Un comma dell’art. 117, il Decimo Emendamento e i quorum necessari per i referendum di Giuseppe Gangemi
Il centro del Titolo V è il ribaltamento di un piccolo comma dell’articolo 117. Nella versione del 1948, l’articolo 117 elencava le materie di competenza delle Regioni più altre materie riconosciute dalla Costituzione, più altre leggi e regole che potevano essere delegate dallo Stato alle Regioni con legge del Parlamento. Implicito era, nella Costituzione del 1948, che tutto quello che non fosse nell’elenco delle materie all’art. 117, in aggiunta a ogni materia non espressamente riservata dallo Stato alla legislazione delle Regioni, sarebbe automaticamente rimasto nella competenza legislativa dello Stato.
Nella versione del 2001, un piccolo comma ribalta l’art. 117. Il comma recita così: “Spetta alle Regioni la competenza legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.
Il nuovo comma dell’art. 117, Costituzione del 2001, è la traduzione quasi letterale del Decimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Questo così recita: “I poteri non delegati agli Stati Uniti dalla Costituzione, né vietati da questa agli Stati, sono riservati rispettivamente agli Stati o al popolo”.
C’è una differenza secondaria e una fondamentale tra i due testi. La secondaria: laddove il Decimo Emendamento parla di Stati, l’art, 117 parla di Regioni. Questo ha una conseguenza pratica: gli Stati hanno una loro Costituzione e una loro Corte Costituzionale, mentre le Regioni non hanno nessuna delle due.
La differenza fondamentale: il Decimo Emendamento delega i poteri anche al popolo; l’art. 117 nemmeno lo considera. Questo vuol dire che, negli U.S.A., in mancanza di iniziativa degli Stati o anche sovrapponendosi agli Stati in quanto il popolo è il titolare della sovranità originaria, gli Stati solo di una sovranità delegata loro dal popolo, il popolo può legiferare sostituendo lo Stato.
Nella storia costituzionale statunitense, questa sostituzione è avvenuta spesso, in modo sempre più frequente dalla fine della Presidenza Grant alla prima guerra mondiale. Il risultato è stato quello di ridurre la corruzione politica, sempre più diffusa per i brogli che caratterizzavano le primarie di partito. Il popolo, con referendum, in molti Stati impose una legislazione statale per regolare il modo di realizzare le primarie.
Altro elemento importante che deriva dal Decimo Emendamento: quando il Parlamento modifica una legge approvata con referendum popolare, un comitato di cittadini può rivolgersi alla Corte Costituzionale statale per chiedere che la legge venga ripristinata nella forma approvata via referendum. Molte Corti Costituzionali statali hanno sostenuto la posizione dei referendari realizzando, in un terzo di secolo, un enorme processo di riforma che ha modellato sia i criteri di selezione dei candidati, sia il modo di eleggerli. In Italia, niente del genere è possibile. Perché?
Perché i poteri riconosciuti ai cittadini italiani sono limitati e facilmente aggirabili o manipolabili dalle maggioranze parlamentari.
Esempio: Art. 50: “Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per prendere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità”. Non è previsto alcun obbligo alle maggioranze parlamentari di prendere in considerazione queste petizioni. Spesso, queste finiscono in un cassetto e vengono dimenticate; Art. 75: “È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”. Negli USA è possibile proporre un testo di Legge (una petizione) e farlo approvare per referendum (approvativo).
Nei primi 60 anni della Repubblica Italiana, il popolo è stato chiamato a pronunciarsi su 66 referendum. Il primo, per scegliere tra Monarchia e Repubblica nel 1946. Il secondo, nel 1974, sulla Legge per il Divorzio del 1970 (fu vinto dai favorevoli alla legge). Nel 1978, per l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti (fu vinto dai contrari all’abrogazione). Nel 1993, secondo referendum per l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti (fu vinto dai favorevoli all’abrogazione con il 90,3% dei voti validi). In quindici anni, i partiti erano riusciti a bruciarsi una quantità enorme di consensi. Gli elettori, a ragione, non si fidavano più di loro.
Nel 1991, il primo referendum per modificare la legge elettorale proporzionale: vincono quanti vogliono la riduzione a una delle preferenze per la Camera dei Deputati. Gli elettori hanno capito che la seconda, terza e quarta preferenza venivano usate, dai candidati, per violare la segretezza del voto.
Nel 1993, il 90,1% dei votanti si pronuncia per la Soppressione del Ministero delle Partecipazioni Statali. Percentuali più basse portano alla Soppressione del Ministero dell’Agricoltura e del Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Meno di 4 mesi dopo l’abolizione, il Ministero dell’Agricoltura cambia solo di nome e diventa Ministero per il coordinamento delle politiche agricole, alimentari e forestali. È la prima esplicita presa per i fondelli!
Più grave la seconda: il referendum che abroga il finanziamento pubblico ai partiti. Il Parlamento approva una nuova legge con cui i soldi ai partiti arrivano comunque, ma non sono più chiamati “finanziamento ai partiti” bensì “rimborso elettorale ai partiti”. E sono più di quelli che arrivavano prima.
Non c’è da meravigliarsi se i successivi 26 referendum, esclusi i due per l’approvazione delle modifiche alla Costituzioni, per i quali non è richiesto alcun quorum, sono stati tutti privi di effetti per il mancato raggiungimento del quorum. Nel 2011 raggiungono il quorum quattro referendum, due proposti da un Comitato non partitico e due proposti dall’Italia dei Valori, cioè da Di Pietro. Nel 2012 e 2016 vengono proposti dei referendum da 9 consigli regionali, Nessuno raggiunge il quorum.
Date queste premesse, il Ministro Calderoli e il governo Meloni hanno agito convinti che, se si va a referendum, il CentroSinistra non riuscirà a portare a votare il 50,1% degli elettori e raggiungere il quorum. Del resto, l’astensionismo normale è stato, nelle elezioni politiche degli ultimi 15 anni, superiore al 20% e crescente (21,9% al 2008, 24,8% al 2013, 27,1% al 2018 e 36,1% al 2022), Basta, quindi, che tra il 20% e il 30% di elettori del CentroDestra non si rechino a votare perché venga a mancare il quorum e ci toccherà tenerci l’Autonomia Differenziata nella forma porcellum e incostituzionale in cui è stata approvata.