Alta Terra di Lavoro

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Un inedito Crocco

Posted by on Mag 14, 2021

Un inedito Crocco

Estate, tempo d’evasione e di… evasioni. Chi non ricorda la fuga agostana di Kappler?

Nella nostra zona evasioni celebri ce ne sono state poche.: di una ( o meglio, di un tentativo di evasione) fu protagonista il brigante Crocco. 

Tutti conoscono le gesta di Carmine Crocco detto Donatelli, il leggendario capo delle bande brigantesche che sconvolsero il Mezzogiorno nel periodo di formazione dello stato unitario: con una forza di sbandati e di insorgenti che raggiunse e superò tremila unità, Crocco – autonominatosi generale di  re Ferdinando II – tenne in scacco per alcuni anni, scorrendo le campagne lucane e pugliesi, le forze regolari piemontesi; macchiandosi di un centinaio fra delitti, rapine e grassazioni, spinse alla ribellione contro re Vittorio – anche con l’aiuto dello sfortunato generale spagnolo Borges – intere popolazioni meridionali; consegnatosi, fu condannato a morte e, successivamente graziato, finì i suoi giorni nel bagno penale di Portoferraio, dove dettò le sue memorie.

Pochi, invece, sanno che don Carmine, agli inizi della sua…carriera ebbe a che fare con Brindisi: disertore dell’esercito borbonico, si era reso colpevole di alcuni delitti comuni; catturato e processato, fu mandato nel bagno penale di Forte di Terra nel nostro capoluogo per scontare (come servo di pena di terzo grado[i]) la condanna di diciannove anni “ai ferri” inflittagli: troppi per l’irrequieto lucano che, appena ne ebbe la possibilità, evase e se tornò nei suoi boschi.

Era la notte di santa Lucia del 1859.  La sua, a dire il vero, fu un’evasione poco rocambolesca: mandato con un altro conterraneo (Michele D’Amato) a prendere l’acqua necessaria per i fabbisogni giornalieri dei detenuti, scavalcò il muro di cinta, superò il fossato e divenne uccel di bosco.

Ancor meno avventuroso fu però un precedente tentativo di fuga, perpetrato il 19 di luglio del 1856, d’estate appunto.

Gli storici che si erano occupati di Crocco ne avevano dato fugace notizia non corredandola, tuttavia, dei particolari che giacevano inconsultati nelle carte dell’Archivio di Stato di Lecce. Nel curare la ripubblicazione delle memorie del brigante, mi sono imbattuto nel fascicolo del processo per quel tentativo di evasione: da esso si possono ricavare alcune considerazioni preliminari che ritengo utili  per la  conoscenza del lettore: il fascio di carte del fondo “Processi penali” si compone del fascicolo istruttorio (318a) e di quello dibattimentale (318b). Entrambi, rilegati con filo di cotone, mostrano un ordine ed una precisione che non credo possano paragonarsi a quelli dei processi attuali.

Ancora: il tentativo di fuga, come detto, avviene il 19 luglio; il 13 agosto la Direzione dei Bagni invia il certificato penale di Crocco; l’istruttoria viene chiusa il 15 settembre; il dibattimento ha inizio il 22 dello stesso mese; la sentenza è del 2 ottobre.  In poco più di due mesi la giustizia ha fatto il suo corso: e siamo nel 1856. Che dire delle lungaggini processuali attuali? Senza imbarcarmi in considerazioni di più ampia portata sulle forme e sui contenuti della giustizia nel Regno delle Due Sicilie, non posso però che sorridere quando oggi, per deprecare le lungaggini burocratiche attuali, viene accostato in senso dispregiativo al termine “burocrazia” l’aggettivo “borbonica”.

Torniamo al tentativo di evasione: i condannati, di giorno normalmente ferrati a coppia, di notte venivano ferrati ad un’unica catena agganciata alle pareti del “camerone” dove passavano la notte.

Stesi sul pavimento, avvolti nelle coperte, gli uni addossati agli altri, trascorrevano in condizioni veramente disumane la notte tra topi e insetti vari,  tormentati dal fetore che si sprigionava da buglioli senza coperchio che venivano poi svuotati al mattino nel cesso che gli stessi carcerieri definivano “luogo immondo”.

Le guardie carcerarie il mattino del 20 luglio 1856, nell’aprire il secondo “salone” trovano “rotta la porta del suo luogo immondo”. Nel medesimo luogo individuano “un’apertura bastantemente grande, corrispondente nella cosi detta segreta generale”. E’ accaduto infatti che una decina di galeotti (Donato Palazzo di Rionero, Gerardo Trafficante di Rionero, Vincenzo Masiello di Bella, Vito Lenge di Tolve, Lorenzo Afflitto di Caserta, Giovanni Petrone di Tufara?, Giovanni Miraglia di Chiaromonte, Vito Fronzuto di Tolve, Francesco Nolè di Atella e Carmine Crocco) nottetempo, con un paletto di ferro “di ambi le parti appontate lungo due palmi” ed uno scalpello “lungo un palmo”, si sono “sferrati e rotte le catene” per poter evadere. Forzata la serratura del “luogo immondo”, con gli stessi strumenti (poi abbandonati) hanno praticato un foro nel pavimento e si sono calati nelle “segrete generali”. Qui li aspetta però un’amara sorpresa: la porta è sbarrata “con suo bastante catenaccio”.  Il forte chiavistello, nonostante “le violenze subìte” ha resistito all’assalto, costringendo i malfattori a tornarsene nel dormitorio. Ed è lì che “sferrati” vengono trovati dai secondini. Il tentativo è fallito, gli autori smascherati e mandati sotto processo.

Crocco viene condannato ad un aggravio di pena di 18 mesi e gli viene pure inflitta la pena accessoria di 45 giorni di “doppia catena”. Come già detto non si perderà d’animo e, alla prima occasione, “saluta” Brindisi e se ne scappa per scrivere – con migliaia di altri cafoni – una delle pagine più insanguinate del nostro mezzogiorno.

Durante la fuga verso la sua Lucania ( ma questa è solamente una leggenda paesana) passa la prima notte da evaso in una masseria seicentesca di San Vito (17 km da Brindisi): almeno così raccontava a mio padre il nonno, aggiungendo che la masseria è quella stessa che ci tramandiamo da generazioni, nei ruderi della quale – per trovare riparo alla calura di questi giorni – ho scritto queste brevi notarelle.

[i] La condanna ai ferri era di quattro gradi, ciascuno di sei anni. Il primo andava da sette a dodici anni, il secondo da tredici a diciotto, il terzo da diciannove a ventiquattro, il quarto da venticinque a trenta.

Valentino Romano

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