Alta Terra di Lavoro

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“Arrivava Manhes nelle Calabrie” il macellaio di Murat (1810)

Posted by on Ago 9, 2023

“Arrivava Manhes nelle Calabrie” il macellaio di Murat (1810)

Un Manhes generale, aiutante di campo di Murat, che già aveva con singolare energia pacificato gli Abruzzi, parve al Re uomo capace di condurre a buona fine l’opera più difficile delle Calabrie. Il vi mandò con potestà di fare come e quanto volesse.

Era Manhes di aspetto grazioso, di tratto cortese, non senza spirito, ma di natura rigida ed inflessibile, nè stromento più conveniente di lui poteva scegliere Giovacchino per conseguir il fine che si proponeva. Arrivava Manhes nelle Calabrie, a questo solo disposto, che le Calabrie pacificasse; del modo, qualunque ci fosse, non si curava: ciò si pose in pensiero di fare, e fecelo, ferocia a ferocia, crudeltà a crudeltà, insidia ad insidia opponendo; e se questi rimedj sono necessari, che veramente erano in Calabria, per ridurre gli uomini a sanità, io veramente dell’umana generazione mi dispero.

Primieramente considerò Manhes, che l’operare spartitamente avrebbe guastato il disegno; perchè i facinorosi fuggivano dal luogo in cui si usava più rigore, in quello in cui si procedeva più rimessamente: così cacciati e tornanti a vicenda da un luogo in un altro, sempre si mantenevano. Secondamente andò pensando, che i proprietarj, anche i più ricchi, ed i baroni stessi che vivevano nelle terre, ricoveravano, per paura di essere rubati e morti, quest’uomini barbari. Dal che ne nasceva, che se non si trovava modo di torre loro questi nascosti nidi, invano si sarebbe operato per ispegnergli.

   S’aggiungeva che la gente sparsa per le campagne, per non essere ma­nomessa da loro, dava loro, non che ricovero vetto­vaglie; e così fra il rubare il nascondersi ed il va­gare era impossibile il sopraggiungerli. Vide Manhes convenirsi che con qualche mezzo straordinario, giac­ché gli ordinari erano stati indarno, si assicurassero gii abitatori buoni, i briganti s’isolassero. Da ciò ne cavava quest’allro frutto, che i giudizi sarebbero stati severi, operando contro dei delinquenti l’antica paura ed i danni sopportati. Ferro contro ferro, fuoco con­tro fuoco abbisognava a sanare tanta peste, e medicina di ferro e di fuoco usò Manhes. Per arrivare al suo fine quattro mezzi mise in opera: notizia esatta del numero dei facinorosi comune per comune, intiera loro segregazione dai buoni; armamento dei buoni; giudizi inflessibili. Chi si diletta di considerare le fac­cende di Stato, ed i mezzi che riescono e quelli che non riescono, vedrà nelle operazioni di questo pru­dente e rigido Francese quanto i mezzi suoi quadras­sero col fine e eh* ei non andò per le chimere 6 le astrazioni, come fu l’uso dell’età. Ordinò che ciascun comune desse il novero de’ suoi facinorosi; pose le armi in mano ai terrazzani, partendogli in ischiere; fé ritirare bestiami e contadini ai borghi più grossi, che erano guardati da truppe regolari; fe’ sospendere tutti i lavori d’ agricoltura; dichiarò caso di morte a chiunque che, ai corpi armati da lui non essendo ascritto, fosse trovato con viveri alla campagna; mandò fuori a correr la i corpi dei proprietari armali da lui comune per comune, intimando loro, fossero tenuti a tornarsene coi facinorosi o vivi o morti. Non si vide più altro nelle selve, nelle montagne, nei campi, che truppe urbane che andavano a caccia di briganti, c briganti che erano cacciati. Quello che rigidamente aveva Manhes ordinato, rigidamente ancora si effet­tuava. I suoi subalterni il secondavano, e forse non con quella retta inflessibilità ch’egli usava, ma con crudeltà fantastica e parziale. Accadevano fatti nefandi: una madre che, ignara degli ordini, portava il solito vitto ad un suo figliuolo che stava lavorando sili campi, fu impiccata. Fu crudelmente tormentata una fanciulla olla quale furon trovate lettere indiritte a uomini sospetti. Né il sangue dei Carbonari si rispar­miava. Capobianco, loro capo, dopo alcun tempo, trotto per insidia e sotto colore d’amicizia nella forza, fu ucciso. Un curato ed un suo nipote, entrati nella setta, furono dati a morte, l’uno veggente l’altro, il nipote il primo, lo zio il secondo. Rifugge V animo a me, che già, tante orrende cose raccontai, dal raccon­tare i modi barbari che contro di loro si usarono. I Carbonari, spaventati dalle uccisioni, perché molti di loro perirono nella persecuzione, si ritirarono alle più aspre montagne.

I facinorosi intanto, o di fame, per essere il paese tutto deserto e privo di vettovaglie, perivano, o nei combattimenti che contro gli urbani ferocemente so­stenevano, morivano, o preferendo una morte pronta alle lunghe angosce, o da sè medesimi si uccidevano, o si davano volontariamente in preda a chi voleva il sangue loro. I dati o presi, condotti innanzi a tribu­nali straordinari, composti d’intendenti delle province e di procuratori regi, erano partiti in varie classi; quindi mandati a giudicare dai Consigli militari, creati a posta da Manhes. Erano strangolati sui patiboli, o soffocati dalla puzza in prigioni orribili; gente feroce e barbara, che meritava supplizio, non pietà. Né solo si mandavano a morte i malfattori, ma ancora chi gli favoriva, o poveri, o ricchi, o quali fossero, o con qual nome si chiamassero; perciocché se fu Manhes ineso­rabile, fu anche incorruttibile. Pure, per opera di chi aveva natura diversa dalla sua. si mescolavano a pene giusti fatti iniqui. Succedevano vendette che mi rac­capriccio a raccontare. Denunziati dai facinorosi, che per ultimo misfatto usavano mortali calunnie, alcuni innocenti furono presi e morti. Talarico di Carlopoli, capitano degli urbani, devoto e provato servitore del nuovo governo, accusato, per odio antico, da un faci­noroso, piangendo ed implorando tutti la sua grazia, fu dato a morte. Non è però da tacersi eh’ ei fu con­dannato dalla corte di Cosenza sopra l’accusa datagli dal Procuratore del Re di aver avuto segrete intelli­genze coi briganti. Parafanti, donna, per essere, come si disse, stata moglie del facinoroso di questo nome, arrestata con tutti i suoi parenti e dannata con loro all’ultimo supplizio, perì. Posti in fila nel destinato giorno, l’infelice donna la prima, i parenti dietro, preti e boia alla coda, marciavano, in una processione distendendosi ch’io non so con qual nome chiamare. Eransi posti in capo ai dannati berrette dipinte a fiamme, indosso vesti a guisa di sanbenito: cavalcavano asini a ritroso ed a bisdosso. A. questo modo s’accostarono al patibolo: quivi una morte crudele pose fine ad una commedia fantastica ed orribile? Né davano solamente supplizi coloro che a ciò fare erano comandati, ma ancora i paesani, spinti da rabbia e da desiderio di vendetta, infierivano contro i malfattori: insultavano con ischerni ai morti, straziavano con le unghie i vivi, dalle mani dei carnefici togliendoli per ucciderli.

“Furono i Calabri facinorosi sterminati da Manhes fino ad uno. Chi non morì pei supplizi, morì per fame. I cadaveri di molti nelle vecchie torri, o negli abbando­nati casali, od anche sugli aperti campi, si vedevano spiranti ancor minacce, ferocia e furore: la fame gli aveva morti. Dei presi, alcuni ammazzavano le pri­gioni prima dei patiboli. La torre di Castrovillari, angusta e malsana, videne perire nell’insopportabile tanfo gran moltitudine. La contaminazione abbominevole impediva ai custodi l’avvicinarsi; i cadaveri non se ne ritiravano, la peste cresceva, i moribondi si brancolavano per isfinimento e per angoscia sui morti, i sani sui mori­bondi, e se stessi, come cani, ‘con le unghie e Coi denti laceravano. Infame puzza di putrefatti cadaveri di­ventò la castrovillarese torre: sparsesi la puzza in­torno e durò lunga stagione; le teste e le membra degl’impiccati, appese sui pali di luogo in luogo, ren­dettero lungo tempo orrenda la strada da Reggio a Napoli. Mostrò il Crati cadaveri mutilati a muo- chi: biancheggiarono, e forse biancheggiano an­cora, le sue sponde di abbominevoli ossa. Così un terror maggiore sopravanzò un terror grande. Diventò la Calabria sicura, cosa più vera che credibile, sì agli abitatori che ai viandanti: si apersero le strade al commercio, tornarono i lavori all’agricoltura; vestì il paese sembianza di civile, da barbaro ch’egli era. Di questa purgazione avevano bisogno le Calabrie, Manhes la fece: il suo nome saravvi e maladetto e benedetto per sempre.”

estratto da

Storia d’Italia dal 1789 al 1814 di Carlo Botta

PINE DEL LIBRO VIGESIMO QUARTO.

testimonianza in musica

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