Alta Terra di Lavoro

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Vecchi mestieri di Lucio Castrese Schiano (Parte prima)

Posted by on Giu 24, 2020

Vecchi mestieri di Lucio Castrese Schiano (Parte prima)

     Considerato l’inarrestabile progredire del “Pensiero Unico” e sempre orgogliosi delle nostre origini, decidemmo di dar vita ad un gruppo pubblico che si prefiggeva come fine quello di rallentare il più possibile la totale ablazione della memoria e, con essa, la definitiva perdita di identità.

Decidemmo, quindi, che gli argomenti di discussione riguardassero esclusivamente tutto ciò che poteva essere contemplato nelle due grandi categorie di storia e di cultura del nostro territorio. Nelle due categorie citate erano quindi compresi non solo gli avvenimenti storici stricto sensu che hanno avuto come teatro il nostro territorio fin dagli albori della civiltà, ma anche usi e costumi, folclore, proverbi, lingua, organizzazione sociale, patrimonio archeologico, ecc. L’iniziativa non aveva – e non ha – alcuna propensione a nostalgiche rimembranze o contemplazioni del passato, ma quella di suscitare (in chi non l’avesse mai provata) o di richiamare alla memoria (in chi, invece, si fosse attenuata) la percezione non tanto della propria individualità, ma quella di far parte di una comunità le cui origini oltrepassano il limitato arco temporale di due/tre generazioni e affondano le radici in un lontanissimo passato che ha visto la nostra terra culla di importanti civiltà e di insuperati movimenti di pensiero.

     Non ne abbiamo la certezza, ma non possiamo nemmeno escludere che la carica di orgoglio costituita dal recupero della memoria e dall’ apprendere di appartenere ad una terra e ad un popolo che sono stati fari di civiltà per secoli e secoli possa  costituire uno sprone per programmare un futuro non contrassegnato da abbandono o da rassegnazione.

     Ciò premesso, veniamo a trattare alcuni aspetti della società di circa un secolo fa, partendo dai vecchi mestieri e dalle attività commerciali in essa esercitati. I nostri interventi avranno orizzonti di non grande ampiezza  in quanto si limiteranno a prendere in considerazione fatti e persone relativamente vicini a noi. La limitatezza degli interventi, però, raggiungerà, comunque, più di un risultato. Parlare infatti di personaggi e mestieri, che hanno avuto come spettatori alcuni di noi, i nostri genitori e i nostri nonni, ad alcune persone farà letteralmente scoprire la cultura, l’organizzazione sociale e le  attività e mestieri esercitati in un tempo che può ancora non essere considerato “ remoto”; ad altri li riporterà semplicemente alla memoria. In entrambi i casi  la scoperta o riscoperta potranno costituire  stimolo ad approfondire le modeste notizie da noi fornite a puro titolo divulgativo, e la ricerca e la cultura potranno annoverare tra le loro fila nuovi cultori.

     Questa è la speranza riposta nelle pagine che sottoponiamo all’ attenzione di chi avrà la pazienza di leggerle, gratificando in questo modo l’impegno e l’amore che abbiamo messi nella ricerca. Come detto, è lontana da queste pagine ogni presunzione di esaustività. Anzi, sollecitiamo interventi per correggere errori o ampliare notizie in modo che, alla fine, i vari contributi possano concorrere a disegnare lo spaccato di una società in cui ognuno potrà riconoscersi e far riferimento ai suoi valori per correggere gli errori del presente ed avere la speranza di un futuro non solo di più lunga durata ma più a misura d’uomo.

     Nell’ accingermi a dare il mio modesto contributo, parlando di quei mestieri e di quelle attività che abbiamo avuto modo di vedere durante le varie epoche del  nostro passato: fanciullezza, adolescenza, pubertà e giovinezza, debbo necessariamente fare una precisazione. La mia testimonianza, avendo avuto come teatro del proprio svolgimento la città e il mare piuttosto che un paese e la campagna, può non coincidere con la testimonianza di chi ha maturato la propria esperienza in un contesto diverso. Sono convinto, però, che, proprio in virtù delle nostre comuni origini, le similitudini saranno più numerose delle diversità e che le eventuali differenze saranno così sfumate da potersi considerare del tutto irrilevanti.

                                                *       *        *         

           Prima dell’avvento dei mini, poi dei super e poi ancora degli ipermercati, negli esercizi commerciali non c’era quella commistione di articoli e merci che si nota ai nostri giorni. Per cui dal vinaio sicuramente non si sarebbero trovati prodotti di salumeria; come dal salumiere, dolciumi o frutta secca. Inoltre ogni prodotto che i venditori ambulanti offrivano al pubblico aveva origine da un determinato luogo. Così – per quello che riguarda la mia esperienza –  le olive, venivano commercializzate da ambulanti provenienti da S. Anastasia; agli e cipolle provenivano da Afragola; le ricottine di fuscella dalla penisola sorrentina, ecc. Ancora. Poiché le figure e i mestieri descritti sono collocati in un’epoca caratterizzata dalla cultura del risparmio, tutto era “su misura”. Un esempio per tutti: se  si aveva bisogno di un uovo, non si era costretti ad acquistare forzatamente una confezione superiore alle proprie necessità: il che aveva come diretta conseguenza una notevole riduzione dei rifiuti domestici ed uno scarso impatto sull’inquinamento ambientale. Nel modo in cui era organizzata la società dell’ epoca, i mestieri esercitati in maniera ambulante erano di molto superiori a quelli esercitati attualmente.

     Avendo come fine quello di suscitare in alcuni e di ridestare in altri il senso di appartenenza e di identità sia le figure che i mestieri li indicherò col nome originale, cercando di far coincidere il più possibile grafia e pronuncia, anche se dovrò stravolgere regole di grammatica o di sintassi e suscitare le ire di dialettologi e linguisti: obiettivo non facile da raggiungere, per la caratteristica della nostra lingua[1] sia di fare a meno abbastanza spesso delle vocali, all’inizio, al centro o in fine di parola, sia di far iniziare dei termini con due consonanti uguali[(es.: ‘e ppont, per indicare “le punte”; mentre con una sola consonante (‘o pont) si indica il “ponte”]. Talvolta, però, capita che, o per rendere più facile la pronuncia o per consentire l’intellezione del termine, queste vocali vengano aggiunte. Ma ciò facendo si usa violenza all’originale; e allora addio sia al recupero delle radici che al riacquisto della coscienza identitaria. 

            Ciò premesso, entro subito in argomento.

     La prima figura in cui ci imbattiamo è quella di un essere più assimilabile ad un animale da soma che ad un appartenente all’umano consorzio. L’ “animale” è usato senza intento spregiativo ma solo in considerazione del lavoro veramente massacrante a cui si sottoponeva costui.

     Facchin (Facchino)

     Lo si poteva trovare nelle immediate vicinanze della stazione ferroviaria, al capolinea delle corriere che collegavano paesi lontani anche centinaia di chilometri con la città o nei luoghi di notevole movimento di merci. Con un carretto, che molto spesso prendeva a noleggio, spinto o trainato di persona, secondo la natura del materiale, effettuava trasporti anche tra punti molto distanti della città. Era disponibile anche per sfratti e successivo trasporto di masserizie, con o senza carretto. Il compenso era variabile e dipendeva dalla natura, dal volume, dal peso del carico e dalla distanza intercorrente tra il punto di carico e quello di consegna.

     ‘Mbr(e)llar Conciambrell (Ombrellaio – Aggiustatore di ombrelli)

     Tra i due termini esiste una differenza sostanziale. Mentre il primo [‘mbr(e)llar] individua una persona che vende ombrelli, il secondo (conciambrell) si riferisce a persona (solitamente un uomo) che, con una bisaccia a tracolla in cui aveva pinze, tenaglie, filo di ferro, stecche, manici e ritagli di stoffa si limitava a riparare gli ombrelli rovinati da qualche improvvisa raffica di vento. Nelle zone di mare costui provvedeva a riparare anche gli ombrelloni da spiaggia per renderli di nuovo disponibili all’uso per cui erano stati concepiti. Era abbastanza frequente, infatti, che improvvise trombe d’aria, prima che i bagnini potessero intervenire, facessero volare in aria gli ombrelloni scaraventandoli molto lontano, riducendoli a mal partito e rendendo necessaria quindi l’opera dell’artigiano ovviamente molto grato al violento fenomeno atmosferico. Poteva capitare che la tromba d’aria si verificasse quasi alla fine della stagione balneare. In questo caso, poiché prima era sconosciuta la cultura dello spreco, gli ombrelloni venivano messi da parte per essere affidati alle cure del conciambrelli all’inizio della stagione successiva.

     Conciatian/Conciapiatt (Riparapentole/Riparastoviglie)

     Anche questo mestiere veniva esercitato esclusivamente da uomini. Il loro intervento consisteva nel rimettere insieme pezzi di tegami, pentole, zuppiere, scafaree, solitamente di creta usando, con grande perizia e non poca fatica, un trapano a mano col quale veniva praticata una serie di fori attraverso i quali veniva introdotto del filo di ferro, come dei punti di sutura,  stretto accuratamente con una pinza, dopo che lungo i bordi dei pezzi da assiemare era stato collocato del mastice.

C. Lucio Schiano


[1] Alcuni, parlando del napoletano, per conferirgli maggiore importanza, lo definiscono lingua, poiché ritengono che il termine dialetto sia meno importante, e riduttivo.

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