BRIGANTAGGIO-NELLE PROVINCIE NAPOLETANE DAI TEMPI DI FRA DIAVOLO SINO AI GIORNI NOSTRI-MARCO MONNIER (GIORNALE DI BORJÈS-CALABRIA)
Ci sono dei testi che hanno fatto la storia del Sud, partecipando a quella “guerra delle parole” che ci ha ridotti a dei servi senza dignità. Ebbene i libri scritti da Marco Monnier, scrittore che ebbe accesso alla documentazione delle gerarchie militari piemontesi (del La Marmora tanto per citarne uno a caso…) fanno parte di quei testi.
I suoi scritti sul brigantaggio e sulla camorra verranno scopiazzati da tutti coloro i quali si occuperanno di tali argomenti dopo di lui. Nessuno dirà più di lui nè aggiungerà nulla a quanto detto da lui. Salvo rare eccezioni, quali il Molfese, secondo il nostro modesto parere.
I termini scelti da Monnier, i suoi giudizi, la sua valutazione degli eventi, tutto verrà ripetuto migliaia di volte sui giornali, nelle accademie dove si formano le classi dirigenti, nelle scuole di ogni ordine e grado.
Le sue omissioni saranno le loro omissioni – vedi le deportazioni dei Soldati Napolitani, giusto per non restare nel vago.
Zenone di Elea, 23 Dicembre 2008
22
settembre
1861.
Caracciolo1 spinto in parte dalla stanchezza, in parte dalle istanze di un tal Maura, mi fece sapere a due ore dopo mezzo giorno che egli erasi deciso a ritornarsene a Roma. Gli feci molte obiezioni per ritenerlo, ma inutilmente. Copiò l’itinerario, e, verso sei ore della sera, mi chiese 200 franchi, e se ne andò con colui che deve aver contribuito alla sua partenza.
Nota. – Le montagne della Nocella e di Serrastretta sono assai coltivate: tuttavia l’ultima è sguernita a mezzogiorno; folta di pini al settentrione, e di castagni a ponente.
23
settembre.
Dalla montagna di Serrastretta ho marciato verso quella di Nino, ma cammin facendo mi fermai ad una cascina di Garropoli, ove feci uccidere un montone che mangiammo. Le genti della cascina furono cattive con noi, e per conseguenza misero le truppe nemiche sulle nostre tracce. Esse rovistarono i boschi cercandoci; fortunatamente lasciarono un angolo di terra, ove come per miracolo ci trovavamo. A quattro ore della sera batterono in ritirata con nostra grande sodisfazione;
1 Questo Caracciolo, officiale napoletano, si mise allora in marcia, solo, per andare a Napoli. Fu arrestato per via dalla Guardia nazionale. Confessò e dichiarò con una lettera resa di pubblica ragione, che erasi arruolato con Borjès, sperando trovare in Calabria un armata realista, ma che non rinvenendovi che una banda di briganti, avea per disgusto lasciato il capitano spagnuolo. Rispetto a Mittica, di cui il Giornale non fa più parola, fu ucciso con tutti i suoi uomini da’ liberali di Calabria e da’ soldati italiani.
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e noi, non appena avemmo mangiato alcune patate arrostite su carboni, ci mettemmo in marcia (a sei ore) per seguire la direzione delle montagne.
Nota. – Le montagne di Nino e di Garropoli sono assai coltivate, ma hanno poco bosco. Vi è molta selvaggina, e in particolare delle pernici rosse: vi abbonda anche il bestiame.
24
settembre.
Dalla montagna di Nino mi diressi verso la valle dell’Asino, che in questi tempi ho trovata piena di capanne abitate da moltissima gente: gli abitanti vi raccolgono delle patate e vi nutriscono i loro armenti. Questa pianura da levante a ponente ha una lunghezza di un1 ora e un quarto di cammino, e una larghezza di un’ ora. In fondo, e a levante, scorre un ruscello, il corso del quale parte da settentrione a mezzogiorno. Sulla sua riva sinistra si presenta una salita assai aspra, ma dopo una mezz’ora di cammino la via si allarga, la scesa diviene insensibile, tanto è agevole. Quand’ebbi raggiunto l’altura, la Provvidenza volle che io udissi un sonaglio: feci alto, e ben sicuro che alla nostra diritta eravi una cascina, lasciai la strada, e allettato dalla fame, mi ci indirizzai felicemente: dico felicemente, perché in quell’istante giunsero 120 Garibaldini, che si posero in una imboscata per prenderci, allorquando fossimo giunti alla sfilata che noi dovevamo traversare e che lasciammo così sulla nostra sinistra. Giungemmo alla cascina e fummo benissimo ricevuti: furono uccisi due montoni: ne mangiammo uno, portammo con noi il secondo per mangiarlo all’indomani. Indi ci sdraiammo, e alla punta del giorno ci riponemmo in marcia, accompagnati da un pastore, per recarci ad Espinarvo, o, come si chiama in paese, al Carillone, ove fummo alle sette del mattino.
25 settembre.
Giunto sulla montagna di Espinarvo feci alto affinchè i miei officiali si riposassero tutta la giornata. Al nostro arrivo incontrammo un contadino di Taverna, che se ne partiva con due muli carichi di legname da costruzione..Dopo averlo lungamente interrogato, gli detti dei danari, perché ci portasse delle provvigioni per l’indomani. L’attendemmo invano. Invece del pane e del vino, che gli avevo pagato a caro prezzo,
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ci inviò una colonna di Piemontesi, che ci costrinsero a partire in gran fretta: ma siccome essa non potè vederci, nulla ci avvenne, se non teniam conto della fatica di cui questo contrattempo ci fu causa. Marciammo dunque, perché essi perdessero le nostre tracce: a otto ore e mezzo di sera ci conducemmo ad una cascina della montagna di Pellatrea, che lasciammo alle undici, conducendo con noi uno de’ pastori, e ci recammo a riposarci a poca distanza della medesima.
Nota. – Espinarvo è una montagna frammista di ricche pasture e per conseguenza abitata da molti bovi e da altro bestiame. Nella pianura sorgono pini ed abeti, e la chiamano Carillone: essa è cinta da un bosco assai folto e assai tristo: il terreno è ottimo e ferace: que’ boschi sono, è vero, assai freddi, e in questa stagione la brinata si fa sentire assai duramente: ma se gli alberi fossero in parte atterrati, e le terre coltivate, è certo che la temperatura sarebbe più dolce, dacché gli alberi vi sono così fitti che il sole non vi penetra giammai; e questa è la causa naturale del freddo che vi si trova.
26 settembre.
Alla punta del giorno mi sono posto in marcia, e dopo aver traversato la montagna, sono entrato al Ponte della Valle: questa specie di piccola pianura che da levante va a ponente e che avrà all’incirca sei ore di lunghezza sopra dieci minuti di larghezza, abbonda di armenti, e di gente armata. Ma nessuno, ci recò fastidio. Pure quando la lasciammo per raggiungere il monte Colle Deserto, cinque uomini armati vennero a noi e ci chiesero chi fossimo. Ma siccome gli rispondemmo amichevolmente, ci lasciarono in pace. Frattanto giungemmo alla montagna nel luogo in cui essa offre il suo fianco diritto, e allorché fummo al vertice scuoprimmo la valle di Rovaio. Scendemmo tranquillamente per traversarla, e la traversammo. Ma allorché ci preparavamo a salire un altro monte, il nome del quale era ignoto alla guida, scorgemmo una casetta a trecento passi da noi e una sentinella che camminava dinanzi a quella e che non avvertì la nostra presenza.
Vedendo alcuni contadini che preparavano del lino, chiesi loro che significasse quella sentinella, ed essi mi risposero: «È la sentinella di un distaccamento Piemontese. – È egli numeroso? chiesi – 200 uomini, ma rassicuratevi, stamani
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hanno salito il monte, verso il quale vi indirizzate.» Questi schiarimenti mi costrinsero ad. una contromarcia di quattr’ore, credendo poter lasciare i nemici dietro di noi, e ho potuto farlo; ma essendo in vista della piazza di Nieto seppi che eranvi cinquanta custodi armati da Guardie nazionali; perii che rimanemmo nel bosco fino al cader del giorno. Allora, scendemmo, prendemmo una guida, e andammo a dormire sul monte Corvo, dove arrivammo verso mezza notte.
Nota. La montagna di Pelletrea, da noi lasciata la mattina del 26, è fertile e assai ben coltivata: produce patate, legumi, fichi e altri frutti eccellenti. I ricchi di Cotrone vi inviano i loro armenti a pascervi. Noi mangiammo un montone alla cascina del capitano della Guardia nazionale di quella città, chiamato Don Chirico Villangiere. Se potesse arrestarci, ci farebbe pagar ben cara la nostra audacia: pure abbiam dato quaranta franchi al pastore, e parmi che fosse ben contento di questo inaspettato guadagno. Ponte Della Valle è una pianura in parte descritta nell’itinerario dei 25 settembre: ma molto mi resta a dirne. Questa valle è traversata in tutta la sua lunghezza da un fiume che la bagna anche troppo. Quelle acque, mancando di un canale alquanto profondo per scorrere, rendono quel luogo paludoso; se vi fossero condotti per disseccarlo, diverrebbe il più bel giardino del mondo. Malgrado ciò, produce una gran quantità di lino, ed è una abbondante pastura. Gli armenti che vi si vedono sono innumerevoli. Le capanne di coloro che preparano il lino sono fittissime, di guisa che si scorge moltissima gente che va e viene. La montagna di Colle Deserto ha molto bosco; malgrado ciò, la parte meridionale di essa sarebbe suscettibile di produrre buon vino, se vi fosser piantate delle viti. La valle di Rovale, piccolissima, riunisce le stesse condizioni della precedente, con questo di più, che mi sembra più sana ed è meno umida. La valle di Nieto, che avrà forse una quindicina di leghe di circonferenza, è oltre ogni dire sorprendente. Giardini, pasture, ruscelli, casette, palazzi con ponti levatoi, e a piccole distanze, boschetti, rendono questo luogo il soggiorno di estate il più incantevole che io abbia mai veduto. Non parlo delle donne che vanno attorno con panieri pieni di formaggi, di frutta o di latte; degli uomini che lavorano o zappano; de’ pastori che appoggiati al tronco de’ salici, cantano o suonano
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il flauto o la zampogna. In breve è un’ Arcadia, ove le pietre, se volassero, si fermerebbero per vedere, ascoltare e ammirare. – La montagna di Corvo ha molto bosco, e non offre d’interessante che i bei pini che cuoprono i suoi fianchi e coronano la sua cima. Pure la parte meridionale ben coltivata, compenserebbe largamente le fatiche di chi prendesse a lavorarla.
27 settembre.
Mi son posto in cammino per recarmi alla montagna di Gallopane, e verso le 9 del mattino ci siamo giunti: abbiam mangiato un pezzo di pane e delle cipolle, che andammo a cercare ad una casa situata all’orlo dei bosco, dove incontrammo una Guardia nazionale, che non riconoscemmo per tale. Questa circostanza, nota a noi più tardi, mi decise a raggiunger la cima, dove arrivai verso mezzogiorno. Là feci alto co’ miei uomini, che estenuati dalla fame e dalla fatica non ne potevano più. Dopo un quarto d’ ora di riposo, vedemmo un giovanetto di venti anni, snello di corpo, che mi parve assai sospetto; quest’idea mi fece prender il partito di cercare una strada, che conducesse a rovescio della montagna. Dopo dugento passi, il capitano Rovella, che ci precedeva in qualità di esploratore, mi fece segno di arrestarci, e mi disse che vedeva 15 Guardie nazionali, che venivano incontro a noi. A questa notizia m’imboscai: ma quando furono a un tiro di fucile da noi, ci videro e si fermarono. Li aspettammo una mezz’ora; e vedendo che non si muovevano, temei qualche accordo, e mi decisi subito a cambiar direzione. Seguii dunque, senza guida e per il bosco, la parte settentrionale, come punto del nostro viaggio per quella sera. Verso le cinque, io era estenuato dalla fatica e affranto dalla fame, e mi trovai sopra una piccola montagna chiamata Castagna di Macchia. Pieno di angoscia e di perplessità, non sapevo più dove andare, né che fare; ma siccome la Provvidenza veglia sempre sui propri àgli, essa ci fece apparire, pregata senza dubbio dalla Vergine Santa, un pastore, che si avvicinò a noi e ci disse che avrebbe dato vitto e alloggio a tutti; il che fece. Se per disgrazia il Cielo ci avesse rifiutato questo favore, eravamo perduti. Appena entrati nella casupola del pastore (ed è degno di nota che questa è la sola volta che abbiamo
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dormito al coperto dacché siamo sbarcati), scoppiò un terribile uragano. La pioggia cadde a torrenti per tutta la notte, e invece di soccombere sotto il peso della stanchezza, della fame e della tempesta, mangiammo e dormimmo benissimo, e ringraziammo Dio con tutto il cuore per questa grazia accordataci.
Nota. – La montagna di Gallopane è in parte coltivata: potrebbe esserlo intieramente; e se lo fosse, non si può calcolare quanta gente sarebbe in grado nutrire, tanto il terreno ne è buono. Produrrebbe, senza grande fatica, grano, patate, gran turco e abbondanti pasture. La Castagna di Macchia è una montagna piena di castagni; nutrisce molti giumenti, bovi e montoni. Il basso popolo è là, come ovunque, eccellente.
28 settembre.
A otto ore e mezzo ho lasciato la casa per raggiungere una tettoia, che si trova a un1 ora e un quarto di distanza. Due pastori ci accompagnano, e lasciandoci ci promettono che andranno in cerca di 20 uomini che voglion venir con noi e di condurceli prima di sera.
Sono le nove del mattino, e Dio solo sa quello che può succedere di qui alle 7 della sera.
Mezzogiorno.
– Nulla di nuovo relativamente al nemico. Gran regalo! Ci portano delle patate cotte nell’acqua.
Otto ore di sera.
– Gli uomini che mi erano stati promessi non giungono. Dubito che sieno immaginarii, o che diffidino di noi.
29 settembre.
Sei ore del mattino.
– Un corriere dell’agente del principe di Bisignano mi prega d’inviargli qualche documento che possa constatare la mia identità: gli invio due lettere del generale Clary, e sto attendendo con impazienza i resultati che produrranno.
Sei ore e
3/4. – Sono informato che il nemico si è messo in marcia per sorprendermi. Questa notizia unita alla paura de1 contadini che ci rubano assai, mi costringe a lasciar la mia tettoia per dirigermi verso il bosco di Muzzo, dove il corriere che è venuto a trovarmi atamani deve raggiungermi.
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Sette ore e m.
40. – Giungiamo al bosco.
Nove ore e
20
minuti. –
II corriere atteso giunge, ma io debbo seguirlo a Castellone, dove mi aspetta l’agente suddetto.
Dieci ore e mezzo.
– Lo incontro con una diecina d’uomini; mi saluta assai cortesemente, e subito dopo da ordine per riunir gente: ciò fatto, ci dirigiamo verso il territorio di Roce; ma gli uomini cbe accompagnavano la nostra nuova guida si dileguano come il vapore.
Nota. – Serra di Mezzo è coperta di boschi da costruzione, magnifici: vi sono anche molte terre coltivate e fertili e de’ ruscelli di un’acqua assai limpida. – Territorio di Roce. È un paese sano, d un clima assai dolce: coperto di macchie assai folte e frondose. Si veggono qua e là alcune querce e sugheri molto rigogliosi. Devo notare che se si prendesse maggior cura di coltivare tali alberi, questi monti sarebbero in futuro miniere di oro. Molte casette e molte cascine sono seminate in questi luoghi. L’agricoltura è in buono stato, ma è suscettibile di miglioramento.
30 settembre.
Territorio di Roce, 5 ore di sera.
Un confidente arriva e ci avverte che i nemici hanno circondato i boschi di Macchia e di Muzzo per sorprenderci: hanno arrestato sette contadini che ci accompagnavano ieri sera. Questi disgraziati, vinti dalla paura, hanno indicato ai nemici la nostra direzione; il che significa che sarem costretti, malgrado l’oscurità, a toglier l’accampamento. I proprietari della Sila essendo pessimi, bisognerà prendere una direzione affatto opposta.
Dieci ore di sera.
Ci fermiamo al bosco di Ceprano, ad una ora di distanza dal luogo onde siamo partiti, con questa differenza, che invece di essere a mezzogiorno ci troviamo a settentrione.
Nota. – Sono senza calzatura, «ho i piedi rovinati, alla pari di altri officiali. Non sapendo come uscire da questo stato miserando, mi rivolgo ad alcuni contadini. Vedendo la nostra dolorosa situazione, partono ciascuno in direzione diversa, e ai portano le loro scarpe. Ne provo un paio, non mi stanno: ne prendo un altro paio, che pesa 3 chilogrammi, e lo conservo.
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Le altre son distribuite e pagate a carissimo prezzo.
1 ottobre.
Sei ore del mattino.
– Grande nuovità. Abbiamo pane bianco, prosciutto, pomodori, cipolle, e un bicchierino di vino’; cosa rarissima qui.
Un’ ora dopo mezzogiorno.
– Sette guardie nazionali si presentano alla Serra del Pastore, di fronte a noi, mentre una ventina di esse percorre la Serra del Capraro; vi restano una mezz’ora, poi si ritirano dal lato di Roce, d’onde sono venuti.
Dieci ore di sera.
– Le guardie nazionali si riuniscono a Roce. Oggi hanno rubato cinque capre alle fattorie del principe di Bisignano.
Nota. – I proprietari della Sila sono antirealisti, perché quando il re fosse sul trono non potrebbero comandare dispoticamente ai loro vassalli. So che Roce e Castiglione sono buonissimi, e che quindi vi si può far conto.
2 ottobre.
Sei ore del mattino.
– Tutti coloro che presero parte alla sollevazione dei marzo decorso sono imprigionati.
Sette ore.
– Le spie ci recano che coloro che comandavano le forze da noi vedute ieri, erano i due figli del barone di Mollo e del barone Costantino, e che la forza da essi guidata era composta soltanto di loro guardie.
Otto ore.
– Mi si dice che ieri sono uscite tutte le forze di Cosenza per piombare sopra di me: ma avendo saputo per via che una banda de’ nostri avea sconfitto un distaccamento nemico, queste forze hanno cambiato direzione per gettarvisi sopra. Non so quanto in ciò siavi di vero, ma è un fatto che, malgrado tutti i miei agenti, non ho potuto scuoprire una sola banda di realisti in campagna. Le guardie nazionali di Roce hanno inviato stamani un dispaccio a Cosenza, ma ne ignoro il contenuto. So che in questa città non vi sono forze disponibili: ieri furono costretti a far montare la guardia a contadini disarmati. Essendo morto un generale piemontese, non si è trovato che una cinquantina d’uomini per accompagnarlo al cimitero.
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Cinque ore della sera.
– Nulla so ancora delle forze che l’agente credeva poter rinvenire: temo che questo sia un pio desiderio e nulla più. Vengo informato che il 22 del mese scorso furono arrestati due de’ nostri e condotti a Cosenza: dicesi che avessero indosso alcune decorazioni, fra le quali una del Papa, e un po’ d’oro: lo che m induce a credere che potessero essere gli sventurati Caracciolo e Marra,
Cinque ore e venti minuti.
– Le guardie nazionali hanno or è poco imprigionato tutta la famiglia dell’agente del principe di Bisignano.
Nota. – Ho trovato per tutto un affetto ai principio monarchico, che si spinge al fanatismo, ma per mala ventura accompagnato da una paura che lo paralizza. Malgrado ciò, ho compreso che se si potesse operare uno sbarco con due mila uomini, su quattro punti, vale a dire cinquecento nella provincia di Catanzaro, cinquecento in quella di Reggio, cinquecento in quella di Cosenza e il resto negli Abruzzi, la dominazione piemontese, sarebbe distrutta, perché tutte le popolazioni si leverebbero in massa come un solo uomo. I ricchi, salvo poche eccezioni, sono cattivi dovunque,1 e quindi assai detestati dalla massa generale. I figli del barone di Mollo furono coloro che ordinarono il furto delle capre, di cui ho parlato di sopra. Sono state cucinate e mangiate in casa del capitano della guardia nazionale di Rocè.
3 ottobre.
Quattro ore e mezzo di sera,
– Nulla di nuovo intorno agli uomini che mi erano stati promessi.
Sette ore e mezzo della sera.
– Malgrado la risoluzione presa di partire questa sera, rimango, vinto dalle preghiere dell’agente, al medesimo posto per attendere otto uomini che hanno ucciso, a quanto dicono, una guardia nazionale e un curato pessimo. Che orrore!
1 Questa confessione è degna di esser considerata. Sotto la penna di Borjès acquista un’ importanza considerevole. Le classi agiate, come le classi istruite, sono dunque liberali e italiane nelle provincie. I miserabili e gli ignoranti parteggiano per Francesco II.
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4 ottobre.
Gli otto uomini che io aspettava non sono venuti. I Piemontesi hanno, dicesi, disarmato ottanta guardie nazionali perché eransi rifiutati a marciare verso…1 Ora gli stessi individui chiedono di porsi sotto i miei ordini, ma comprendendo i progetti che potrebbero nascondere essi e i Piemontesi, li respingo.
Dieci ore del mattino.
– Mi si parla di corrieri che debbono giungere, di numerosi attruppamenti che debbono aver luogo in senso realista, ma io non vi presto gran fede. Le guardie nazionali hanno saccheggiato ieri 5 ville, di cui due appartengono a Michele Capuano. Fra gli oggetti rubati da essi in una delle medesime si trovano 15 tomoli di fichi rappresentanti un valore di 70 ducati. I nemici ci credono a
Sila, e per questo battono il paese in tutti i sensi.
Dieci ore di aera.
– Mi dicono che un distaccamento dei nostri é sbarcato a Rossano. È un’illusione.
Nota. – Dal mio accampamento veggo in fiamme i casini dei baroni Collici e Cozzolino, uomini assai cattivi in politica, dacché il secondo ha dato 60mila ducati
(sic)
ai rivoluzionari. Anche il primo elargì loro una somma, di cui ignoro la cifra.
5 ottobre.
Sei ore del mattino.
– Siamo accampati nel bosco di Pietra Fevulla: al sudest scuopriamo il bosco di Pignola, popolato di castagni: il primo lo é di querce e di sugheri in abbondanza.
Nove ore della sera.
– II capo della banda Leonardo Baccaro giunge dal suo paese, Serra Peducci, ove avevo mandato in cerca di lui per vedere se era possibile far qualche cosa in senso realista; ma la sua risposta, come quelle di molti altri, é negativa. Gli ho domandato il perché, e la sua replica é stata conforme a quelle altrui. – Che il Re venga con poca forza, e il paese si solleverà come un solo uomo: senza di ciò, non vi è da sperare. – Ed io lo credo al pari di essi. Questa gente vuole la sua autonomia e il suo Re, ma il timore di veder bruciate lo loro case, imprigionate le donne e i fanciulli, li trattiene.
1 Nel manoscritto questa parola non è intelligibile.
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Se conoscessero la loro forza, ciò non avverrebbe. È un danno, perché questo popolo è più sobrio e più sofferente di ogni altro; ma è debole di spirito quanto è forte nel corpo. Se io fossi sbarcato tre settimane prima, avrei trovato 1067 uomini e 200 cavalli a Carillone, e ciò bastava per far loro vedere quanto valevano e in conseguenza per moralizzarli. Per mala ventura ai mio arrivo in quei luogo si erano da diciassette giorni sbandati, e presentati al nemico, e alcuni di essi arruolati nelle file della guardia nazionale mobile. Il tempo che mi fecero perdere a Marsiglia e a Malta ha recato un grave danno alla buona causa da un alto, senza contare dall’altro che io vo errando a caso, e, ciò che è più grave, questa circostanza mi toglie una gloria che avrebbe costituito la felicità della mia vita.
6 ottobre.
Sei ore e mezzo del mattino.
– Magnifico colpo d’occhio! Dal bosco di Fiomello ove sono accampato, scorgo il forte e lo spedale di Coaenza, Castìglione, Paterno, Castelfranco…
San Vincenzo, Santa File, Montaito, San Giovanni, Cavallerizza, Gelsetto, Monarvano e Cervecato;
di contro a me vedo un immenso bosco di castagni, poi una valle tanto fertile quanto bella, piena di campi, di case bianche come i fiocchi della neve; prati più verdi dell edera, boschetti di alberi disseminati come tanti bottoni di rose; piantate regolari, di olivi, fichi e altri alberi fruttiferi. Questo complesso di cose suscita la mia ammirazione, e susciterebbe anche quella di chiunque fosse meno di me affezionato ai prodotti di una natura dotata di tutto ciò che può renderla bella allo sguardo di chi ha il dono dell1 intelligenza.
Sei ore di sera
– Tolgo il campo per recarmi al bosco della Patrina, posto al mezzogiorno della pianura di questo nome, distante di qui circa tre ore.
7 ottobre.
Sei ore del mattino.
– I contadini passano sull’orlo del bosco dove siamo: li faccio interrogare: dalle loro risposte rilevasi, che si recano a portar danaro a otto briganti nascosti nella Valle di Macchia.
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Dieci ore,
– I nemici in numero di cento praticano una recognizione nel bosco di Piano d’Anzo, ma sono da noi distanti un miglio. Non so se ci scacceranno, ma è probabile.
Tre ore di sera.
– I Piemontesi si sono ritirati senza vederci; questa sera attendiamo una buona cena. Luzza, Busignano ed Astri che scorgiamo dal nostro campo sono appoggiati alla montagna di Cucuzzelo e offrono una graziosa prospettiva. Questi luoghi sono ben coltivati, e i boschi che vi si scuoprono debbono essere assai produttivi: specialmente i castagni e i sugheri vi debbono essere in abbondanza.
8 ottobre.
Ieri alle sette della sera lasciammo il bosco della Petrina e ci avviammo verso i fiumi Morone e Orati, dove io dovevo prendere, come infatti presi, la strada regia, chiamata Strada Nuova, dopo averli passati a guado.
Marciammo dunque seguendo la direzione di Canicella; giuntivi, prendemmo a sinistra, lasciando la strada sulla diritta. Ci arrampicammo sul monte di Campolona – Luongo, dove riposammo una mezz’ora continuando poi a marciare verso il fiume di San Mauro che traversammo tranquillamente e verso il fiume d’Essero, che fu da noi passato al luogo che divide i possedimenti del signor Longo da quelli del principe di Bisignano.
Alle cinque e mezzo accampavamo alle falde di Farneto, estenuati dalla fatica, lo che non è meraviglia, avendo percorso ben 30 miglia in quella notte. Siamo tre miglia lungi da Rossano, e ad un’ egual distanza da Firma: a quattro miglia dal lato di mezzogiorno abbiamo Altamonte: e tutto ciò senza contare che questa notte abbiam lasciato sulla diritta Tarsi e Spezzano Albanese.
Bossano, toltine una ventina d’abitanti, è eccellente; ma Firma e Luongo sono cattivi, come tutti i paesi che si chiamano Albanesi. Altamonte è buonissimo.
Ho saputo oggi che tutte le forze rivoluzionarie che si trovano in questo paese sono state otto giorni in imboscata sopra diversi punti per sorprenderci: ma ho saputo altresì che, deluse in questa aspettativa, sono rientrate ieri proprio a tempo, per lasciarmi libera la via.
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Nota. – II fiume Morone, che scorre da ponente al settentrione, è assai stretto e rapido, il che rende difficile il suo passaggio. Le acque alimentano due molini e bagnano quasi tutta la pianura della Petrina, rendendola fertilissima: le zucche, i fagiuoli, i cocomeri, le patate, il formentone e altri legumi vi si trovano. – Se si aprissero passaggi alle acque che si scatenano dalle montagne a sinistra, questo paese se ne avvantaggerebbe assai. – Traversato questo fiume, prendemmo la strada nuova che in questo luogo non è ancora finita: non vidi cosa alcuna degna di essere osservata, salvo alcune cascine e la cattiva influenza dell1 aria, in specie in questa stagione.
9 ottobre.
Lasciammo ieri sera alle 7 il bosco Parneto diretti verso ì monti di Cermettano. Per la via traversammo la pianura Conca di Cassano piena di piccoli ruscelli e quindi assai incomoda. La notte è stata orribile: non ho mai sofferto tanto, fisicamente e moralmente. Fisicamente, per la fatica e per le piaghe de’ piedi: moralmente, per le disgrazie che ci colpiscono tutti, a causa delle circostanze. Marciando e saltando questi innumerevoli fossi, anche assai profondi, uno vi cade colle armi e col bagaglio, vi perde il fucile che bisogna ripescare, l’altro la bajonetta, che bisogna abbandonare. Quegli co’ piedi rovinati si getta in terra e chiede la morte: questo si toglie le scarpe credendo marciar meglio scalzo; un altro mette il fucile ad armacollo e prende due bastoni per apppggiarvisi. Soffro alla pari di essi, ma il mio animo non è scoraggiato: voglio comunicar loro questo mio coraggio, e a tale effetto rammento ad essi le imprese de’ grandi uomini che. militarono prima di noi. Prendono, così rassicurati, ardire, e faccio loro operare prodigi, quello che non può marciare, si trascina alla meglio: e in tal guisa, senza rammaricarci, senza pane né acqua giungiamo ad un bosco di olivi dove passiamo la giornata del 9.
Dieci ore della sera.
– Lasciando JTrancavilla alla diritta, Castrovillari alla sinistra, ci rechiamo sulla montagna Serra Estania. La prima conta sei mila abitanti, la seconda dodici mila. In entrambe lo spirito pubblico è buono. Giungendo nel cuore della montagna abbiamo trovato una mandra di capre, e ne abbiamo fatte uccider due, che erano pessime,
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perché magrissime: ma siccome eravamo digiuni, le mangiammo quale cosa prelibata. Dopo questo pasto abbiamo marciato anche un’ora, poi ci ponemmo sdraiati.
10 ottobre.
Quattr’ ore e mezzo del mattino.
-«Giunge un giovanetto di 12 anni montando un ronzino, e io l’arresto. Lo interrogo, e resulta che può recarmi del pane dal convento della Madonna del Cannine. Mando perciò con lui un soldato.
Sette ore.
– Non vedo né il giovanetto né il soldato, sebbene in un1 ora si vada al convento e in un ora si ritorni: ciò comincia a rendermi inquieto.
Sette ore e 10 minuti.
– Grazie al cielo, il pane giunse.
Otto ore e venti minuti.
– Abbiam fatto colazione, e ci rimettiamo in marcia per giungere al culmine della montagna.
Dieci ore.
– Vi giungiamo, e ci riposiamo per non scuoprirci.
Quattr’ore di sera.
– Ci rimettiamo in marcia per le montagne di Acqua Forano o Alberato di Pini, ove contiamo mangiar qualche cosa, se é possibile. La nostra aspettative fu delusa.
OSSERVAZIONI GENERALI. -Ho notato che i monti da me percorsi fino ad oggi, 10 ottobre, sono suscettibili di moltiplicare le loro ricchezze intrinseche; ed ecco come, secondo le osservazioni da me fatte in fretta. 1° Circondare di grandi strade, che sbocchino al mare e nei paesi, i fianchi delle montagne. 2° Alle cime di queste, porre corpi di guardia di dieci uomini, d’ora in ora, e aprire una comunicazione dall’uno all’altro in tutta la sua estensione, vale a dire sulla cima di tutte le montagne di questa provincia. Ne resulterebbe: 1° che non vi sarebbero più ricoveri per i ladri, che é impossibile prenderveli, e che quindi sono il flagello non solo de’ monti, ma delle valli e delle pianure vicino.
2° che gli alberi da costruzione che vanno perduti per mancanza di comunicazioni non lo sarebbero più; e siccome il trasporto al mare costerebbe poco, tutti questi boschi diverrebbero una miniera d’oro inestinguibile, tanto per il paese in generale, quanto per le casse dello Stato in particolare. Nelle grandi strade laterali bisognerebbe porre dei cantonieri, di due ore in due ore, una brigata di gendarmi a
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piedi sia per recar le corrispondenze, sia per esercitare sorveglianza. – I corpi di guardia che sarebbero sulle cime dei monti dovrebbero esser chiusi al principio dell’inverno, e trasportati ne luoghi ove la neve non giunge, onde non lascino riposo o tregua ai ladri, fino a che non fossero scomparsi. Questi provvedimenti, che potrebbero essere adottati senza grandi spese, accrescerebbero la popolazione, i bestiami, i fieni, i grani, gli orzi, la vena, le patate, e poi si potrebbe trame delle legna da ardere in gran quantità, che si riporrebbero in magazzini dove fosse più facile procurarne la vendita. – Ho osservato anche che i monti non boschivi racchiudono minerali di ogni sorta; e siccome non son privi di acqua che bagnino le loro falde, così si potrebbero aprir miniere che produrrebbero valori inestimabili. Qualora i filoni di esse non fossero fruttiferi, il che non credo, si potrebbe profittare di tali acque, sia per lavorare il ferro, sia per preparare le lane e il lino.
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