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CALATAFIMI: LA BATTAGLIA CHE FECE L’ITALIA DI DOMENICO ANFORA (IX)

Posted by on Feb 15, 2023

CALATAFIMI: LA BATTAGLIA CHE FECE L’ITALIA DI DOMENICO ANFORA (IX)

Gli schieramenti

Gli esploratori sono tornati da Garibaldi e allora è un urlare di ordini, squilli di tromba, correre di cavalli e di uomini. Bixio freme, in groppa al suo stallone bianco, chiedendo insistentemente di dare inizio alle danze. E ora si comincia.

Il colonnello Türr ha ricevuto l’ordine di schierare le compagnie, le quali piegano a destra, salendo su un monte spoglio e pietroso, arroventato da un sole estivo che fa sudare e inzuppare l’uniforme: si chiama monte Pietralunga. In prima linea si schierano i carabinieri genovesi e le guide, cinquantacinque tiratori eccezionali armati di moderne carabine. Trenta metri indietro ci sono i bergamaschi di Bassini. Ancora più indietro i pavesi di Cairoli e la 6a di Ciaccio. In linea con quest’ultima, ma sulla strada consolare, la 5a di Anfossi, a protezione dell’artiglieria di Orsini che ha piazzato i cannoni in località Càlemici, vicino al giardino del sacerdote don Giovanni Monaco, da dove si tengono sotto tiro la valle, il colle di fronte e la strada. Le quattro compagnie del 1° battaglione di Bixio sono in riserva sul versante del Pietralunga che si affaccia su Vita, con la 1a di Dezza in retroguardia alla falda del colle, a guardia dei carriaggi. Larghi sulla destra stanno le squadre di Coppola e di Sant’Anna, mentre i calatafimesi di Colombo si schierano a Càlemici, vicino l’artiglieria.[1]

Figura 53 – Campo di battaglia di Calatafimi: lo schieramento delle truppe contrapposte (dal taccuino del col. Türr).

Una valle, angusta, in parte incolta, in parte coperta da campi di grano e di fave, interrotti da rocce affioranti e da arbusti di sommacco, con qualche casolare e pochi alberi grami, divide i due schieramenti. Dall’altro lato della valle, a circa due chilometri dallo schieramento garibaldino, il maggiore Sforza guarda col binocolo quella masnada di gente in borghese o con strane casacche rosse che occupano il Pietralunga e alcune alture laterali. Molti non sembrano combattenti. Altri sembrerebbero galeotti fuggiti dalla galera, come nel 1857 quelli di Ponza andati con Pisacane.[2] E quella fine faranno! Quanti sono i nemici? Ci sono filari di fichi d’India e alberi d’ulivo che potrebbero nascondere altri uomini. E oltre la cima ci sono altri nemici? L’ordine del generale Landi è di riconoscere le forze nemiche senza lasciarsi impegnare in uno scontro. Ma ritirarsi di fronte a quei pochi malandrini straccioni, con un battaglione di cacciatori reali, è un disonore.

È deciso: si attacca! Sempreché quei pezzenti di fronte non fuggano alla vista delle compagnie in manovra. Le trombe suonano l’ordine di schieramento. Al centro del Pianto Romano si schierano la 7a e l’8a compagnia, in prima linea. In alto sulla spianata sono piazzati i due obici da 12 libbre, portati sin lì sui muli. In cima si schierano in riserva le restanti quattro compagnie di cacciatori.

Francesco suda sotto il suo bonnetto e le gocce gli annebbiano la vista. Tutto gli sembra come la parata di Piedigrotta, con squilli di tromba e rulli di tamburi, ordini marziali e bandiere sventolanti. Una specie di strana euforia, mista ad agitazione, coinvolgono il suo corpo e la sua mente. Ma tra poco si spareranno pallottole vere e le baionette saranno conficcate nel ventre del nemico! Il ragazzo di Terra di Lavoro guarda oltre la valle e nota quelle macchie rosse in mezzo ad abiti borghesi. Chi sono quegli uomini? Perché sono venuti sin qua? La Madonna delle Grazie lo proteggerà dalle loro pallottole?

Carmine Fusco, impaziente di menar le mani, chiede continuamente:

«Quando si comincia, quando si comincia».

Giò e i suoi camerati sono accovacciati dietro una fila di fichi d’India, pronti a usare la carabina. Egli guarda verso il monte di fronte, notando uno scintillio. Sono i raggi solari riflessi dai fucili oleati. Sulla spianata, accanto ai muli, vede due grandi oggetti neri: i cannoni. Paolo gli stringe il braccio, per trasmettergli forza e coraggio, poi gli sorride, serenamente, come usa sorridere lui. Si vedono alcuni calzoni rossi: ci sono truppe francesi? No, dicono i siciliani, anche le truppe napolitane hanno nel loro corredo calzoni di tal colore.

Il generale è seduto sopra una scarpata, tra rocce, fichi d’India e piantine che lo riparano, e fuma pensieroso un toscano, mentre osserva le manovre del nemico. Attorno a lui ci sono Türr, Sirtori, Tukory e Bandi. Egli chiama il sottotenente che porta la bandiera e gli ordina di portarla sulla cima, bene in vista, con la speranza che un sentimento d’italianità sgorgasse nei cuori dei napolitani. Comunque, ha deciso di lasciare l’onore della prima mossa al nemico.


[1] La descrizione più dettagliata dello schieramento dei Mille durante la battaglia di Calatafimi è di Giuseppe Cesare Abba nella Storia dei Mille, Bemporad & figlio, 1926.

[2] Il 25 giugno 1857 il patriota napoletano Carlo Pisacane s’imbarcò con altri ventiquattro rivoluzionari sul piroscafo «Cagliari». L’indomani sbarcò a Ponza, dove, obbligando alla resa la piccola guarnigione borbonica, liberò 323 detenuti che si aggregarono alla spedizione. La sera del 28 giugno sbarcarono presso Sapri, nel Cilento, cercando di far insorgere le masse contadine. Non si mossero né i contadini né i comitati rivoluzionari e i trecento di Pisacane, il 1° luglio, furono attaccati e sgominati a Padula dalle truppe borboniche. I sopravvissuti, tra i quali Pisacane, fuggirono a Sanza, dove furono trucidati dalla popolazione civile.

Domenico Anfora

tratto

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