Alta Terra di Lavoro

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VITTORIO MESSORI UN ITALIANO SERIO

Posted by on Set 22, 2020

VITTORIO MESSORI UN ITALIANO SERIO

Da tempo, conosco per fama Vittorio Messori, “cristologo” di spessore nonché prolifico autore di testi su un “argomento” così profondo. Ho apprezzato la sua valenza attraverso i suoi libri e guardando i suoi rari – e perciò ancor più preziosi – interventi in TV. Mai, però, avrei immaginato che ci fosse una quasi totale identità di vedute tra lui e me sul cosiddetto “Risorgimento”.

Approfondendo la conoscenza della sua persona, ho scoperto che destò scalpore nell’agosto del 1990 quando, a Rimini, con l’energica pacatezza che sempre accompagna la certezza delle sue affermazioni di cattolico intransigente, presentò un suo lavoro sulla vita di un torinese molto poco conosciuto, il beato Francesco Faà di Bruno, una perla rara in quella Torino “risorgimentale”, covo del filisteismo borghese massonico dell’Ottocento. Una città di nuovi barbari in cui, quotidianamente, capitava che qualche derelitta fanciulla venisse messa incinta dal suo datore di lavoro/padrone, liberale e massone, che poi la scacciava di casa proprio per tale motivo.Capitava anche questo a Torino, culla del “Risorgimento” e prima capitale dell’Italia unita.

Non dobbiamo dimenticare che cosa è stato questo cosiddetto Risorgimento” – affermò Messori in quella occasione – “Voglio citare soltanto un dato per giustizia verso questi fratelli che una certa manualistica scolastica, e non solo quella, ha demonizzato. È davvero una calunnia il fatto che questa gente, questi cattolici risorgimentali, non volessero l’unità italiana. Non volevano una unità italiana fatta a quel modo, con quella violenza, con quella arroganza. Questo fu il crimine del Risorgimento.

Dalle Alpi al Lilibeo, univa gli italiani il legame dato da una fede che non a caso si chiama “cattolica”, cioè universale. Eppure fu proprio questo il legame che le logge, che le minoranze che ci imposero con quel tipo di unità, cercarono di distruggere e da qui anche la protesta di questi nostri fratelli che hanno diritto oggi alla giustizia. Nelle Due Sicilie fu demonizzato con il nome di lotta al Brigantaggio quella che fu una vera guerra contro una insurrezione nazionale come era quella dei popoli “liberati” da Garibaldi. È un dato inquietante, ma purtroppo innegabile, che l’unità d’Italia non fu fatta sulla lotta allo straniero, ma sulla lotta all’Italiano.

Fu guerra civile. Nei soli primi mesi della repressione di questo movimento di liberazione che era l’insurrezione delle plebi meridionali, le cifre, tratte dalla relazione ufficiale dello stesso generale Enrico Cialdini, che comandava la repressione al cosiddetto Brigantaggio, erano queste: 8.968 fucilati, fra i quali 64 preti e 22 frati; 10.604 feriti; 7.112 prigionieri; 918 case bruciate; sei paesi interamente arsi, 2.905 famiglie perquisite; 12 chiese saccheggiate e incendiate; 13.629 imprigionati; 1428 comuni posti in stato d’assedio. Questo era il quadro della “liberazione” del Sud, dove erano schierati 120mila uomini, cioè più della metà dell’esercito italiano per schiacciare la rivolta di quegli stessi italiani, “liberati” loro malgrado.

Questa era la cosiddetta unità. Forse questi padri della patria, i cui sospetti monumenti in bronzo ingombrano le nostre piazze, più che i monumenti, meritavano Norimberga. Forse Norimberga era la città giusta appunto per queste persone.

Nel 1861, alle prime elezioni unitarie mancava ancora all’Italia il Lazio, che fu rapinato con la poco gloriosa breccia di Porta Pia. Si tentò in tutti i modi di provocare l’insurrezione dei romani contro il Papa, ma non ce la fecero proprio e si dovette mettere in azione il cannone. Erano così oppressi, i poveri romani dal Papa, che fino all’ultimo non alzarono un dito, malgrado i Savoia mandassero fior di milioni dell’epoca per provocare questa insurrezione contro di lui, che non ci fu.

Nel 1861, l’Italia era più o meno quella di oggi con l’eccezione del Lazio, appunto 1870, con l’eccezione del Veneto, 1866, con la vergognosa cosiddetta Terza Guerra di Indipendenza, e senza ciò che ci giunse poi dopo con la cosiddetta vittoria mutilata, dopo l’inutile strage del 1918. Ebbene, nel 1861, alle elezioni per il primo parlamento cosiddetto unitario, la popolazione italiana contava 22 milioni di persone. Si trattava di eleggere 443 deputati. Ebbene, su questi 22 milioni di abitanti italiani, solo 419 mila avevano diritto al voto. Di questi 419 mila, in quel 1861, ne andarono alle urne 242 mila in tutto. Di questi 242 mila, molti espressero la loro protesta e, quindi, il loro voto fu nullo; pertanto, i voti validi alla fine furono 170.567. Ma di questi 170.567 votanti, 70mila erano di impiegati statali, cui il capo divisione, il capo ufficio, e non è una battuta, il giorno prima delle elezioni consegnò la scheda già votata.

Massimo d’Azeglio disse una volta ai suoi intimi – e grazie a Dio, grazie a una soffiata la sua frase ci è rimasta – vedendo qual era il numero di votanti: “Queste Camere rappresentano l’Italia così come io rappresento il Gran Sultano Turco”. Bene, di questi 443 deputati eletti da meno di 100mila persone, 57 entrarono nel Parlamento italiano grazie a meno di 200 voti; solo due deputati del cosiddetto popolo italiano, su 443, ebbero il suffragio di più di mille votanti. Lo stesso Cavour, che in quel 1861 celebrava il suo trionfo politico, fu eletto nel collegio della sua Torino con 620 preferenze. In realtà la reazione non stava dalla parte dei cattolici, ma stava davvero dalla parte dei liberali di allora…”.

E non è difficile credere – aggiungo io – che quei centomila votanti che elessero quello pseudo-parlamento non fossero altro che massoni, affiliati alle logge o da esse nutriti.

Questi i punti salienti del suo discorso che fece stracciare le vesti alle prefiche di Stato, tra le quali un certo Giovanni Spadolini che definì quelle parole“volgari ed insolenti” e un altrettanto illustre sconosciutoGianluigi Da Rold che scrisse che la violenza scomposta delle sciocchezze storiche risuonate a Rimini non conosce repliche commisurate. L’integralismo si nutre dell’ignoranza, e da sempre la alimenta. Questi non sono gli eredi di Gioberti e neppure hanno letto mai Alessandro Mazzini[1](??? !!!). E, poi, gli altri sarebbero ignoranti…

La parola “Norimberga” aveva fatto saltare dalla sedia tutti i benpensanti appecoronati alla storiografia ufficiale, giornalisti della carta stampata e del video in primis. Ancora oggi, infatti, guai se questi ultimi solo accennassero ad una “rivendicazione” antirisorgimentale… Il TG3 Campania, per esempio, ligio agli ordini che vengono dall’alto, evita sempre accuratamente di citare nelle sue rubriche specializzate un libro “revisionista” o di mandare in onda un servizio su una celebrazione storica della Napoli borbonica e se, per puro caso, ciò inavvertitamente succede, esecrazioni ed anatemi scaglia “Mamma Rai” direttamente da Roma!

Per tutto ciò fa, quindi, piacere, oltre ad esserne onorati, segnalare studiosi mentalmente onesti, come Vittorio Messori che, per autonome riflessioni e convincimenti personali, la pensano come noi in materia di Storia “patria”. E che nessuno pensi o parli di strumentalizzazioni. Persone come lui non sono strumentalizzabili, perché sono Italiani seri.

Erminio de Biase


[1] Corriere della Sera del 31 agosto 1990

1 Comment

  1. Certo che di Italiani seri ne esistono! Peccato però che ad essi non viene mai data voce. Cosi come non viene mai data voce a quei missionari italiani che in Africa cercano di dare una cultura ed un mestiere a quei poveri giovani ai quali era stata insegnata solo la guerra fratricida e la violenza per sopravvivere. Diamo a tali missionari voce e fondi e vedrete che diminuiranno anche gli sbarchi dei profughi veri. Gli altri, quelli che sono vittime della tratta, vanno aiutati con strumenti di lotta agli sfruttatori, troppo spesso vestiti da onlus finanziate da furbi indivjdui.

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