“VOCI, SUONI E CANTI DEI BRIGANTI IN TERRA DI LAVORO”, NEL 2021 LA CONSACRAZIONE
Parlare e scrivere su quello che si produce non è cosa giusta e nemmeno corretta ed infatti non mi accingo a giudicare lo spettacolo “VOCI, SUONI E CANTI DEI BRIGANTI IN TERRA DI LAVORO” che l’Ass.Id.Alta Terra di Lavoro ha portato in scena a Picinisco il 19 agosto 2021 e a Ceprano il 20 di agosto 2021 ma lo farò per i singoli protagonisti per come si sono comportati e per quello che hanno rappresentato.
Cominciamo con i musicanti e da Loredana Terrezza che ha confermato le sue qualità di musicante e cantatrice dell’alta terra di lavoro che si affiancano alla capacità di ricercatrice come membro de la Controra che le ha permesso di scegliere una scaletta musicale, di concerto con Silvano suo compagno di vita e artistico da più di 20 anni, nel pieno rispetto dell’identità e dei vari contesti storici offerti dallo spettacolo che è una narrazione storica che parte dal 1799 e termina con la prima guerra mondiale, questo puoi farlo solo se hai un bagaglio culturale importante.
Tra i musicanti ha esordito, rispetto alle precedenti uscite, Angelo Fusco di Villa Latina già Agnone che con la Zampogna ha dato tocco di identitarietà allo spettacolo poiché il suddetto strumento era quello più in uso, insieme alla ciaramella, alla chitarra battente e al tamburello, tra i briganti della terra di lavoro. Angelo sembrava un Duca non soltanto per il suo aspetto aristocratico ma anche per come ha suonato la sua Zampogna abbinando alla sua antica tradizione di famiglia gli studi fatti in conservatorio dando dimostrazione di originalità e personalità e sorbendosi l’onere di aprire e chiudere lo spettacolo.
Il terzo musicante è Silvano Boschin anche lui colonna de la Controra e confermando quanto già detto per Loredana, le cose le decidono e le fanno insieme, come artista è stato la colonna portante della parte musicale. Silvano grazie al suo enorme bagaglio culturale sulle musiche del Regno ha dato il meglio di se tirando fuori dal suo baule pezzi interpretati in maniera unica ed impeccabile, usando una metafora calcistica possiamo dire che Silvano è il centromediano metodista della squadra, un ruolo che può fare solo chi ha una visione e una conoscenza del calcio a 360 gradi. Uno come Silvano fa la fortuna di tutti gli allenatori perché è quello che permette alla squadra di poter giocare a zona ma passare a uomo o a mista zona se lo circostanze lo richiedono, in caso di necessità Silvano può giocare in difesa come sulle fasce o in attacco e addirittura segnare all’ultimo secondo il goal della vittoria o portare la squadra ai tempi supplementari per poi vincere come accade allo spettacolo. Dopo gli intensi monologhi di Loredana e quello di Cinzia su Matilde Serao che naturalmente abbassano la tensione lo spettacolo arriva Silvano con il pezzo da lui stesso scritto e musicato, “il brigante musolino”, e riporta l’attenzione al massimo consegnando a Raimondo le condizioni ideali per il finale vincente. Silvano ha dimostrato di essere un vero artista napolitano che vuol dire avere una visione universale della musica popolare.
Quando nacque il movimento dei “novatores napoletani” per volontà della casa Reale Borbonica di Napoli che in molti fanno finta di non sapere, Gaetano Filangieri definiva Giambattista Vico il loro “patriarca” suscitando l’ammirazione e l’invidia di tutti i movimenti culturali filosofici d’Europa e noi, sulla scia di quel pensiero con le dovute differenze, possiamo tranquillamente affermare che se Eugenio Maria Beranger è stato il colto che venendo da fuori ha rimesso al centro del mondo con i suoi studi e le sue ricerche la cultura e l’arte dell’alta Terra di Lavoro, Raimondo Rotondi è invece il Patriarca della cultura dell’alta Terra di Lavoro perché crea cultura laborina mettendosi al centro tra quello che è dentro la nostra terra e il trascendente e per quello che scrive e per come recita ha spazzato via con un colpo solo il tentativo di ciociarizzazione della nostra antica provincia. Il potere risorgimentale-giacobino che da più di un secolo ha preso il potere nella provincia di Frosinone pensava che, con qualche quadro di ispirazione francese o di qualche poesia di stampo carducciano dove vengono narrate le vicende dei soliti buoi che tirano l’aratro, delle salsicce appese come della “ventresca” o delle greggi di pecore e come delle cioce, di cancellare millenni di storia e cultura. Raimondo, che oltre a recitare in lingua laborina che purtroppo si sente sempre meno, è l’autore di tutti i testi recitati nella nostra lingua, che è madre nonostante studiosi e accademici giacobinizzati vogliono farla passare come dialetto, che dal punto di vista antropologico è ineguagliabile e seconda solo al napoletano e al siciliano, riuscendo a rappresentare l’anima e la passione di un popolo e di una terra antica che in questo periodo storico è solo in letargo. Come affermava Donna Clotilde nel capolavoro di Annibale Ruccello “Ferdinando” l’unica lingua madre è il Latino e non “‘O Taliano”.
Da Cellole, già casale del Ducato di Sessa, arriva a recitare Elena Sorgente dall’essenza di una nobil-donna napolitana con un volto che sembra uscito dalla Real Fabbrica di Capodimonte per come è solare e che riesce a cimentarsi su testi di enorme spessore e diversi tra loro a cominciare da “quello infame” scritto in un italiano sconclusionato e noioso da Elenora Pimente Fonseca dedicato alla sua benefattrice Maria Carolina Regina di Napoli, per poi passare a quello più raffinato di Giacinto de Sivo e terminare con la storica poesia scritta da Raimondo Rotondi in lingua laborina dedicata a Michelina dove emerge con chiarezza che la recita meglio dell’autore che ne sarà certamente contento. In tutte e tre le rappresentazioni è venuta fuori tutta la passione e l’attaccamento per la sua nazione, quella napolitana, per la sua provincia, la Terra di Lavoro e per la sua comunità quella di Cellole.
Da Cassino, già San Germano, si presenta sul palco Cinzia Zomparelli elegante e aristocratica come una Regina che pur essendo l’unica a recitare in Italiano riesce a far diventare, per una sera, di estrazione laborina la Poesia “Terra di Lavoro” di Pier Paolo Pasolini, le ultime parole dedicate a Fedinando II di Borbone di Napoli scritte da Giacinto de Sivo e l’articolo scritto da Matilde Serao dedicato all’ultimo Re di Napoli, Francesco II di Borbone. Dalla dizione elegante incorniciata in una voce morbida Cinzia riesce a far penetrare negli ascoltatori l’essenza degli autori rendendo di facile comprensione testi e concetti complessi.
Nella ristretta famiglia delle persone che creano cultura in alta Terra di Lavoro dopo queste due notti di fine estate comincia a farci parte anche Loredana Terrezza che ha incantato ma soprattutto interpretato al di la di qualsiasi più rosea previsione dell’Ass.Id. Alta Terra di Lavoro che l’ha scelta per questi ruoli, le donne laborine in tutte le fasce di età. In un crescendo costante e continuo e legandosi con un cordone ombelicare a Raimondo Rotondi che sembra aver scritto per lei i testi interpretandone il tracciato antropologico che l’autore ha delineato, Loredana ha recitato con freschezza giovanile la donna del Brigante Cedrone che diventa brigantessa perché la storia così ha deciso spazzando in pochi minuti tutte questi pseudo studiosi e studiose che vogliono banalizzare e minimizzare il ruolo delle nostre donne etichettandole come innamorate o femministe ante litteram. Come se fosse un’altra persona recita con travolgente passione e la spietatezza di una tigre la donna matura che reagisce, alla maniera delle femmine della terra di lavoro, al tentativo di stupro da parte degli “scauzacani”piemontesi. Anche in questo caso rimane sempre legata al cordone lanciato da Raimondo, cancellando, in questo monologo, le scrittrici di brigantesse che pensano che basta studiare bene “il fattarello” per capire dal punto di vista antropologico le donne laborine ed essere considerate delle esperte in materia ma alla fine eccellono soprattutto per la capacità di creare relazioni opportunistiche.
Loredana riesce a distanza di pochi minuti a vestire l’abito della mamma disperata e in preda alla follia che per fame e miseria ha perso il figlio affidato ai trafficanti di fanciulli autoctoni che lo hanno inviato nelle vetrerie francesi, ha fatto venire i brividi a tutti i presenti. La vicenda della tratta dei fanciulli è stata una piaga drammatica e piena di sangue che ha investito la Terra di Lavoro nei primi 50 anni della neonata Italia e che si vuole tenere il piu possibile sotto traccia e che grazie all’Ass.id.alta terra di lavoro sta venendo fuori con forza, sappiamo che c’è uno studioso di Arce che ha preparato un libro documentato sul tema e aspettiamo con ansia che esca e che Fernando Riccardi comincia a parlarne negli ultimi tempi, speriamo che anche lui su questa tragedia prima o poi ci si dedichi con la massima attenzione. Anche la Rai con Quark anni fa dedicò al tema una trasmissione.
Loredana ha messo in scena tutta la sua essenza e tutto il suo io a cominciare dal suo aspetto fisico che ricorda le nostre donne di una volta minute ma con “le zizze grosse”, da noi si dice che le donne sono come le mele annurche più sono piccole e più sono gustose, con i tratti del viso che sembra Eduardo al femminile e capigliatura ribelle e capricciosa accompagnata da una mimica che è tipica delle donne delle campagne della terra di lavoro, per poi passare alla lingua utilizzata che è quella laborina di San Giorgio a Liri che è un misto tra osco e greganico ed infine ha rappresentato perfettamente le donne laborine che di natura miti e tranquille si trasformano in belve inferocite se le circostanze lo impongono.
Loredana ha creato cultura perché la sua recitazione è uscita fuori dal suo patrimonio genetico, questo vuol dire creare cultura e non assorbirla e diffonderla, che nasce dalla sua “entità” figlia delle tradizioni della sua famiglia, della sua terra, quella di Lavoro, e della sua nazione, quelle napolitana che affonda le sue radici nella magna-greca e nei popoli italici, che ha messo a disposizione di noi tutti attraverso l’arte della recitazione. In alta Terra di Lavoro chi vorrà parlare delle nostre donne identitarie o recitarle in lingua laborina dovra confrontarsi con il duo Terrezza-Rotondi, ma bisognerà essere molto bravi perche altrimenti si scade nel ridicolo.
Lo spettacolo è stato accompagnato dalle ballatrici del laboratorio Tradanze nelle persone di Marilena Norato, Maya Tedesco, Lorenza Di Stefano, Cinzia Zomparelli e Loredana Terrezza che ne ha curato la direzione artistica.
Non è un caso che chiudo con Massimo Felice Abbate, il Notaio del Re, che è arrivato da Napoli per recitare l’Infinito di Leopardi perché gli sono bastati un paio di minuti per dimostrare per l’ennesima volta che Napoli è e resterà per sempre la capitale della Cultura. Massimo sembrava uscito da una commedia Scarpettiana o dal film “Operazione San Gennaro” con il suo napoletano novecentesco dalla “R moscia” dando la sensazione che stesse recitando un’altra poesia dimostrando perché Napoli riesce a creare cultura anche con opere scritte da altri.
Come anticipato non parlerò della nostra associazione che ha creato lo spettacolo perché lo lascio giudicare agli altri ma da i giudizi ascoltati non dobbiamo aver fatto una brutta figura e ci teniamo stretto il complimento “raffinato” e “colto” che ci lusinga ricordando che si potrebbe dire aristocratico perché tutto quello che è popolare napolitano, un unicum al mondo, è aristocratico è che non si puo cancellare con la creazione positivista chiamata “folklore”.
L’Ass.id. Alta Terra di Lavoro ha cercato di narrare la storia, la storia occultata, attraverso lo spettacolo curando con attenzione il percorso partendo dal 1799 per finire alla prima guerra mondiale, ha scelto con cura gli interpreti e i ruoli affidati ad ognuno di loro andando oltre i legami affettivi. Dal punto di vista tecnico non abbiamo le capacità di dire se lo spettacolo è buono oppure no, se si potevano usare scenografie diverse, erano assenti veramente, se si potevano usare costumi diversi o se andava spiegato ma di una cosa però sono certo che se Pasolini definì Napoli “una sacca della storia dell’uomo” la Terra di Lavoro non ha toccato il fondo di quella sacca come la sua antica capitale, ma s’è fermata solo 30 cm prima.
Ringrazio il Comune di Picinisco per averci ospitato e per aver creduto nello spettacolo con una menzione particolare a Simone Ionta che dopo aver visto brevi monologhi lo ha proposto al consiglio comunale. Ringrazio, altresì, il Comune di Ceprano che con determinazione ha voluto lo spettacolo attraverso l’Ass. Sig.ra Anna Letizia Celani che ha accolto la segnalazione di Patrizia Velardi. Ringrazio sempre la Sig.ra Celani per aver fatto pubblicare il comunicato stampa a “Ciociaria Oggi” come di seguito riporto.
Nei prossimi giorni pubblicheremo i due spettacoli in maniera integrale che vi verrà comunicato attraverso i nostri canali di informazione.
Claudio Saltarelli
Mi sembra da quello che ho letto che c’e’ un’infinita di argomenti portati in evidenza, penso in una sintesi concentrata…ma se di qualche argomento darete notizia di scritti pubblicati, penso ad esempio della tragedia dei bambini affidati ma purtroppo finiti a vivere lontano storie tragiche, sarei interessata a leggerli
se suggeriste dove richiederne copia. Intanto vivissimi complimenti per la passione e l’impegno… un’operazione veramente preziosa, appassionante e lodevolissima. caterina OSSI