UNA MEMORIA PERDUTA NELLA VITA DEL PAESE
A Biancavilla, durante il governo del prodittatore Depretis; si segnala una piccola cronaca dei fatti, annotata in una lettera, letta nella Camera di Torino, negli atti della tornata di gennaio 1861, nella quale si raccontavano le imprese, di un certo Biondi patriota garibaldino che in pochi giorni, ebbe a commettere 27 omicidi, sopra i più agitati proprietari terrieri di quella cittadina, ancora fedeli al Re di Napoli, il rimanente dei quali, circa 50 persone, furono costretti ad indossare indumenti di villici per salvarsi la vita, dal furore di quella gente. A Trecastagni, a san Filippo D’Agira, a Castiglione e a Noto, ci sono state stragi di decine di siciliani fedeli alla casa di Borbone.
Un certo La Porta e Santi Meli di Ventimiglia, erano al comando di brigate fiancheggianti le camice rosse, conosciuti da molti Siciliani come feroci assassini: i quali con molti seguaci, in nome del re d’Italia, portavano seco la morte a tanti civili.
A Palermo si temette una reazione, durante il protettorato del Depretis, dove vi furono indirizzati alcuni battaglioni garibaldini in fretta e furia, provenienti dalle campagne vicino a Messina.
Il 9 marzo del 1861, una banda di 80 assassini, mette la città di Santa Margherita a sangue e a fuoco, massacrando 34 persone. Mentre, nello stesso giorno ad Agrigento, una massa di popolani armati, inneggiando al Re D’Italia, assaltarono le prigioni del Castello, ivi strappandone 36 persone, rinchiusi in quella galera senza processo, in quanto fedeli al Re di Borbone; i quali trascinati nel Vescovado li massacrarono. Giorno 11 marzo, a Resuttana, presso la terra di Caltanissetta, fecero strage nel paese, lasciando sulle pubbliche vie 14 morti. Il 13 marzo un gruppo di banditi presso Palermo, nel nome del Regno d’Italia fa 30 vittime. Il 16 marzo del 1861, nell’agro di Palermo, in pieno giorno, una banda di ex galeotti liberati dai garibaldini, massacrarono 5 fratelli De Caro. Nella stessa sera presso Palermo, 16 fedeli del Re Borbonico, vennero assaliti da bande patriottiche e ferocemente scannati.
In quei giorni nelle campagne di Brancaccio e Ciavelli, vicino Palermo, vi si uccidono in nome della Italia tutta, la Guardia Civica e il curato, incendiando la chiesa parrocchiale e le case dei villaggi vicini. Il 13 marzo 1861 a Mascalucia, si rinnovano gli eccidi di Bronte per la rivoluzione, rovesciando i muri, minacciando i contadini, si ammazzano gli oppositori. Il 14 marzo le stesse scene di massacro, saccheggio ed oltraggio, si rinnovano nel nome del Re D’Italia ad: Aci sant’Antonio, Paternò, e Riposto dove le famiglie nobili, e quelle che si ritenevano fedeli ai Regi, furono assassinate e mutilate.
Innumerevoli sono le declamazioni fatte nel Parlamento di Torino dagli stessi deputati siciliani, nel corso delle sessioni del 1861, contro il governo invasore e non si può sottacere il contenuto adirato di molte petizioni. Nella tornata del 4 aprile del 1861 n° 53, così declamava il deputato siciliano Bruno:
“il dissesto finanziario dei Piemontesi a danno della Sicilia, affossò le opere pubbliche costruite dai Borboni, trascurate dalla negligenza degli italiani di Torino; si lodano ancora fra i siciliani, le istituzioni della Compagnia delle Armi, creata dai Borboni, sotto il cui governo la Sicilia offrì lo spettacolo, nel quale non succedevano furti per le pubbliche vie, e la gente passeggiava per tutte le strade a tutte le ore, senza paura di essere aggredita e derubata come accade oggi.”
Nella stessa tornata il Crispi segnalava:
“in una provincia sono state saccheggiate le case rurali; incendiata una fattoria, e carcerati innocenti senza processo. Fra la notte del 9 e 10 marzo 1861, la Forza Pubblica circondava una casa e ne uccide il proprietario, senza nessun mandato, perché costui, fu sospettato di borbonismo. Un fatto simile avvenne a Bagheria, uno analogo a Palermo, e in altri luoghi siciliani.”
Sempre il Crispi, ricordava come nel lontano 28 novembre 1860, numerosi prigionieri fedeli ai Regi, furono incarcerati e portati nelle galere di Palermo, dove ancora per l’anno a seguire, marcivano in gattabuia senza processo. Nel corso di un anno, da che si è stabilito il governo di Re Vittorio Emanuele nel circondario di Palermo, sono state ammazzate 200 persone, il cui torto era quello, di essere fedeli ancora a Franceschiello di Borbone.
Nella tornata parlamentare presso la Camera di Torino, del 11 gennaio 1862 il deputato Crispi denunciava:
“il malcontento in Sicilia è gravissimo“. Il deputato Cordova, nella tornata del 15 gennaio 1862, come segnalano gli Atti Ufficiali n° 241, pag. 918 affermava:
“negli uffici doganali di Sicilia, furono nominate persone idiote ed analfabete. In Palermo i doganieri rubano ed in Messina gli impiegati sono uccisi, mentre a Siracusa gli impiegati ospedalieri sono il quadruplo dei malati. Aggiungendo ancora; a Marsala come in tutti i paesi dell’Italia meridionale, vi sono molti renitenti alla leva che si sono dati alla campagna. Il governo, spedisce reparti dell’esercito che accerchiando il paese con 2000 soldati, comandati da un Maggiore, intima al municipio di consegnare entro 10 ore gli sbandati. Il Sindaco si oppose, e furono arrestati proditoriamente 3000 campagnoli, i quali vennero gettati a forza, entro una vecchia miniera non areata, al buio e senza viveri. Malgrado l’invito al Prefetto della Provincia di intervenire immediatamente per salvare quelle vite, e di far cessare quelle violenze, il Maggiore aumentò di altre migliaia gli arrestati: agendo violentemente con minacce, persecuzioni e torture, nel nome del Regno di Italia.”
Un altro deputato siciliano D’Ondes Reggio, nella tornata del 5 dicembre del 1863, degli Atti Ufficiali n° 285, pagina 1089, descriveva le atrocità governative, commesse nel nome del Regno D’Italia sulle sventurate popolazioni della Sicilia descrivendo:
sottolineo uno stato di fatto, e devo esporre a voi, onorevoli signori, accadimenti miserevoli e rei, sui quali il Ministero non accetta l’inchiesta. I Siciliani non hanno mai avuto leva militare e ripugnano essere arruolati. Il Governo ha fatto per la Sicilia una legge eccezionale non scritta, eseguita con ferocia.
Dà lettura quindi, di un documento ufficiale, nel quale risulta esservi dato l’ordine, nella sera del 15 agosto 1863 dal Maggiore Frigerio, Comandante piemontese del comune di Licata, di doversi presentare in poche ore i renitenti di leva, in pena di privare dell’acqua tutta la popolazione a una città di 22000 abitanti. Ebbe istituito un coprifuoco senza averne apparente autorità, vietando ai cittadini di uscire di casa per far rifornimento di viveri, pena l’immediata fucilazione e di altre più severi misure. Fu un eccidio spaventevole, quando dopo giorni la gente chiedeva pane, e caddero a migliaia. Furono ritenuti i parenti contumaci della leva, sottoposti a tortura, fino a spruzzare il sangue dalle carni, uccidendo i bambini e i ragazzi a frustate e a baionettate infilzati. Furono violentate le donne e scannate donne gravide fucilandone i congiunti e tutti quelli che osavano protestare. Questa incredibile condotta militare, fu immediatamente imitata da altri battaglioni piemontesi ed applicata a: Trapani, Agrigento, Sciacca, Favara, Bagheria, Calatafimi, Marsala saccheggiando i raccolti, e bruciando gli impianti anche nei piccoli comuni limitrofi ai grossi centri poco fa citati.
Dà lettura in aula di un altro documento, di altro comandante piemontese, il quale emette ai suoi sottoposti un bando: arrestate tutti coloro dal cui volto, si sospetti di essere coscritti di leva, ed arrestate i loro genitori e i loro maestri d’arte, dove sono impiegati i sospettati e i loro contumaci.. Questo avvenne a Palermo, dove furono seviziati migliaia di malcapitati, su una città di 230000 abitanti, mentre il Governo nulla sa, nulla può? Altri abomini furono compiuti a Petralia Sottana, bruciando vive intere famiglie nelle loro case..
Nella tornata del 7 dicembre del 1863, il deputato Mordini osservava:
“gli atti del governo Sardo nella Sicilia, hanno l’impronta della barbarie, è lo stato desolante di tutta una isola resta tale, che i ministri hanno consigliato il Re di non visitarla. Mentre il deputato Miceli aggiunge: i fatti atroci, le violenze, gli arbitri, i massacri indiscriminati, sono l’abitudine sistema dell’attuale governo in Sicilia e anche nel continente“.
Nella tornata del 9 dicembre del 1863 il deputato Cordova, segnalava un fatto clamoroso:
“due ragguardevoli personalità siciliane venute da Torino per informare i ministri sui bisogni del paese, furono accolti con molta freddezza, dove enunciarono nell’aula, queste parole solenni“.
Una simile freddezza non fu mai trovata si dica ad onor del vero, nelle amministrazioni napoletane dei Borboni.
A tale accoglienza, quei due personaggi, partitisi da quei luoghi dicevano: dunque è necessaria un’altra rivoluzione! In questa discussione alla Camera di Torino, succedono scandali, minacce e proteste fra i deputati, così che il Presidente è costretto di coprirsi per due volte il capo, sciogliendo l’adunanza.
Nella tornata successiva del 10 dicembre del 1863 il deputato Crispi, enumerando le esorbitanze stesse dice: l’unico vantaggio, ottenuto dal governo di Torino in Sicilia, è quello di avere riempito le carceri di disgraziati. In quel frangete, il deputato Bixio, rispondendo alla platea contrastante, alludendo agli eccessi, della ribellione siciliana del 1860 affermava fra lo sgomento generale: aver veduto i cadaveri arrostiti e mangiati, e i cuori strappati dal petto dei vivi, confessa apertamente, la Sicilia sarebbe rimasta pacifica sotto i Borboni, se la rivoluzione non fosse stata ivi portata, dalle altre province d’Italia, ossia dal Piemonte.
In quei giorni di rivelazioni orrende, la stampa indipendente deplorava quelle discussioni e le considerava, come una vera sventura nazionale; un grave pericolo per l’unità italiana. Un giornale più di tutti, “Il diritto di Torino” concludeva un articolo scrivendo: aveva forse ragione Re Francesco II se definisce i Piemontesi come tiranni ed usurpatori del suo reame!
Vari deputati delle province meridionali, rinunciano a far parte della Camera di Torino.
Questa è una piccolissima sintesi, di un faldone di carte che il Governo italiano, chiese ufficiosamente a quello americano di distruggere, ma grazie a Dio, ciò non avvenne ed oggi, recuperandolo, lo si può far conoscere a tutti coloro che lo vorranno. Io ho esemplificato al massimo, i contenuti degli atti, dove leggevo eccidi e malefatte senza pari, dove le madri venivano scannate davanti ai figli e i padri fucilati seduta stante. Dove come dice un’altra fonte, un certo signore entrando nel comune di Torre Faro, di nome Giuseppe Garibaldi, ordinava a cuor leggero e senza processo, di fucilare gente disarmata perché non abbracciava la causa italiana.
fonte: Felix Dupanloup.
– Estrattti da documenti parlamentari d’Italia 1863 –
Alessandro Fumia
fonte
https://cariddiweb.wordpress.com/2011/03/13/una-memoria-perduta-nella-vita-del-paese/