UN VIZZINESE NELLA RIVOLTA DEL SETTE E MEZZO

Cinque anni dopo l’unità d’Italia e a seguito di una politica violenta e vessatoria del governo di Torino che provocò una miseria estesa al tutto il meridione, il 16 settembre 1866 scoppiò a Palermo la rivolta del sette e mezzo, durata, appunto, sette giorni e mezzo.
Tra i rivoltosi non c’erano solo borbonici, ma anche repubblicani ed ex garibaldini delusi dalla politica sociale unitaria. Tra le migliaia di rivoltosi c’erano tanti contadini, artigiani e renitenti alla leva.
Il governo scatenò una durissima repressione, inviando a Palermo 40.000 soldati al comando del generale Raffaele Cadorna. La flotta bombardò la città, poi fece sbarcare la fanteria di marina.
Nei combattimenti caddero oltre 200 militari, tra cui 42 carabinieri; furono circa un migliaio le vittime civili.
Furono arrestati 2.427 civili, 297 furono processati e 127 condannati. La repressione venne testimoniata solo dai ricordi delle vittime e da una rara lettera, quella dell’ufficiale dei granatieri Antonio Cattaneo, riportata dallo storico Francesco Brancato che dice testualmente:
Qualche vendetta la facemmo anche noi, fucilando quanti ci capitavano; anzi, il giorno 23, condotti fuori porta circa 80 arrestati con le armi alle mani il giorno prima, si posero in un fosso e ci si fece tanto fuoco addosso finché bastò per ucciderli tutti. In una chiesa, un ufficiale visto due frati che suonavano a stormo li fucilò con le corde in mano…
Lo storico, docente di lettere e filosofia e politico Paolo Alatri così scrisse:
Dei 127 imputati dichiarati colpevoli dai tribunali militari quasi tutti avevano un’occupazione nel settore artigianale o commerciale o nei servizi: osti, carrettieri, facchini, garzoni, fruttivendoli, panettieri, macellai e barbieri. Nella lista dei condannati c’erano anche commercianti, agricoltori, falegnami, sarti, conciatori, fabbri, cordai, carpentieri e muratori… ma anche sette poliziotti o soldati, una guardia campestre e altri sette ufficiali di basso rango. I tribunali comminarono pure 8 condanne a morte, 48 ergastoli, 17 condanne ai lavori forzati, disciolsero i conventi e 256 frati furono spediti al confino. Ma le cause della rivolta restarono irrisolte ed appena un anno ed un mese dopo, il 21 ottobre del 1867, sul Monte Pellegrino, in modo che fosse visibile a tutta la città e dal mare, venne issata da ignoti un enorme bandiera rossa.
Il primo condannato a morte a seguito dell’insorgenza fu Nunzio Mato di Vizzini, di anni 25, soldato del 10° Granatieri, sotto l’accusa di diserzione e tradimento, «per avere il 17 settembre abbandonato la sua compagnia, in marcia da Partinico a Monreale, e portato le armi contro i poteri dello Stato, unendosi agli insorti. Egli aveva attaccato la sua compagnia, uccidendone il comandante e facendo razzia dei bagagli dei suoi commilitoni sopraffatti. Fu condannato alla pena capitale, previa degradazione, la perdita dei diritti civili e politici, e a risarcire le parti lese delle spese processuali. Il primo novembre dello stesso anno la condanna fu ratificata e ordinata l’esecuzione».[1]
Domenico Anfora
[1] Romano Tommaso, Sicilia 1860-1870 – Una storia da riscrivere, Istituto Siciliano Studi Politici ed Economici, Palermo 2011.