Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Ultime dall’eruzione del Vesuvio del 1779

Posted by on Set 12, 2021

Ultime dall’eruzione del Vesuvio del 1779

Sfogliando il bellissimo e quanto mai interessantissimo testo di Gaetano de Bottis, tutto dedicato all’eruzione del Vesuvio del 1779, ci si accorge di quanto questo uomo colto e attento ai fenomeni della natura, abbia in modo sostanzioso contribuito a rendere chiari (per quell’epoca) fenomeni naturali, tanto strettamente legati agli eventi eruttivi. Egli osserva, indaga ed analizza.

Trae conclusioni sue spesso totalmente in disaccordo con il pensiero scientifico dell’epoca e riesce ad elaborare la teoria, il ragionamento verificabile. Il suo è il linguaggio di un uomo che conosce la materia. Un curioso, intellettuale, innamorato della materia. Gaetano de Bottis nasce a Torre del Greco nel 1721 ed assiste in età matura a tutta quella straordinaria fenomenologia vulcanica che caratterizzò il Vesuvio per tutto il secolo XVIII. Lo colpiscono i fenomeni esplosivi, per i quali ha parole spesso epiche. Lo affascina il fuoco che vide da bambino nel 1727, passare accanto al convento dei Carmelitani della sua città. Lui conosce bene quella terra tormentata dalle lave del Vesuvio e ne è affascinato.

Gaetano de Bottis (Torre del Greco, 1721 – Napoli, 1790) è stato un naturalista e professore universitario italiano. Gaetano de Bottis nacque a Torre del Greco nel 1721. Ricevette l’ordinazione molto giovane, a soli 24 anni e fu sia professore di Sacra Liturgia presso il Seminario di Napoli, sia un naturalista alquanto dotato. Si interessò particolarmente di vulcanologia. Fu membro della Società Reale di Napoli, professore della Nunziatella e dell’Università di Napoli. Contribuì anche ad alcuni lavori nella sua città natale Torre del Greco. Lo scienziato italiano Luca de Samuele Cagnazzi (1764-1852) criticò gli insegnamenti e la stessa preparazione di de Bottis, affermando che, come il suo amico Alberto Fortis gli aveva fatto notare, il mondo accademico napoletano era sostanzialmente mediocre e “di tutto si voleva fare mistero specialmente nella chimica, come nella mineralogia. Io non aveva mai potuto avere una chiara idea dal sig. [Gaetano] de Bottis del sistema mineralogico stando in Napoli”.

Alcune note del suo bellissimo testo. Considerazioni fantastiche e uniche, come quella relativa al fiume sotterraneo della sua città. Il fiume Dragone che in silenzio scendeva dalla montagna di fuoco e che non aveva mai smesso di dissetare i suoi concittadini. Lui lo sente quasi scorrere sotto i piedi mentre il Vesuvio impazzisce durante quella devastante eruzione.

… Perocchè l’aria co’ ſuoi forti movimenti sviluppò l’altro fuoco, ch’era in altre sulfuree non accese sostanze e lo stesso fecero i vapori; imperciocchè è noto, che se il fuoco, in cui abbruciano ferro, rame, piombo, vetriuolo e oliose materie, quale è il fuoco del Vesuvio, diviene più rabbioso e più attivo, quando è toccato dall’acque o da’ vapori. Egli è noto, che se il piombo o il rame fonduto si metta in forine umide, producesi un grande strepito o se poche gocce d’acqua cadano nel rame, mentre si fonde, nasce un terribile romore  e ‘ l metallo salta fuori con gran impeto e si dissipa quà e là e fortemente percuote tutto ciò , che incontra , con pericolo di quei, che lo fondono e in fine se ponesi dell’acqua nell’olio, che bolle, anche nasce un forte scoppio. E quì mi torna a mente un  particolar fenomeno, che osser vai nell’Eruzione del Vesuvio, che seguì l’anno 1776, che io per le mie gravi occupazioni ,e per altre circostanze, che quì non giova riferire, non ho potuto finora descrivere, ma, fe farà piacer di Dio, descriverò in appresso; e il fenomeno fu quello, che segue. Da un gran torrente di fuoco, che discendea del Monte e camminava nel territorio della Torre del Greco, in vicinanza de’ nuovi Montetti, che sono presso a Bosco. Tre Case, si spiccò un ruscello. Questo nello scorrere per un coltivato campo, cadde in una cisterna piena d’acqua, che ivi era e come giunse a toccar l’acqua, con uno spaventoso fragore ne schizzò in aria una gran fiamma e la cisterna si ruppe ed egli mancò poco, che il fuoco non ammazzasse tutti circostanti, benchè non stessero molto vicino …  Nella Torre del Greco, di presso al mare, vi è un bellissimo fonte, la cui acqua scende dal Vesuvio per ascose vie, conforme altrove ho detto, per entro una lava, che uscì del medesimo Vulcano molto tempo innanzi, che succedesse quella terribile Eruzione, che ricoperse Ercolano e Pompei. Esso è sì copioso, che dà acqua per 24 cannoncini, a tutto quel popolato paese; e oltracciò quella, che rimane, volge un mulino, che macina nel tempo di 24 ore 40 tomoli di grano o circa. La dett’acqua si trovò per una mia congettura, che fu esaminata ed approvata dal famoso Architetto Vanvitelli; e se il Comune del mentovato Paese volesse continuare lo scavo in altri vicini luoghi, se ne potrebbe discovrire dell’altra, che in gran copia occultamente si scarica in mare. Non voglio quì passar con silenzio, un notabile avvenimento succeduto nel menzionato fonte e che concerne anche l’ultimo Incendio; ed è questo. Poco prima, che accadesse l’Eruzione, l’acqua di alcuni pozzi, che sono ne’ contorni del Vesuvio, scemarono e l’acque di altri mancaron del tutto; ma quel fonte non solo non mancò, ma nè pure assottigliossi dopo l’Eruzione sensibilmente crebbe, benchè le passate stagioni fossero state senza piogge e vicino alla sua origine vi ardesse per ancora il fuoco. Egli mi pare, che’l riferito fenomeno chiaramente dimostri, che il medesimo fonte debba principalmente la sua origine a’ vapori, ne’ quali si sciolgono le dette acque, raccolte nel seno del Monte, per forza del suo fuoco e che poi si condensano in qualche caverna, ch’è presto alla sua  scaturigine nella mentovata antichissima lava, per entro la quale le sue acque scorrono, secondochè sopra è riferito.

Il testo che ritengo prezioso, nel tracciare la storia eruttiva del Vesuvio è arricchito da stampe altrettanto importanti ed in questo modesto contributo alla ricerca, svolgono un ruolo importantissimo, in quanto ci consegnano l’immagine del territorio vesuviano verso la fine del secolo XVIII. La stampa in particolare che abbiamo scelto per commentare il testo, ritrae l’Atrio del Cavallo, in una prospettiva tridimensionale di grande bellezza, ma allo stesso tempo di grande valore scientifico. La didascalia che commenta la stampa, di Nicola Fiorillo, ritrae il Vesuvio nella sua fase eruttiva intermedia ed inquadra lo scenario della costa, della Penisola Sorrentina con Capri in lontananza. Al centro dell’Atrio de Cavallo ed in vicinanza di eruzioni del Vesuvio precedenti al 1779, si possono osservare due massi di dimensioni enormi, superano in altezza il garetto dei muli, che l’artista-incisore ha disegnato; sono bombe vulcaniche che sono più alte di un uomo e sono larghe due volte una persona.

A proposito del Canale dell’Arena, il testo del De Bottis, diventa ancor più importante. Spesso se ne parla nei testi antichi e moderni di vulcanologia e raramente se ne descrive la morfologia, le dimensioni. Qui, in questo testo un breve, ma importante cenno a questa formazione del lato occidentale del Vesuvio. Sembra che ciò che osserva il nostro vulcanologo,  sia talmente importante, da richiamare anche l’attenzione di Hamilton.

Nel detto Canale dell’Arena, oltre a queste pietre vetrificate di fuori e all’ altre, che ho accennate nell’antecedente Capo, ve ne sono molte altre, la cui parte esteriore il violento fuoco ha mutata in un perfetto va ch’ è il lupis obsidianus, vitrum Vulcanorum de’ moderni Naturali e un tal vetro in alcune pietre è della grossezza di una linea, in altre di due e in altre di un dito e più e in certe si dirama in graziosissimi scherzi. Lo spiccai da alcune di esse de’ pezzi assai curiosi; certi de’ quali somigliano ad un coltello ricurvo, che termina in punta molto aguzza; altri sono scanalati e diritti; e ne’ loro solchetti ai vedono de’ piccoli risalti conseai e dell’onde. Altri sono simili a’ guscj delle nuocciole ed altri de’ cocchi Americani; le loro superficie lucono alquanto e paion fibrose ed altri fono somiglianti a certi fregi, che sogliono fare gli Architetti ne’ capitelli, ed in altri altri lavori, quali sono le volute, le foglie, i cartocci, le golette, gli uovoli, ed altre sì fatte cose. Sento, che il  soprallodato M. Hamilton nella suddetta Opera abbia anche fatto rappresentare al naturale molte di queste maravigliose bizzarrie. In oltre questo vetro è di diversi colori. Ve n’ha de’ pezzi, che sono di un colore profondamente nero e molti sono di color oscuro gialleggiante ed in altri si vede il color rosso. Io n’ha che risplende come il rubino ed il suo ardore mirabilmente cresce, quando si espone al raggi del Sole, benchè sia screpolato e di poco fondo. Egli è in una pietra di color piombino chiaro. All’ultimo, questo vetro è molto duro e le si percuote coll’acciaio , rende luminose scintille.

fonte

Ultime dall’eruzione del Vesuvio del 1779 – VesuviowebVesuvioweb

Gaetano De Bottis Professore di Storia Naturale nelle Regia Università. Ragionamento Istorico intorno all’eruzione del Vesuvio che cominciò il dì 29 Luglio dell’anno 1779 e continuò fino al giorno 15 del seguente mese di Agosto. Napoli MDCCLXXIX, bella Stamperia Reale

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