UN FRAMMENTO DI VITA di Alfio BORGHESE
Michele ROSA, pittore a tratti esistenzialista, ci appare come il primo che ha fatto uscire l’arte dall’area tracciata negli ultimi decenni. Si pone sulla soglia del pensiero moderno e non soltanto quello dal quale discende l’opera di Kierkegaard, che dell’Esistenzialismo è il padre. Un frammento di vita, del filosofo danese pubblicato nel 1843, è infatti lo scritto più lungo, più articolato e più celebre che provocò da subito molto sconcerto.
Il dualismo con l’arte di Rosa è evidente e, a mano a mano che il messaggio sociale dell’artista è filtrato nella cultura europea negli ultimi settantacinque anni, il turbamento emotivo è diventato quasi la bandiera, alta e labirintica, il cui pensiero viene a bagnarsi in tutte le acque della vita, dove ogni asserzione su tela, ogni affermazione espressa con mille colori, sfida la prova del paradosso e dell’ironia.
Lo stesso fu per la reazione quasi unanime dei contemporanei a tutta l’opera di Kierkegaard i quali insorsero con una proliferante opposizione poi virata in costruttivo confronto.
La contaminazione geniale del pensiero opera sempre negli ambienti intellettuali una specie di tumultuoso sovvertimento negli addetti e non. Il compito dell’artista dunque si compie: provocare le menti, gli animi e le coscienze per stimolare il dibattito. Come sostiene il filosofo Edgar Morin, sappiamo bene come la facoltà di ragionamento è ridotta o compromessa da un deficit di emozione.
Dinanzi ai quadri in mostra ciò non può avvenire essendone protagonista l’impressione emotiva e passionale suscitata nell’animo del fruitore. Anzi, succede il contrario. I dipinti intrisi di linguaggio e di pensiero offrono i mezzi moltiplicativi attraverso i quali l’uomo assume numerosi segnali che inducono alla riflessione e al ragionamento. L’elaborazione mentale che si innesca difficilmente si arresta in banali e prevedibili affacci mentali. I recessi più remoti della mente si spalancano su panorami insospettabili e largamente appaganti per la mente e per l’anima.
La conoscenza che l’artista vuole portare al pubblico è per gran parte l’elaborato del soggettivo e involontario lavoro di ricostruzione, traduzione e interpretazione che inevitabilmente il visitatore si troverà a fare. La rassegna dal titolo “un frammento di vita” é il sicuro frutto di una nuova visione del mondo cui si aggiunge, come sempre, l’emozione delle nostre inquietudini e i nostri desideri.
Il bagliore del quale siamo investiti ci trapassa producendo un inebriante scuotimento del profondo. Si ingrandiscono così a dismisura le sensazioni soggettive che diventano proiezioni inedite e positive della percettività in una restituzione personale al cui cospetto si troverà ognuno di noi con sorprendente fantasia. Una sorta di riviviscenza dell’arte relazionale dove il pubblico fruitore partecipa alla costruzione o alla definizione dell’opera che scruta, magari esternando un commento (anche negativo, perché no), una smorfia, un sorriso.
All’artista non interessa solo la produzione di superfici tipicamente estetiche, si adopera per innescare la creatività del pubblico e osservarne la reazione. Trasforma così la tela nella metafora dello specchio, inserisce l’oggetto dell’arte in un bipolarismo dialogante, un luogo di confronto e relazione per chi guarda.
La forma armoniosa delle composizioni pittoriche talvolta di aspetto astratto-concettuale, più raramente incline a forme e digressioni classicheggianti o accademiche, non distoglie dalla ricchezza dei significati espressi. Le opere in mostra propongono una puntigliosa fedeltà al testo kierkegaardiano mostrandone tutti i temi dell’opera filosofica riorchestrati e rielaborati, primi fra tutti la concordanza fra estetica ed etica. Oppure il contrasto fra esse. L’artista ci propone provocazioni visive fra le quali si perde l’importanza dell’opera per far assume maggiore centralità al processo di scoperta e d’incontro col fruitore per il gusto di saggiarne la reazione.
Focalizzando l’interesse sulle modalità di manifestazione dei fenomeni storico-sociali, Miche Rosa da decenni si occupa di riportare attentamente in pittura le geografie del pensiero occidentale. Guardando le coloratissime tele diventa così possibile leggere il mondo (diritti umani, denuncia degli elementi autodistruttivi del consumismo e della finanza d’assalto, libertà di pensiero, ricerca della nascosta bellezza interiore del genere umano, ecc.), dal momento che le sensazioni recepite sono il motore della passione e l’affettività. Esse non proiettano solamente gli umori della propria coscienza ma assistiamo al primo orchestrarsi di quel meraviglioso contrappunto tra arte e filosofia, tra cultura e ambiente, per aprire un perplesso squarcio sul finito.
Paradosso e ironia cui si accennava all’inizio, e di cui le tele grondano, invitano a dedicare un frammento della nostra vita non a guardare, ma a “vedere” e penetrare le opere in mostra. Per aprire quel poco di infinito che è in ognuno.
Alfio Borghese