Alta Terra di Lavoro

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Carmagnola (‘a Carmagnole) Anonimo della fine del ‘700

Posted by on Ott 17, 2022

Carmagnola (‘a Carmagnole) Anonimo della fine del ‘700

Un po’ di storia. Carmagnola (To), sotto il dominio dei Marchesi di Saluzzo, aveva una grande produzione di canapa nel suo territorio divenendone anche il più importante mercato della penisola Italia. Dopo l’arrivo dei Savoia, molti canapai se ne andarono in Francia, a Marsiglia, portando i loro usi e costumi ed anche le loro canzoni del lavoro e di protesta contro chi li aveva costretti ad emigrare. I Marsigliesi chiamarono “la Carmagnole” la giubba, le canzoni ed il ballo dei canapai.

In piena Rivoluzione, nel 1792, i Sans-coulottes francesi adottarono la giubba. il berretto frigio ed una ballata, con il testo adattato agli avvenimenti, li chiamarono “La Carmagnole”, diffondendoli nell’intera Francia e nei territori conquistati da Napoleone. “La Carmagnole” divenne “la canzone delle Rivoluzioni”, l’invito alla lotta contro i Potenti, per cui Napoleone la vietò nel 1806, ma i popolani d’Europa continuarono a cantarla.

La Ballata è stata tramandata in più versioni, tra le quali cito quella con inserito il “ça ira”, e così conosciuta, quella dei Royaliste francesi e la “Napoletana” riportata in questo studio. Inoltre l’originale ha ricevuto un aggiornamento, con aggiunta di strofe, in ogni fase della Rivoluzione Francese e nelle successive, represse nel sangue, del 1849, 1869, 1871 (Parigi), 1898 (Milano, Bava Beccaris su ordine dei Savoia ) e 1917 (Russia).

Nel 1799 con l’arrivo dei Francesi, a sostegno della Repubblica Partenopea proclamata dai Giacobini Napoletani, la Carmagnola giunse a Napoli.

Il ritornello di tutte le versioni ripete “suona” e “suona il cannone”, è un invito ai popolani alla rivolta al suono della Carmagnola. Il “Suona” intende veramente “suonare uno strumento” che può essere anche il cannone. Questa danza, e canzone, nel luogo d’origine, Carmagnola, e nelle valli Scrivia, Borbera, Staffora e Trebbia, le zone montane delle quattro province del Genovesato, di cui oggi tre fuori Liguria, è ballata (ancora?) al suono del piffero, mentre a Napoli era ed è cantata e ballata al suono di tamburelli, tricaballacchescetavaiasse e putipù.

A Carmagnole, la variante napoletana, come nel testo originale del 1792, è composta di otto strofe in ottava rima, intervallate da una quartina di ritornello in due varianti che si alternano. Il testo è schiettamente popolare, con espressioni forse troppo crude, ma incisive, tanto che una traduzione letterale ne annulla tutta l’efficacia. Godiamoci ed analizziamo i versi.

ritornelli sono di due varianti che hanno in comune i primi due versi “Sona sona – Sona Carmagnola”, l’invito alla rivolta, al suono della Carmagnola. Gli altri due versi, nella prima variante  “sona li consiglia – viva ‘o Rre cu la famiglia!” cioè “suona l’adunata” o “chiama a Consiglio” “Viva il Re e la sua famiglia!”, rafforza la chiamata alla rivolta, nella seconda “Sona lu cannone”, riporta l’originale francese e si traduce “Tuoni il Cannone!”, poi “viva sempe ‘o Rre Burbone!”.

Nella prima strofa si chiama il popolo alla guerra, ogni strumento è in funzione alla rima del tipo di popolano o del nemico da abbattere, “la grancascia, lu popolo bascio” (il popolino), “o tammurriello, li puverielli (i nullatenenti), “la campana, li pupulane (gli artigiani ecc.), “i viuline, morte alli giacubine!” (il motivo della lotta).

La seconda narra l’inizio della repubblica, la resistenza dei popolani detti “i Lazzari”, che non vi avevano aderito, asserragliati a Castel Sant’Elmo, un forte massiccio, conquistato dai Francesi di Championnet, accorsi a sostegno della Repubblica  “A Sant’ Eremo tanta forte l’hanno fatto comm’a ricotta”, la presenza del prete giacobino Antonio Toscano, “a stu curnuto sbrevugnato l’hanno miso ‘a mitria ‘n capa”, il tradimento dei borghesi e dei cavalieri e lo stupore del popolino “Maistà chi t’ha traduto? Chistu stommaco chi ha avuto?”, chi ha avuto la sfacciataggine di tradire il Re? E’ ovvio, i Borghesi ed i Cavalieri, che lo volevano anche imprigionare, non il popolo delle città ed i contadini. Da notare che la “R” di Sant’Eremo, in napoletano, si pronuncia “L” dentale.

La terza inizia con la fine della repubblica,  il 13 Giugno, S. Antonio da Padova, giorno in cui le truppe del Cardinale Ruffo di Calabria entrarono a Napoli, con la conquista del Forte Vigliena, a levante del Porto. I popolani “‘e signure, ‘sti birbante, ‘e ffacettero ‘o mazzo tanto!” ripagarono i giacobini con lo stesso trattamento che avevano ricevuto dai Francesi. La strofa continua descrivendo le angherie che il popolo aveva subito dai Francesi “So’ venute li Francise, auti tasse ‘nce hanno mise. “Libertè, ègalitè” : tu arruobbe a mme, ie arrobbe a tte!”. Con l’arrivo dei Francesi sono aumentate le tasse. Le parole “Libertè ed Egalitè”, con “Fraternitè”, erano il simbolo della Rivoluzione Francese, ma nella ballata significano ruberia e malgoverno.

Le strofe seguenti continuano la narrazione delle prodezze dei Francesi. “Li Francise so’ arrivate,’nce hanno bbuono carusate” I francesi ci hanno rapato a zero. “Et voilà, et voilà“, cavece ‘nculo a la libertà!” e dicendo Voilà, addio alla Libertà. “Addò è gghiuta ‘onna Eleonora, che abballava ‘n copp’o triato? mo abballa mmiez”o mercato: ‘nzieme cu mastu Dunato!” Cioè ora non si riesce più ad andare a Teatro, una mania dei Napoletani, per cui Donna Eleonora è costretta a fare spettacolo per strada. Come accade in questi casi, qualche donna si sarà data ai Francesi, per cui “A lu ponte ‘a Madalena, ‘onna Luisa è asciuta prena, ‘e tra miedece che vanno nun a ponno fà sgravà!”. Cioè al Ponte della Maddalena, verso Forte Vigliena, presidiato dai soldati, donna Luisa è rimasta incinta, ma nessun medico riesce a farla partorire, forse per la battaglia in corso tra i giacobini ed i Sanfedisti il 13 giugno del 1799, che ha liberato Napoli. Nel frattempo la donna Eleonora, che aveva ballato con i soldati, non può più ballare, forse perché è morta, o rimasta ferita o sparita nella confusione della battaglia nelle vie di Napoli. Malgrado le ricerche fatte, non sono in grado di dire se Eleonora sia una ballerina o la Pimentel Fonseca [v. nota in calce], e se la Luisa fosse una popolana o la Luisa Sanfelice [v. nota in calce]. Quindi l’invito ai giacobini a fuggire, per salvarsi. “Pronte so li bastimente, jate ‘e corza pè avvià, priparateve esultanti pecchè avite fà partì” Le navi sono pronte, correte per avviarle e, allegramente preparatevi ché dovete farle partire, di corsa, via! Poi la beffa: “pè lu mare ‘nc’è l’inferno li cancielle songo ardente: traditure andate in giù, nun putite arrubbà cchiù!” Nel mare vi aspettano i cancelli infuocati dell’Inferno, andateci dentro, traditori, sono finite le ruberie.  E’ la fine della Repubblica e dei soprusi, ritorna il Re Borbone e la vita ritorna serena. Quindi si descrivono le feste: “A lu muolo senza guerra se tirajene l’albero ‘nterra,” sul molo, finiti i combattimenti, l’albero della Libertà, simbolo della Rivoluzione e della Repubblica, è stato abbattuto. I popolani arrabbiati “afferrajeno ‘e giacubine ‘e ffacettero ‘na mappina!” presero i Giacobini e li ridussero come stracci lerci e maltrattati, per sfogare la rabbia e per qualche vendetta maturata per torti ricevuti.  Ogni cambio regime è così! Poi “E’ fernuta l’eguaglianza, è fernuta la libertà. Pè vuie so’ dulure ‘e panza: signò jateve a cuccà!” Ritornano le parole Libertà ed Eguaglianza, stavolta sono contenti che non vi siano più, per chi le diceva son dolori, per questo, miei signori, andatevene a dormire.

La strofa finale è ironica. “Passaje lu mese chiuvuso, lu ventuso e l’addiruso;” Sono passati tristi i mesi di Gennaio, Febbraio e Marzo, riportati con i nomi del Calendario Rivoluzionario, i mesi della Repubblica e dei Francesi, quindi “a lu mese ca se mete hanno avuto l’aglio arrete!” cioè nel mese in corso, Giugno, vi è stata la resa dei conti… l’aglio brucia, figurati nel sedere!

Il finale: “Viva Tata Maccarone ca rispetta la Religgione. Giacubine jate a mare mò v’abbrucia lu panaro!” cioè Viva il popolo dei Maccheroni, i Napoletani che rispettano la religione. L’invito ai repubblicani è di buttarsi a mare perché,  riprendendo il discorso dell’aglio, brucia il didietro, “il Panaro”.

 Note aggiuntive

[1] Luisa Fortunata de Molina Sanfelice finse di essere incinta per non essere giustiziata. Scoperto l’imbroglio dopo essere stata visitata da alcuni medici a Palermo, la donna fu processata ed infine decapitata dopo più di un anno dalla fine della Repubblica, l’11 Settembre 1800. La strofa si riferirebbe al fatto che i medici non potevano farla partorire dal momento che non era realmente incinta.

[2] Eleonora Pimentel Fonseca in precedenza aveva parlato in pubblico (cosa alquanto disdicevole a quei tempi per una donna) declamando le sue poesie (ecco perché “abballava ‘n copp’o triato”). La strofa afferma quindi che ‘onna Eleonora non può più ballare al teatro, ma bensì coi soldati i quali l’hanno arrestata. In più c’è un certo doppio senso con la parola “ballare” riferito all’atteggiamento “libertino” della Pimentel, accusata dal popolo di essere una donna di facili costumi (proprio in virtù del fatto che aveva declamato in pubblico le sue poesie). Viene ironizzato il fatto che ‘onna Eleonora ballerà al mercato (Piazza del Mercato) insieme con “Masto Donato” (il boia incaricato delle esecuzioni di quegli anni). Piazza del Mercato, infatti, era il luogo preposto da tempo immemore per le esecuzioni Napoletane e dove effettivamente fu poi impiccata la Pimentel (20 Agosto 1799).

È la canzone di guerra dei Sanfedisti, ma nata nel popolo adattando il testo della Ballata “La Carmagnole” cantata dai soldati francesi. È nata, forse, dalla fantasia di qualche cantastorie ed adottata dal popolo che non ha mai appoggiato la Repubblica Partenopea. Vediamo il testo con la traduzione all’impronta, per rendere bene il senso delle frasi.

A lu suono de grancascia
viva viva lu popolo bascio;
a lu suono d”o tammurriello
sò risurte li puverielli;
a lu suono de campana
viva viva li pupulane;
a lu sono da viuline
morte alli giacubine!

Sona sona – Sona Carmagnola
sona li consiglia – viva ‘o Rre cu la famiglia!

A Sant’Eremo tanta forte
l’hanno fatto comm’a ricotta,
a stu curnuto sbrevugnato
l’hanno miso ‘a mitria ‘n capa.
Maistà chi t’ha traduto?
Chistu stommaco chi ha avuto?
E signure, ‘e cavaliere
te vulevano priggiuniere!

Sona sona  -sona Carmagnola
sona lu cannone,
viva sempe ‘o Rre Burbone!

Alli tridece de giugno Sant’Antonio gluriuso
e signure, ‘sti birbante,
e ffacettero ‘o mazzo tanto!
So’venute li Francise
auti tasse ‘nce hanno mise.
“Libertè, ègalitè”:
tu arruobbe a mme,
ie arrobbe a tte!

Sona…… viva sempe ‘o Rre Burbone!
Li Francise so’ arrivate,
nce hanno bbuono carusate
et voilà, et voilà”,
cavece ‘nculo a la libertà!
Addò è gghiuta ‘onna Eleonora
che abballava ‘n copp’o triato?
mo abballa mmiez”o mercato:
‘nzieme cu mastu Dunato!

Sona…………viva ‘o Rre cu la famiglia!
A lu ponte a Maddalena
onna Luisa è asciuta prena,
e tra miedece che vanno
nun la ponno fà sgravà!
Addò è gghiuta ‘onna Eleonora
ch’abballava ‘ncopp’o triato?
Mo abballa cu ‘e surdate,
nun ha pututo abballà cchiù!

Sona ………viva ‘o Rre cu la famiglia!
Pronte sò li bastimente,
jate ‘e corza pè avvià,
priparateve esultanti
pecchè avite fà partì;
pè lu mare ‘nc’è l’inferno
li cancielle songo ardente:
traditure andate in giù,
nun putite arrubbà cchiù!

Sona………viva sempe ‘o Rre Burbone

A lu muolo senza guerra
se tirajene l’albero ‘nterra,
afferrajeno ‘e giacubine
e ffacettero ‘na mappina!
E’ fernuta l’eguaglianza,
è fernuta la libertà.
Pè vuie so’ dulure ‘e panza:
signò jateve a cuccà!

Sona …… Viva ‘o Rre cu la famiglia!
Passaje lu mese chiuvuso,
lu ventuso e l’addiruso;
a lu mese ca se mete
hanno avuto l’aglio arrete!
Viva Tata Maccarone
ca rispetta la Religgione.
Giacubine jate a mare
mò v’abbrucia lu panaro!

Sona …….Viva ‘o Rre cu la famiglia!

fonte

http://www.ilportaledelsud.org/carmagnola.htm

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