Voltaire, il guardiano della nostra prigione mentale
Un saggio di recente pubblicazione di saggio di Marion Sigaut ci racconta chi era veramente il padre dell’Illuminismo: un intollerante, un taccagno e un approfittatore
menzogna (XY.IT Editore – Collana Antaios, 18 Euro, 202 p.) che apre squarci interessanti sul “metodo” Voltaire, principalmente attraverso la lettura attenta di documenti personali, in qualche caso privati, legati ad alcuni casi che contribuirono a donargli l’immeritata fama di difensore della tolleranza.
Il sottotitolo originale francese di questa coraggiosa monografia, Une imposture au service des puissants, descrive sinteticamente, con un’espressione fortemente polemica e, dunque, voltairiana, il punto sorgivo e il metodo del Papa dell’Illuminismo francese. La Francia brulica di scuole, licei, piazze, viali dedicati a Voltaire. Anche in Italia, in occasione degli attentati che colpirono alcune grandi città europee, molti dirigenti scolastici, su input evidentemente proveniente dall’alto, imposero la lettura di brani dal Trattato sulla tolleranza, suggerendo che l’alternativa al fanatismo religioso (tout court) fosse il ritorno all’Illuminismo, nella sua versione più radicalmente laicista e secolare. Eppure, con il suo motto «La libertà per tutti, ma non per i nemici della libertà», è proprio l’Illuminismo la matrice originaria delle violenze ideologiche che, dallo sterminio di Vandea in avanti, hanno insanguinato e desertificato l’Europa!
Questo Illuminismo radicale e laicista, decidendo volta per volta chi sono i nemici della sua idea di libertà, è all’origine della crisi profonda di valori in cui si dibatte l’Occidente, resa oggi tragicamente più evidente dall’impatto con le culture pre- e anti- illuministe che le ondate immigratorie stanno portando al suo interno.
Romano Guardini scrisse della “slealtà” dell’Illuminismo, che afferma valori di cui esso stesso non riconosce l’origine e che, anche per questo, finisce per distorcerli. Böckenförde, più recentemente, ci ha richiamati all’aporia di un Occidente liberale che vive di valori che non è esso stesso in grado di fondare e giustificare. Marion Sigaut, autrice già nota ai lettori di Tempi, con questo suo volume, ci riporta all’origine di questa slealtà e di questa distorsione. Lo fa, da storica, ripercorrendo alcuni “casi”, che contribuirono a creare il “mito Voltaire”, ma lo fa con rigore documentario, senza fermarsi di fronte ai mostri sacri e intoccabili del paradigma illuminista. Già, perché la prima libertà, negata ai «nemici della Rivoluzione» è proprio la libertà di ricerca, la possibilità e la volontà di accedere a fonti e documenti mai sino in fondo sondati e di mettere così alla prova la mitologia voltairiana sulla ben più profana realtà dei fatti. In Francia Marion Sigaut ha trovato qualche porta sbarrata, quando si trattava di indagare fonti di archivio che avrebbero potuto mettere in discussione la vulgata di un Voltaire padre della tolleranza. Appunto: libertà di ricerca sì, ma mai per i nemici della rivoluzione!
Marion Sigaut non tratta, ma racconta con grande perizia narrativa i casi su cui è costruito il suo libro. Lo fa come se parlasse con ciascuno di noi lettori, con una “finesse” e un’ironia tutta francese, che, pertanto, riesce a rendere il volume di lettura gradevole e sinanche leggera, pur non omettendo mai ampi e precisi richiami alle fonti documentarie. Il primo caso sono gli “imbastigliamenti” di Voltaire, prigionia breve e dorata, che egli sfruttò abilmente, facendo di sé un martire vivente di quell’Ancien Régime, dei cui privilegi, pure, amava godere. Risulta gustosissimo il capitolo sulla taccagneria di Voltaire, anche in questo padre spirituale dello snobismo radical chic. Segue, poi, la narrazione dell’Affaire Calas e del caso orribile del Cavaliere de La Barre. Il primo vide Voltaire prendere le difese della famiglia Calas, ugonotta, accusata di aver ucciso il figlio convertito al cattolicesimo, ma che sosteneva che questi si fosse suicidato. Il secondo è un tipico caso di blasfemia pubblica, conclusasi con una condanna a morte, sulla quale Voltaire intervenne a cose fatte. Così, condannato da un tribunale laico, il cavaliere de La Barre, divenne la bandiera di cui si aveva bisogno per «diffamare i giudici, la Chiesa, le persone oneste, il popolo e la Francia», il tutto passato sui libri di testo e nella storiografia ufficiale grazie a una sola fonte, per di più scarsamente attendibile. Era questo il «metodo Voltaire»: «Una ragnatela di menzogne impreziosita da qualche dettaglio veritiero e destinata a nascondere l’essenziale». Occorre leggere questo testo, ripercorrerne l’attentissima ricostruzione storica, per capire questa straordinaria abilità a «costruire verità», di cui ancor oggi è schiava la società del «politicamente corretto».
Da ultimo una piccola osservazione, per così dire, «fuori testo». Quando XY.IT decise di pubblicare quest’opera, ne fu inviata copia ad alcuni esperti traduttori dal francese, che si intendessero anche di storia moderna. La risposta, negativa, di almeno uno di essi era, nelle motivazioni addotte, più che mai eloquente della mitizzazione imperante di Voltaire: è un testo troppo revisionista; è un testo ideologico… Invece, l’ideologia, applicata alla storia, consiste esattamente nell’accettazione acritica di un pregiudizio e nel rifiuto di accostare fonti scomode. Se questo è revisionismo, ben venga, allora, il revisionismo. Voltaire, come ha scritto acutamente un recensore francese dell’opera della Sigaut, è «un des gardiens de notre prison mentale», uno di guardiani della nostra prigione mentale, messo lì a difendere un sistema di liberalismo illusorio e apparente che non vuole essere messo in discussione. Ben venga, allora, proprio quella libertà di pensiero che l’ideologo dell’illuminismo francese scriveva di volere più di ogni altra cosa, e venga, quindi, a spalancare, finalmente, la gabbia del pensiero in cui una narrazione ripetuta sino alla noia, ci ha ormai abituati.
Giuseppe Reguzzoni – Tempi, 17 marzo 2018