Un nuovo Re candidato alla Gloria degli Altari : Francesco II delle Due Sicilie
Il cardinale Crescenzo Sepe, due giorni prima di venire accolta la sua rinuncia per raggiunti limiti di età alla sede episcopale della diocesi di Napoli, il 10 dicembre di quest’anno, festa della Madonna di Loreto, ha pubblicamente fatto riferimento alla prossima apertura della causa di beatificazione e canonizzazione di Francesco II di Borbone, ultimo Re delle Due Sicilie, nato nel 1836 e morto nel 1894, figlio della beata Maria Cristina di Savoia (1812 – 1836) e di Ferdinando Carlo Maria di Borbone (1810 – 1859), salito al trono il 22 maggio 1859 e deposto il 13 febbraio 1861 con l’annessione del Sud al Regno d’Italia, nato dal movimento politico e culturale liberal-massonico.
La notizia pubblicamente presentata dal Cardinal Sepe rimanda alla Sessione del tribunale Regionale Campano per le Cause dei Santi, che ha visto l’apertura dell’inchiesta diocesana sulle virtù del Servo di Dio don Raffaele Scauda e su un presunto miracolo attribuito all’intercessione alla giovanissima serva di Dio Angela Iacobellis. Ha affermato il già vescovo di Napoli: «Nella prossima riunione i Vescovi della Campania presenteranno due nuovi candidato alla santità, tra loro c’è un Re, Francesco II». La riunione della Conferenza dei Vescovi della Campania è prevista per il 16 dicembre p.v. Per il sovrano borbonico, profondamente cattolico, inizierà, quindi, il lungo percorso del processo per riconoscere il grado eroico delle sue virtù.
La sua figura ricorda, per certi versi, quella del beato Carlo I d’Asburgo (1887 – 1922), ultimo imperatore d’Austria, Re Carlo IV d’Ungheria, Croazia, Slavonia e Dalmazia e re Carlo III di Boemia, monarca della Casa d’Asburgo-Lorena e Austria-Este, beatificato da papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 2004. Ambedue sono stati costretti a soccombere contro le manovre, sia belliche che diplomatiche e culturali, di stampo liberale, massonico, ferocemente anticattoliche e contro la forma istituzionale monarchica di stampo tradizionale.
Maria Cristina di Savoia, beatifica il 25 gennaio 2014, si spense quindici giorni dopo la sua nascita e da lei Francesco ereditò molto del temperamento e dello spirito cattolico. Sia il padre che la sua seconda moglie, la Regina Maria Teresa d’Asburgo (1816-1867), gli impartirono, con l’ausilio dei padri Gesuiti, un’educazione fortemente religiosa, ma non priva di cultura generale, anche se non ebbe mai quella militare di cui era ricco Ferdinando. «Per altro, questi gli insegnò sempre l’amore al Regno e i suoi doveri verso i sudditi, che venivano prima di ogni altra cosa, dopo quelli verso Dio, naturalmente. In ogni caso, i rapporti con la matrigna non dovettero essere facili, in quanto, come è anche naturale, ella pensava anzitutto ai propri figli (ne ebbe 11, fra cui il futuro capo della Real Casa dopo la morte di Francesco, Alfonso Maria, Conte di Caserta)»[1].
Francesco divenne re a 23 anni e si trovò ad affrontare l’ostilità della seconda moglie di Ferdinando II, che cercò in tutti i modi di favorire il proprio figlio, Luigi conte di Trani (1838 – 1886) a svantaggio di Francesco, ponendo ostacoli su ostacoli, rendendogli più che mai difficile l’esercizio del potere. Si architettò addirittura una congiura per sostituire Francesco con il conte, ma le supposte prove raccolte dal generale e politico Carlo Filangieri (1784 – 1867), vennero gettate nelle fiamme del camino dallo stesso Francesco II, che pronunciò le parole: «È la moglie di mio padre».
Nonostante le problematiche interne familiari, Francesco II di Borbone riuscì, in un anno e mezzo appena, a gestire con efficacia il governo del regno, realizzando anche diverse importanti riforme: concesse più autonomie ai comuni, emanò amnistie, nominò commissioni aventi lo scopo di migliorare le condizioni dei carcerati nei luoghi di detenzione, dimezzò l’imposta sul macinato, ridusse le tasse doganali, fece aprire le borse di cambio a Reggio Calabria e a Chieti. Emanò ordini per l’acquisto di grano all’estero per rivenderlo sottocosto alla popolazione e per donarlo alle persone più indigenti in un tempo in cui i suoi territori erano stati colpiti dalla carestia. Inoltre, il sovrano mise nella sua agenda di governo l’obiettivo di far ripartire i progetti di ampliamento della rete ferroviaria: con decreto del 28 aprile 1860 prescrisse l’ampliamento della rete con la linea Napoli-Foggia e Foggia-Capo d’Otranto; in seguito ordinò le linee Basilicata-Reggio Calabria e un’altra per gli Abruzzi, e già aveva in animo di avviare la linea Palermo-Messina-Catania.
Il 1° marzo 1860 prescrisse a tutti i fondi la servitù degli acquedotti, favorendo la bonifica organizzata dei campi e la loro corretta irrigazione, offrendo quindi grandi vantaggi alla salute pubblica, minata dagli impaludamenti, che arrecavano tifo e malaria. Nel 1862, già esule a Roma, inviò ancora una grossa somma ai napoletani, rimaste vittime di una forte eruzione del Vesuvio.
In politica estera, aderì alle posizioni conservatrici dell’Austria. Nel 1859 approvò con proprio atto la ricostituzione dell’Ordine Militare di Santa Brigida, di cui era molto devoto: le costituzioni furono accolte in Capua dal cardinale Giuseppe Cosenza (1788 – 1863).
Francesco II e Maria Sofia nel 1865
Francesco si unì in matrimonio alla diciasettenne Maria Sofia di Baviera (1841 – 1925), figlia del duca Massimiliano (1808 – 1888), nonché sorella di Elisabetta (1837 – 1898), la celebre «Sissi» (più correttamente «Sisi»), insieme ebbero un’unica figlia, Maria Cristina Pia, nata il 24 dicembre 1869 e spirata il 28 marzo 1870.
«Piuttosto che stare qui, amerei morire negli Abruzzi in mezzo a quei bravi combattenti», disse Maria Sofia riferendosi all’epica difesa dell’ultima roccaforte del regno del Sud, il forte di Civitella del Tronto, in Abruzzo. Fu regina delle Due Sicilie fino alla capitolazione di Gaeta del 13 febbraio 1861, dove la corte si era rifugiata il 6 settembre 1860 per tentare un’ultima resistenza alle truppe piemontesi. La sovrana incoraggiò i soldati borbonici, distribuendo loro medaglie con coccarde colorate da lei stessa confezionate e prese a visitare i feriti negli ospedali di guerra. Quando, poi, a Gaeta la situazione peggiorò sempre più a causa della scarsità di cibo, del freddo e della diffusa epidemia di tifo, il marito la invitò a lasciare la roccaforte, ma la Regina fu irremovibile e rimase al suo posto.
Medaglia del 1861, in argento, coniata in Germania ad opera di Friedrich Brehmer in omaggio a Maria Sofia
Dopo la caduta del Regno, i reali furono ospitati a Roma da papa Pio IX (1792 – 1878), prima al Quirinale poi a Palazzo Farnese, fino al 1870. In questi anni, essi tentarono dapprima di fomentare la resistenza filoborbonica che stava prendendo piede nell’ex-Regno, tuttavia, ogni sforzo di insorgenza era soffocato e per evitare spargimento di altro sangue, di altro odio e di altro dolore, Francesco II e la moglie si ritirarono dalla scena pubblica. La fedeltà e l’affezione di migliaia e migliaia di persone, militari e non, dimostrata dapprima con il sacrificio della propria vita per difendere il Re, sono proseguite anno dopo anno, decennio dopo decennio, con una perdurante e inesausta memoria, che prosegue tuttora, con determinazione e costanza, grazie anche a seri studi storici, ai Convegni della Tradizione Cattolica, organizzati da Pucci Cipriani e che quest’anno giungono alla XXXIII edizione; alle rievocazioni storiche, alla devozione popolare per un sovrano morto in concetto di santità.
Privati dei loro beni personali, sequestrati senza alcun diritto né giustificazione da Garibaldi, non solo i beni immobili, ma anche quelli mobili, la coppia reale, talvolta braccata e assediata dai liberali, si spostò da un luogo all’altro, trovando poi sistemazione duratura a Parigi, e talvolta in Baviera nelle tenute della famiglia di Maria Sofia, dove dimorarono modestamente, con grande dignità e onore. Durante un viaggio compiuto nel 1894, Francesco II, che aveva vissuto sempre con la coscienza al cospetto di Dio, praticando una costante vita di pietà, fatta di preghiera e di accostamento ai Sacramenti, si spense a 58 anni il 27 dicembre di quell’anno, carico di amarezze e di ingiustizie subite, ad Arco, in provincia di Trento.
Tutta la sua esistenza fu un inno alla fede applicata al proprio dovere di Stato, ed egli, essendo stato chiamato a regnare, in tempi tragici, si sentì pienamente investito di tale grave responsabilità. Considerò sempre la fede garanzia di ordine, di forza e di unità in un’Italia ricchissima di tradizioni con le sue diverse popolazioni. Lascia scritto lo stesso Francesco II in un capolavoro di lucidità politica e di credo religioso: «Ogni città d’Italia ha le sue tradizioni, i suoi costumi, le sue glorie, i suoi pregiudizi […] Che cosa ha fatto il Governo italiano per acclimatare questi elementi eterogenei? Che cosa ha fatto per affezionarsi queste popolazioni? Nulla anzi, ha lavorato e lavora per frangere la sola unità che vi rimaneva, quella unità che l’ha redenta dalla vera schiavitù; unità religiosa, l’unità di fede che col sangue di milioni di martiri gli aprì la via della vera Civiltà. Non fu forse lo stendardo della Croce quello che tenne alto il nome italiano allorché nazioni barbare, allettate dal suolo ferace, si avvicendarono a calpestarla! Perché, chiederei io, il partito che domina osteggia tanto la religione cattolica la quale, dobbiamo convenire, è radicata nel cuore delle popolazioni italiane! Non si può negarsi che il Governo invece di farsene scudo e servirsene come elemento di forza vuole ad ogni costo estirparla: qual è lo scopo che si prefigge di raggiungere? […] Quello che gli Spiriti forti chiamano fanatismo religioso è il solo capace di eroismi senza allettamenti di umani compensi. Or quella unità che in se contiene il germe della forza ed alla quale un nuovo governo avrebbe dovuto afferrarsi coll’ansietà del naufrago all’antenna galleggiante di noi si sconosce, si combatte, si rinnega; e nel tempo stesso che nazioni barbare si riparano sotto l’insegna di Cristo come scudo di salvazione, noi fuorviamo e proclamiamo, non la libertà di coscienza, ma l’avversione al cattolicesimo e per smarrire così le popolazioni nell’oscuro caos del dubbio e delle congetture sperperandole in luogo di riunirle. Che non si illudano i Governi; la Religione è elemento di ordine e di forza; senza religione non v’ha progresso civile. I più vasti Imperi caddero allorché persero ogni credenza! L’impero dei Santi sopravvenne e la mollezza e la depravazione si diffusero. Corrompete i costumi e imperate fu la filosofia di quei tempi. Corrompete e imperate, pare fosse la filosofia del nostro progresso: le conseguenze potrebbero essere le stesse»[3].
Questo brano di re Francesco II, tratto dal suo testo dal titolo «Riflessioni sull’Opuscolo Armi e Politica», scritto negli ultimi anni di vita proprio ad Arco, è stato ritrovato dal ricercatore e collezionista Girolamo Broya de Lucia, per essere poi pubblicato integralmente nel saggio curato dal Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio: AA.VV., Francesco II di Borbone, il Re Cattolico, Centro Studi sul Risorgimento e gli Stati Preunitari, Modena 2015. Una trentina d’anni dopo l’invasione piemontese del Regno, l’ultimo Sovrano delle Due Sicilie guarda, in questo suo elaborato, senza acrimonia ma con grande e chiara visione ai risultati disastrosi dell’unificazione dell’Italia ed all’operato del Governo italiano, formulando quella che appare oggi come una profezia.
«L’unificazione italiana si attuò con la violenza, in spregio del diritto internazionale e della legge naturale», scrive lo storico Roberto de Mattei nell’introduzione al volume citato, «il conte di Cavour, che ne fu il principale artefice, era un politico spregiudicato ed immorale, che usò tutti i mezzi per raggiungere il suo scopo, incoraggiando il terrorismo di Mazzini e l’avventurismo di Garibaldi. Il principio cavourriano, libera Chiesa in libero Stato, separò di fatto non solo la Chiesa dallo Stato, ma anche la politica dalla morale. La figura di Francesco II ci offre, al contrario, un esempio di moralità e di dedizione al bene comune su cui, nell’epoca di capovolgimento di valori in cui viviamo, è importante meditare: Come negare valore profetico alle parole che risuonano nel Manoscritto del Re delle due Sicilie? […] Le conseguenze di questa corruzione, da oltre 150 anni sono sotto i nostri occhi»[4].
Con l’annuncio dell’apertura di una prossima causa di beatificazione e canonizzazione di Francesco II Borbone, la Chiesa darebbe giustizia storica ad una figura che è stata troppo vilipesa dalla parte avversa e nemica, un Re che andrebbe ad aggiungersi alla grande schiera di sovrani che hanno contribuito davvero al bene comune in Europa, nel nome della Santissima Trinità, con un impegno personale ad una vita austera e umile di fronte a Dio e agli uomini, dando conto in prima persona dei valori veri e autentici, discendenti dalla legge naturale e divina, testimoniando così che cosa significhi essere persone timorate di Dio e proprio per questo illuminate nella ragione e pronte ad amare il prossimo come se stessi.
Cristina Siccardi
Tratto da: Europa Cristiana
Almeno avesse questo riconoscimento questo Re Francesco, povero fanciullo rimasto orfano di madre dopo pochi giorni dalla sua nascita, e cresciuto poi con la matrigna che avendo avuto un sacco di figli suoi lo guardava ovviamente in cagnesco perche’ di ostacolo a che uno potesse succedere a Ferdinando Il… il quale per fortuna amava il suo primogenito che tanto aveva desiderato dalla sua prima moglie, morta dopo quindici giorni dal parto… Lo aspettava una vita difficile e piena di dolore, e che abbia questo riconoscimento ufficiale almeno dalla Chiesa, che ha sempre frequentato e gli ha dato forza nell’affrontare tutte le tristi vicende che ma vita gli ha riservato, mi sembra una cosa giusta! caterina ossi