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Un vento nuovo per il Sud? di Giovanni Martello

Posted by on Apr 9, 2021

Un vento nuovo per il Sud? di Giovanni Martello

A tutti i cittadini del Sud farà piacere sentire che grazie al Recovery Plan, finalmente, la questione meridionale – oggi definita la questione del Sud o il divario Nord-Sud (V. Daniele) – sia entrata nuovamente nell’agenda governativa italiana e in quella europea.

È venuto alla luce quello che da anni l’intellighenzia meridionale ha cercato di evidenziare con una miriade di articoli e saggi. È finita o, almeno, si tende ad accantonare la favola che il Sud campasse sulle spalle del Nord. Da un po’ di tempo, si è cominciato a capire che succedeva proprio il contrario. La ricchezza del Nord si manteneva con la povertà del Sud. Tutto ciò era stato già evidenziato da illustri meridionalisti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. F. S. Nitti nei suoi scritti sosteneva con chiarezza che l’Italia unita era cresciuta anche grazie all’apporto decisivo del Mezzogiorno. Solo per rimanere sul terreno economico, il benessere degli italiani è cresciuto, negli ultimi 150 anni, anche per la rilevante dimensione del Paese di cui il Sud è stato il mercato dove smerciare i prodotti culturali, industriali, manifatturieri e agricoli del Nord, ovvero dai giornali alla televisione, dalle auto alle lavatrici, dagli abiti alle magliette, dalle mele ai succhi di frutta.

All’inizio dell’Unità d’Italia, il divario Nord-Sud non esisteva, o almeno era minimo; è stata proprio l’Unità, con le sue miopi scelte di politica economica a favore dei territori del Centro-Nord ad ampliarlo e a creare la questione meridionale.

Fra gli studi più recenti sull’argomento, ricordo l’acuto saggio di Roberto Napoletano, dal titolo La grande balla, pubblicato nel febbraio del 2020 che sintetizza le ricerche più note, fra cui quelle di Gianfranco Viesti e Marco Esposito, per citare due autori importanti. Questa balla, aggiungo, era fondata su una deduzione, un sillogismo, le cui premesse erano false e quindi falsavano la conclusione. Fra la classe politica dominante, fatte le dovute eccezioni, nel corso dei decenni è stata costruita una fake news sull’inefficienza del Mezzogiorno incapace di spendere e sul Nord virtuoso. La conclusione più ovvia, amplificata da alcuni media asserviti, era: in una società meritocratica bisognava dare di più ai cittadini che dimostravano di valere di più. Si taceva che questa specie di premio di efficienza concesso al Nord, dipendeva dal taglio drastico e immorale delle risorse da assegnare al Sud. Questa volontà politica è stata trasversale a quasi tutti i partiti e i governi che, specialmente, negli ultimi vent’anni, hanno azzerato gli investimenti pubblici al Sud per sostenere la cassa integrazione al Nord. Questo sistema finanziario ineguale ha ghettizzato per decenni venti milioni di cittadini italiani meridionali. Anziché offrire un piano pluriennale di investimenti da duecento miliardi di euro, lo Stato elemosinava al Sud poco meno di due miliardi. Questi giochetti politici non sono nuovi, durante il boom economico degli anni Sessanta si tentò di instaurare, senza riuscirci, le gabbie salariali, sistema che avrebbe significato stipendi più alti al Nord e più bassi al Sud.

Che poi queste grandi virtù del nord – di saper spendere, gestire, programmare, avere visioni – sono anch’esse una favola, basti guardare all’esempio che il Nord sta offrendo da qualche mese nell’affrontare la pandemia e nel programmare le sue azioni di contenimento.

La pandemia, il piano vaccinale, ecc. hanno messo a nudo l’inconsistenza e l’impreparazione di buona parte della classe politica nazionale e l’inefficienza di amministratori, tecnici e manager, spesso, super pagati per ottenere risultati prossimo allo zero. Alla fine abbiamo dovuto ripiegare sulla supposta efficienza dei militari, sperando di ottenere qualche successo.

In questi ultimi anni, abbiamo vissuto una stagione sovranista, speriamo ormai tramontata, che al nord si legava con un antimeridionalismo diffuso e con una fazione populista, accomunati nell’accusare il Sud di essere la palla al piede per lo sviluppo del Nord. Questa era la vulgata popolare dell’autonomia differenziata che i governatori del Nord diffondevano in modo più sottile e pervasivo, fino ad arrivare a reclamare che le tasse pagate dai cittadini del Nord dovevano ritornare o, meglio, restare lì senza aspettare la ridistribuzione centrale, secondo l’immorale massima: quello che è mio è mio e quello che dovrebbe essere degli altri è anche mio.

Mi si permetta un salto all’indietro di due decenni perché è in quel periodo che bisogna rintracciare l’inizio dei mali attuali. In seguito alla revisione fatta nel 2001 del Titolo V della Costituzione, a partire dal 2003 vi sono state diverse iniziative regionali per ottenere una maggiore autonomia, anche se nessuna di esse è riuscita a trasformarsi in legge. L’autonomia a Costituzione invariata propugnata da Bassanini, in quegli anni, cercava di valorizzare l’attività delle regioni e di alleggerire lo Stato centrale da diversi carichi in vista di un’efficiente gestione della cosa pubblica e di un’efficace governance, in sintonia con il principio di sussidiarietà. Quello che non aveva previsto Bassanini era che al centralismo dello Stato, per tutti noi, sempre più distante, si sarebbe sostituito un neo-centralismo delle periferie, cioè di enti intermedi che, in molti casi, sarebbero diventati più sordi e lontani del vecchio Stato. Inoltre, la nuova situazione, cioè la maggiore autonomia concessa alle regioni, rischiava un devastante effetto boomerang. Nel 2017 il Veneto e la Lombardia chiedevano il regionalismo differenziato, seguite su questa strada da una decina di regioni. In realtà, sia la Lombardia che il Veneto chiedevano la secessione, cioè ambivano a diventare piccoli stati autonomi. Andavamo dritti verso la secessione o, almeno, le regioni settentrionali tentavano di usare questo spauracchio per allargare la forbice già esistente tra le regioni più prospere e quelle più misere. Stavamo per arrivare alla fine dello Stato e della Nazione. Per E. Galli Della Loggia, si prospettava la fine di ogni sistema nazionale, dalla sanità all’istruzione e arrivava a compimento la morte della nazione che egli aveva teorizzato, assieme a R. De Felice, un ventennio prima. Da parte sua, Piero Bevilacqua definiva l’operazione dell’autonomia differenziata come un’aperta eversione dello stato repubblicano unitario abilmente camuffata come normale percorso di rafforzamento dell’autonomia amministrativa.

In ogni caso, dal 2017 in poi, si andava verso un vulnus costituzionale, realizzabile senza alcun bisogno di dibattito parlamentare e grazie a una disposizione prevista nel rinnovellato Titolo V della Costituzione.

In sintesi, pur senza ottenere la secessione, la realizzazione dell’autonomia differenziata avrebbe consentito alle regioni più ricche di continuare a prosperare con i soldi di quelle più povere attraverso il trucchetto della crescita della spesa storica; ovvero di avere sempre più risorse rispetto alle regioni del Sud che ottenevano di meno, dimenticando, forse nascondendo abilmente, un principio costituzionale che nel Sud è rimasto inattuato: i LEP, ovvero i livelli essenziali di prestazione, così come sanciti dall’ articolo 117, comma 2, lettera m. Detto in altri termini, la mancanza  dell’attuazione dei LEP (diritto all’istruzione e alla formazione, diritto alla salute, all’assistenza sociale, alla mobilità e al trasporto) calpestavano ogni diritto di cittadinanza e facevano dimenticare la spinta verso l’uguaglianza e la protezione delle fasce più deboli. Anche perché l’attuazione dei LEP era affidata alle regioni, alle province e ai comuni, perennemente in asfissia per la mancata erogazione dei fondi necessari da parte dello Stato.

Per evidenziare meglio la questione, basti solo pensare al numero dei posti letto negli ospedali, a quelli di terapia intensiva, alle somme stanziate per le scuole, per gli asilo nido, per i servizi, per le infrastrutture viarie e digitali, ecc. molto differenti tra Nord e Sud. Tale sfavorevole situazione ha sempre tenuto bassa la qualità dei servizi e il tenore di vita dei meridionali. Da questo punto di vista la pandemia ha scoperchiato un vaso di Pandora che ha evidenziato inefficienze, particolarismi, furberie, ruberie ed egoismi.

Che sia chiaro, i rigurgiti sovranisti, populisti e autonomisti, di cui parlavo sopra, non sono ancora scomparsi, lo dimostra l’esistenza in Veneto e in Lombardia di fazioni poco solidali che vorrebbero tenere tutto per sé, o quasi, i fondi del Recovery Plan. L’ultimo governo Conte, di chiara impronta meridionalista ed europeista, aveva già fatto capire che bisognava invertire la tendenza, anche perché lo richiedeva l’Unione Europea che già, nei passati anni, in diverse occasioni, aveva strigliato il governo italiano esortandolo a definire una prospettiva di crescita per il Sud Italia, anziché dirottare al Nord i fondi che toccavano al Sud. Anche l’Europa aveva capito che i fondi stanziati per le cosiddette regioni obiettivo, cioè le regioni che mostravano un notevole ritardo riguardo ai parametri europei di crescita e di sviluppo, anziché servire alla rinascita del Sud, venivano usati per continuare a finanziare il benessere del Nord, messo in crisi dalla globalizzazione dei mercati e dalla delocalizzazione degli investimenti. Il re appariva nudo e la supposta supremazia accanto ai supposti rigori e virtuosità del Nord venivano sconfessati.

Rispetto al governo Conte, quello guidato da Draghi possiede una maggiore autorevolezza che gli viene dalla sua leadership tecnica e da un’ottima stabilità parlamentare, ovvero dal godere l’appoggio quasi unanime del parlamento, in una forma di coalizione partitica che in Italia non si vedeva dal 1945. Questa forza ha permesso a super Mario Draghi, mi si permetta la battuta, di poter riaffermare, d’imperio, che i fondi da assegnare al Sud devono corrispondere ai due terzi del totale.

Ci dobbiamo chiedere: perché questa ripartizione appare iniqua agli abitanti e ai governatori del Nord? La risposta è semplice: l’Italia ha ottenuto questi fondi proprio perché il Mezzogiorno ha un tasso di disoccupazione fra i più alti e un Pil fra i più bassi in Europa.

Qualcuno potrebbe definire tale scelta una forma di socialismo di stato, o di welfare mirato o addirittura un tentativo di attualizzare la massima di don Lorenzo Milani che, a metà degli anni Sessanta del secolo scorso, affermava l’iniquità di voler fare parti uguali fra diseguali; al contrario, bisognava dare di più a chi aveva di meno, facendo riapparire il socialismo sotto un’altra veste, quella cristiana. Le scelte e le direttive Europee mirano alla coesione sociale e al mantenimento della democrazia e a queste istanze si devono rifare le scelte italiane.

Il Recovery Plan e la Next Generation UE, dovrebbero riunire e livellare lo sviluppo dell’Italia per farla correre con identica velocità e adeguarla a quella delle altre nazioni europee. La storia europea ha conosciuto un unico e grande precedente a riguardo, dopo la caduta del muro di Berlino che pose il problema della riunificazione politica, economica e finanziaria della Germania. Anche i tedeschi inizialmente si divisero, perché quelli dell’ovest capivano che si sarebbero un po’ impoveriti. Questa grande operazione, voluta o subita da Helmut Kohl, portò dopo un notevole investimento l’ex Repubblica democratica al passo della Repubblica federale.

Conclusioni

Le riflessioni sopra esposte, non vogliono scatenare guerre di secessione, tra Nord e Sud dell’Italia o litigi e risse con i cittadini del Nord, ecc., al contrario, auspicano una maggiore solidarietà nel paese. Non dobbiamo dimenticare che la solidarietà è un principio costituzionale fondamentale sancito dall’articolo 2 della nostra Costituzione e recepito nel 2007 dal Trattato di Lisbona.

Anche se in certi momenti, ci sembra di lottare contro i mulini a vento in una società civile, anzi incivile, che sta agli antipodi dall’essere solidali, tanto da esibire uno dei più alti indice di evasione fiscale e che è abituata ad approfittare di condoni per farsi beffe di chi le tasse le ha sempre pagate, così come previsto dall’art.53 della Costituzione.

Non voglio nemmeno tacere le colpe dei meridionali che hanno, quasi sempre, svilito i loro diritto-dovere al voto, nell’esprimere classi dirigenti non in grado di affrontare problematiche complesse e di crescita per tutta la popolazione, nessuno escluso, in vista della coesione sociale e del benessere generale.

Al contrario, queste poche riflessioni vogliono esprimere l’inderogabile esigenza di avere una classe politica, un apparato burocratico-amministrativo, un’organizzazione sanitaria, una classe dirigente, una classe imprenditoriale, un’organizzazione della formazione e della ricerca che abbiano visione e pensiero strategico per far navigare l’Italia nella complessità attuale, resa ancora più complessa dalla pandemia mondiale. Non possiamo permettere a Corrado Augias, persona perbene, sia chiaro, di affermare che la Calabria è persa, irrecuperabile, irredimibile. La Calabria non è persa, è recuperabile, ma ha l’ultima possibilità di dare il futuro ai propri giovani, di cambiare la propria società, gli schemi e i pregiudizi mentali che le sono propri. Quando ci lamentiamo del nostro ritardo, non dobbiamo dimenticare che nel Sud esiste il cancro pervasivo della criminalità organizzata annidata dappertutto e che frena il progresso, droga l’economia e l’imprenditoria.  La presenza ormai rintracciabile di questo parassita inquietante anche nel Nord Italia e in Europa che condiziona la politica, l’amministrazione, l’economia e ogni altro aspetto della società civile impone scelte condivise, nazionali e internazionali, per poterlo sradicare.

In passato abbiamo spiegato la nostra arretratezza con la esiguità dei fondi ricevuti, o meglio, ci siamo nascosti dietro questo alibi, oggi non è più possibile farlo: l’Italia e l’Europa hanno buttato nel piatto somme enormi, inimmaginabili poco prima della pandemia. Abbiamo la possibilità di disegnare il futuro, di farlo diventare presente da qui a qualche anno. Questo significherà avere idee nuove, creative e meravigliose per nuovi investimenti pubblici e privati, per risolvere la questione della mancanza di infrastrutture viarie e digitali che frenano lo sviluppo, la ripresa, la ricerca e che hanno allontanato la Calabria e il Sud dall’Europa. Abbiamo, adesso, la possibilità di avere la migliore formazione possibile per gli studenti e la migliore sanità per tutti, senza doverci sottoporre ai viaggi della speranza verso il Nord. Abbiamo l’opportunità di far restare i giovani in Calabria o addirittura di far ritornare quelli che sono scappati vinti dalla disperazione.

Per attuare ciò, dovremo evitare i regionalismi e i municipalismi che tenteranno di rivendicare risorse per progetti utili solo a una esigua minoranza, al contrario bisogna concentrarsi su progetti strategici che servano alla maggioranza delle persone e degli elettori e che garantiscano Lep degni di una nazione civile e progredita quale è l’Italia.  Gli amministratori locali, comunali, provinciali e regionali dovranno sforzarsi di avere visioni e non tattiche elettorali o municipali; dovranno riacquistare quel senso di servizio, ministeriale, nei confronti delle comunità che li hanno eletti e non di asservire i cittadini. Anche la società civile e, specialmente, i giovani non devono rimanere ai margini, ma essere propositivi e attivi riappropriandosi della storia, così come hanno cominciato a riappropriarsi della questione ambientale che rischia, se non risolta, di rubare il futuro a tutti.

Non ci sono altre strade. Dobbiamo riscoprire e ricostruire una nuova nazione italiana così come fu fatto nel 1945, dopo la fine della guerra, dove le autonomie siano benvenute, senza trasformare la nostra penisola, il bel paese di petrarchesca memoria, in un arcipelago di regioni voraci e individualiste, ognuna delle quali cerca di rapinare il più possibile dall’assalto alla diligenza dei fondi per la ricostruzione post-Covid19. Ancora, dobbiamo riscoprire, o almeno intravedere che bisogna ricostruire rapporti empatici e solidali con i propri simili, ai quali bisogna guardare con lo stesso rispetto con cui guardiamo noi stessi.

Lamezia Terme 26 marzo 2021,

Giovanni Martello

1 Comment

  1. Dalla cosiddetta “unita’ d’Italia” il Sud non si e’ piu’ ripreso: umiliato e devastato non ha piu’ trovato una via aggregante per la rinascita…vide solo fuga, umiliazione e a crescere fu solo la mafia e la frustrazione… Riacquistare orgoglio e consapevolezza e’ l’unica strada per recuperare forza e dignita’…e non basta certo che singoli personaggi del Sud raggiungano l’alta carica di Presidente della Repubblica… con disagio o con orgoglio?
    Intanto, nell’immediato, il “Compra Sud” e’ alla portata di tutti ed e’ secondo me un imperativo categorico dal momento che nel Sud c’e’ il meglio della “produzione” di quanto e’ di larghissimo uso! …poi quando si e’ chiamati a scegliere da chi farsi amministrare, e’ il momento che per ora ci e’ riservato per farsi rappresentare da chi la fiducia se la merita veramente!…e non la compera!…
    Forza Sud! Io sono veneta e dico a voi quello che dico a me stessa… Si arrivera’ un giorno alla meta agognata… che e’ l’orgoglio non solo di appartenere a un popolo, ma anche di essere riconosciuti per i millenni di storia vissuta… che ci hanno plasmati e sono l’immenso patrimonio che ci caratterizza e ci appartiene. caterina ossi

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