. E questo si puo vedere facilmente nei miei spettacoli, ma anche in quelli della tradizione. In più, c’è da dire che a differenza dei tarocchi, il numero di figure possibili da combinare può crescere e variare.

Viva la tradizione !

Bruno Leone

fonte guarattelle.it

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