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UN PO DI CESARE DI LOMBROSO

Posted by on Gen 17, 2018

UN PO DI CESARE DI LOMBROSO

RESTITUITECI QUEL CRANIO

Il comune di Motta Santa Lucia rivuole indietro i resti del brigante Villella custoditi a Torino nel museo Lombroso

È un cranio il pezzo più prezioso del Museo di antropologia criminale di Torino intitolato a Cesare Lombroso, quello del brigante Giuseppe Villella, ma un comune calabrese adesso lo rivuole indietro.
Il moderno museo, situato in via Pietro Giura è – si legge sul sito web – un unicum al mondo per i “reperti” raccolti.
Ha visto la luce un anno fa, ma è stato ribattezzato da una sfilza di associazioni d’ispirazione “neoborbonica”che lo contrastano a colpi di carta bollata “il Museo degli orrori”. O “fossa comune” (Lombroso non catalogava) di crani di briganti meridionali, catturati e fucilati dai soldati del nascente Stato italiano, e di pazzi dalle varie gradazioni su cui lo psichiatra nato a Verona nel 1835 infieriva con compassi “a branche curve” e scalpelli seghettati.
Ora però quel cranio speciale, che se venisse meno farebbe crollare la pubblica collezione del brivido, il castello di sgangherate macchinazioni ed altre stravaganze bocciate dalla scienza, lo rivuole il piccolo comune calabrese di Motta Santa Lucia.
Non per farne una copia da esporre in un museo di perversioni necrofile, ma per seppellirlo. Spiega Amedeo Colacino, sindaco di Motta Santa Lucia (a un salto da Lamezia Terme) e pronipote del brigante Villella per parte di madre: «Rivogliamo quel cranio per dare finalmente degna sepoltura ad un nostro concittadino».
Infatti quel cranio, su cui Lombroso ha incentrato la sua stupefacente teoria, è di Giuseppe Villella, nato a Motta Santa Lucia nel 1803 e morto a Pavia nel 1872.
La teoria lombrosiana che tanti pregiudizi contro i meridionali ha amplificato, poggia sulla cosiddetta “fossetta occipitale mediana” che Lombroso asseriva di avere individuato nel cranio di Villella.

All’alba del 4 gennaio 1871, nel suo laboratorio all’Università di Pavia, dopo aver scoperchiato il cranio del brigante Villella («un tristissimo uomo di anni 69, condannato tre volte per furto e incendio di un mulino, ipocrita, astuto, taciturno, ostentatore di pratiche religiose, di cute oscura, tutto stortillato, morto per tisi, scorbuto e tifo nel carcere di Vigevano » dove era stato trasferito e dove lo psichiatra
ha avuto il permesso di asportarne la testa), Lombroso asserisce di vedere la “fossetta occipitale mediana”.
La chiave di volta di ogni devianza. Su cui Lombroso intendeva fissare “scientificamente” i caratteri del cosiddetto «tipo criminale, pazzo, mattoide e geniale». Fu così che, in maniera del tutto arbitraria dal punto di vista scientifico, Lombroso fece di Giuseppe Villella il simbolo della sua folle teoria sulle “fossette occipitali”. E «il simbolo – accusano i contestatori del museo torinese – di tutta la delinquenza calabrese e meridionale, contribuendo alla creazione di preconcetti razzisti».
La reazione del comune di Motta Santa Lucia è condensata in una “delibera” inviata al Museo torinese, ai Ministri competenti ed al Presidente della Regione Calabria. Ma è più di un semplice atto amministrativo. È l’appassionata rivendicazione di un’identità meridionale sacrificata ieri, per comporre l’Unità d’Italia, e oggi sbeffeggiata dalla contraddittorietà con cui il Paese si approssima a celebrare il 150mo compleanno. In effetti, daunlato si batte il tasto dell’orgoglio nazionale che ci deve vedere tutti sulla stessa zattera e, dall’altro, si consente l’ostentazione pubblica non soltanto di una teoria scriteriata, ma persino dei corpi (o di quel che rimane) dei meridionali che, per non suscitare scandalo, si continua a definire delinquenti e non briganti.
Pur sapendo che, come illumina la delibera del comune, “le più recenti e aggiornate ricerche storiografiche testimoniano definitivamente la natura politica del cosiddetto brigantaggio post-unitario, fenomeno vasto, articolato e tutt’altro che inquadrabile in un contesto di ordinaria delinquenza o di follia criminale”.
Non ha dubbi il sindaco Colacino: «Il brigantaggio fu un fenomeno drammatico con conseguenze pesantissime ai danni delle popolazioni meridionali ed in particolare calabresi e lucane con episodi intollerabili di violenza che arrivarono fino alla decapitazione sistematica della nostra gente da parte delle truppe piemontesi, mentre le teorie di Cesare Lombroso, spesso legate alle origini dello stesso razzismo nazista, hanno rivelato tutta la loro inattendibilità scientifica».
Come se ne esce? Il sindaco chiede due cose semplici ad un Paese che voglia salvaguardare il senso unitario della sua storia.
La restituzione dei resti del brigante calabrese per provvedere ad una dignitosa sepoltura. «In vista dei festeggiamenti del prossimo anno, la restituzione del cranio di Villella, per noi sarebbe un gesto di riconciliazione nazionale e il segno del riconoscimento della dignità umana di Villella, dei suoi eredi e, per ciò egli ha sempre rappresentato, di tutte le popolazioni meridionali».
Seconda cosa: la chiusura di quell’orribile museo.

di Romano Pitaro (su Il Quotidiano della Calabria)

Quando l’infame Lombroso venne in Calabria a “studiare” le razze calabre

Il brano è tratto dal libro che Cesare Lombroso scrisse nel 1863 dopo essere stato per novanta giorni (nel 1862) in Calabria al seguito dell’esercito piemontese durante la campagna di repressione del brigantaggio.

“Ma, venendo alle popolazioni proprie delle Calabrie, mi è sembrato dovervi distinguere due tipi speciali.
Il Semitico dal cranio doligocefalo, dal naso arcuato, a sopracigli ravvicinati ed occhi neri o castani, predomina nella marina, ma non così che spesso non venga sopraffatto dal muso prognato, dai capelli neri e crespi e dal derma bronzino del seme Camitico o dal purissimo ovale dei Greci o meglio dalla maschia e nobile impronta Greco-Romana, che è la prevalente, la sola anzi nell’interno.
È il tipo dal fronte elevato, ampio, brachice falico, dal naso aquilino, dall’occhio vivace e prominente.
La statura è media, il temperamento bilioso; l’animo fiero, iracondo, testardo, impavido, desideroso di dominio, fino alla prepotenza, amante della lotta, dei piaceri, ma pieno d’intelligenza, di vita, e di un senso estetico delicatissimo che si rivela nei proverbi e nelle canzoni degne dell’antica Grecia.
In onta adunque della tanta mescolanza con popoli Berberi e Semitici, il tipo Greco-Romano prevalse nell’interno, forse perché ribadito su quello ancor più antico degli indigeni Osci ed Opisci.
Una prova curiosa ce n’offre il dialetto Calabrese, in cui non solo spesseggiano le forme lessiche, ma fino le grammaticali dei Greci o dei Romani, e spesso anche d’amendue fuse insieme come accadde della razza; così per es.: mala panta e mala pasca (panta) tutti i mali, è bestemmia composta di una parola Greca e di una Latina. Cecrope per brutto è forse il solo vestigio vivente su quelle spiaggie della bizzarra leggenda Ciclopica d’Omero; così cotraro e caruso (karuso, tosato) come il tosato e la tosa lombardi e la tota, ragazzo; ancilla (aggoj) per vaso (e si noti che i vasi dell’acqua serbano la forma etrusca); pirricuni (upporwgoj) per roccie; dede per torcie; nipio per bambino; sono avanzi dell’Ellenismo, ma più ancora quell’antichissimo Zirie, Zilia per semi di cotone, com’è detto a Roccella, ad Ardore, e che rammentando l’arcaico greco xuliou, attesta come fosse preromana in Italia la coltivazione del cotone, così dicasi del nome di pericolo(peruklew) al convolvolus, di struga al solanum nigrum (struknon).
Crapio (concime), Kòproj letame, Capanata (bastonata) Kòptw (batto), Ceramidi (tegole), Keramoj – Catoio (luogo basso) Kato ˆke\w (abito), Vavula (steccato di pecore), Luliou(stalla).
Invece mancupatu per povero e meschino; craj per domani; tandu per allora; trapetu per molino; palmenta, idda, ista, est, sono pretti avanzi latini.
A questa influenza Elleno-Romana essi vanno certamente debitori di quella singolare finitezza di modi che tu trovi anche nel più ineducato colono, e che ti fa credere, direbbe Heine, di parlare a Senatori Romani, vestiti alla villana. A questo io credo dover attribuire quel sale Attico, quella eleganza veramente meravigliosa delle loro canzoni popolari e dei loro proverbi, di cui daremo ora un saggio attinto direttamente alla fonte”.

(a cura di Romano Pitaro)

Cosa si legge sul web a proposito del museo dell’orrore lombrosiano

 

Un’Italia cialtrona, razzista, inconsapevole della sua Storia celebra i 150 anni. Chiudete quel Museo! Vogliamo dare degna sepoltura al brigante

Sulla “rete” è in atto un dibattito acceso e partecipato contro l’apertura del museo Lombroso di Torino. Molto attivo il Comitato che sta raccogliendo firme di protesta Alcune delle ragioni alla base della petizione per la chiusura del museo di Torino.
«Se a Berlino ci fosse un Museo dedicato a Alfred Rosenberg, l’ideologo nazista della superiorità della razza ariana. E se nel Museo Rosenberg fossero esposti i resti dei deportati ebrei nei campi di concentramento. I loro scheletri, i loro crani sezionati per dimostrarne l’inferiorità… Se a Torino ci fosse, e c’è, un Museo dedicato a Cesare Lombroso, l’ideologo della superiorità settentrionale nei confronti degli abitanti del Sud. E se nel Museo Lombroso fossero esposti, e sono esposti, i resti dei patrioti meridionali chiamati briganti uccisi a decine di migliaia durante l’occupazione piemontese del Regno delle Due Sicilie. I loro scheletri, i loro crani sezionati per dimostrarne l’inferiorità racchiusi in teche a centinaia invece di essere sepolti nella loro terra come richiederebbe almeno l’umana pietà… La Regione Piemonte chiuda il Museo o almeno trasferisca i resti dei meridionali nei loro luoghi di origine».

 (a cura di Romano Pitaro)

fonte

blog.perlacalabria

lombroso1

 

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