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Vico, Pagano e la Costituzione Napoletana di Giuseppe Gangemi

Posted by on Gen 6, 2025

Vico, Pagano e la Costituzione Napoletana di Giuseppe Gangemi

Nella Scienza Nuova, Vico sostiene che la “Metafisica ragionata insegna che homo intelligendo fit omnia” e la “Metafisica fantastica dimostra che homo non intelligendo fit omnia” (1836, 192). La prima metafisica è quella utilizzata da Cartesio; la seconda quella consigliata da Vico.

Nella mia lettura di Vico, questa distinzione anticipa di due secoli e mezzo una più elaborata (essendo stata formulata dopo due secoli di esperienza sia di democrazie, sia di totalitarismi) distinzione tra due “visioni altamente sofisticate di società umanitaria, due visioni di come la società potrebbe essere organizzata per il bene del popolo”. Questa teoria, nella versione moderna, è stata formulata nel 1977 da Charles Lindblom in Politics and Markets (ed. it. del 1979, p. 265). “Le due visioni, una di armonia [che disegna una società ideale o utopistica], l’altra di conflitto [che accetta al proprio interno posizioni diversificate], manifestano punti di vista contrapposti che hanno diviso gli uomini per almeno due millenni” (p. 269).

Lindblom non ha studiato approfonditamente, forse nemmeno letto, Vico perché questo aspetto della filosofia del filosofo napoletano non è necessario alla lettura degli anglosassoni i quali hanno preso da Hobbes, piuttosto che da Vico, l’idea che verum et factum convertuntur. È per questo che Lindblom porta come esempio di utopisti, i quali irragionevolmente pensano di poter sempre risolvere i conflitti, Platone, Rousseau ed Hegel, e come esempi di realisti, che sanno di non poterli risolvere, tutti e di colpo, Aristotele, Hobbes e Kant. I primi tre condividono una visione ottimistica o euforica delle capacità intellettuali dell’uomo e credono che l’armonia di base dei bisogni umani possa essere studiata e diventare nota ai togati (politici e intellettuali). I secondi tre condividono una visione pessimistica delle capacità intellettuali dell’uomo e credono che l’armonia di base dei bisogni umani semplicemente non possa essere trovata perché non esiste.

Lindblom è convinto che il modello ottimista della razionalità dell’uomo (homo intelligendo fit omnia) porti più facilmente a una forma mentis totalitaria che a una democratica e che, al contrario, il modello pessimista e immaginifico nella ricerca di prospettive future da perseguire (homo non intelligendo fit omnia) porti più facilmente a una forma mentis democratica che ad una totalitaria.

Per Vico e Lindblom, l’attenzione al fare della mente, nello Stato e nelle istituzioni, è l’elemento centrale, quello che serve a comprendere gli sforzi che la mente fa per dilatarsi e ordinarsi nelle istituzioni abbracciando quanto le sia possibile di ogni nuova norma (leggi costituzionali, leggi ordinarie, regolamenti) di ogni istituzione formalizzata. L’azione, politica e umana, incrementale, il procedere a piccoli passi, controllando passo dopo passo, può far maturare al massimo possibile la forma mentis che permette di riuscire a rimanere dentro gli eterni e immutabili limiti della razionalità.

Ovviamente, ai tempi di Vico non c’è ancora esperienza di (del fare della) democrazia, ma c’è abbastanza esperienza del fare del totalitarismo riformista o illuminato e di quello reazionario. Vico arriva a capire che al totalitarismo illuminato conviene l’incrementalismo e che quello oscurantista o reazionario sia conseguenza del fare secondo il principio che homo intelligendo fit omnia e che quest’ultimo favorisca la possibilità di perdere il controllo dei sottoprodotti dell’azione e peggiorare la situazione ex ante.

Il fare cui pensa Vico (e Lindblom) non è il fare la norma giuridica o l’applicazione della lettera della norma, ma è anche il fare nel processo cui essa dà inevitabilmente origine, quel fare interagire la forma mentis ex ante con i sottoprodotti dell’interazione di ogni nuova norma con l’intero corpus giuridico preesistente per produrre una forma mentis adeguata all’azione coerente con la norma rinnovata. Il diritto e le istituzioni regolate da norme formali e informali vivono nell’azione perché costantemente interagiscono con la mente collettiva e si adattano l’una agli altri e viceversa.

La storia è un processo di sviluppo della mente e delle istituzioni ed ogni processo, secondo Vico, segue le tre fasi descritte nella Degnità LIII: “Gli uomini prima sentono senza avvertire; dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso; finalmente riflettono con mente pura” (Vico 1836, II, 113).  Questa Degnità suggerisce che, nella prima fase, tutti siano protagonisti in tutti o in molti domini semantici; che, nella seconda, siano protagonisti quanti si attivano, da diversi e contrapposti punti di vista, per conquistare l’opinione del sovrano (il monarca o il popolo) e i ruoli che questo sovrano distribuisce; che, nella terza, siano, o debbano essere, protagonisti i pochi che sono capaci di riflettere con mente pura. Se i protagonisti della terza fase non riescono a rimanere essi stessi, e mantenere chi più ha potere, dentro i limiti della razionalità, si rischia di cadere dentro la tragedia della Seconda Barbarie.

Così si interpreta la Degnità LIII se la si legge in connessione con il concetto di Seconda Barbarie e con l’affermazione di Vico che questa barbarie nasce dall’errore di genere, cioè dall’errore del sapere categoriale, che è il sapere stabilizzato e condiviso. Quando l’azione di questo sapere di genere prevale sulle azioni guidate dalla mente pura, si rischia la Seconda Barbarie.

La mia opinione è che la Costituzione Napoletana, in gran parte costruita (fatta) da Pagano segua, nei punti essenziali, questa lettura di Vico.

Il punto più vichiano di quella Costituzione è, a mio avviso, la doppia decisione di affidare (art. 261) all’Alta Corte di Giustizia la funzione di far rimanere gli uomini delle istituzioni dentro i limiti della legalità e agli Efori (art. 368) la ben più complessa funzione di far sì che le forze politiche operino dentro i limiti della razionalità. Sono gli Efori a dover esaminare, con mente pura, il processo interattivo che segue ogni approvazione di una Costituzione complessa, e verificare che essa sia rispettata in tutte le sue parti, che i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario rimangano nei loro limiti costituzionali e annullare i loro atti, quando i limiti non sono stati rispettati, sia nelle conseguenze attese (output), sia in quelle inattese e indesiderate in quanto sottoprodotti (outcome) di ogni fare.

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