Dicono che la Storia ognuno se la racconta a modo suo. Ma la Storia vera esiste, pure se guardata da diversi punti di vista, ed è quella testimoniata dai fatti e, soprattutto, dagli oggetti, edifici, strade, abiti, musica, manifatture, ecc. dell’epoca sua. Perciò la mostra che oggi, fino al 21 giugno 2020, è nella reggia- museo di Capodimonte “Napoli, Napoli di lava, porcellana e musica”, anche se è una fiaba, se è un sogno, se è una creazione artistica, è una storia vera, perché fatta di cose: di lava, di porcellana e di musica. E’ la storia di una Napoli per l’ultima volta capitale. Dopo che lo è stata per circa sei secoli. “E’ stata una capitale e questo lo si avverte ancora” dice il direttore del Museo e del Real Bosco di Capodimonte Sylvain Bellenger, La mostra è un suo sogno, un’idea a cui ha dato realtà. Il sogno di un innamorato di Napoli. La strategia culturale di questo direttore è quella che ha illustrato all’inizio del suo mandato: riportare Napoli alla ribalta internazionale, darle il suo giusto posto nel mondo. Ha seguito con determinazione questo suo intento, divenendo perciò sempre più popolare. Questo si avverte anche parlando con i napoletani, leggendo la stampa e i commenti su internet e su facebook, dove, per esempio, a proposito della richiesta, inoltrata da migliaia di cittadini, al Sindaco De Magistris, di dare la cittadinanza onoraria di Napoli a Bellenger, si legge, con la firma del consigliere Diego Venanzoni: «Devo dirgli grazie per aver fatto riscoprire Capodimonte e le sue bellezze…Napoli cresce anche e soprattutto con la cultura. C’è un gran movimento in questa direzione e volentieri mi unirò ai tanti che in questi mesi stanno creando le condizioni perché Bellenger diventi cittadino onorario di Napoli. Credo che meriti in pieno questa onorificenza». Sembra che lo stesso sindaco abbia intenzione di far diventare cittadino onorario di Napoli il direttore franco-normanno. Avendo questi un’ampia rete di rapporti internazionali, la notizia darebbe maggiore notorietà e buona fama a Napoli e al suo sindaco. La mostra è di una straordinaria bellezza. Ed è accompagnata dalla musica dei grandi musicisti napoletani del Settecento, Pergolesi, Cimarosa, Pacini, Paisiello e Iommelli, che si ascolta attraverso degli auricolari che fanno si che essa cambi secondo la sala che si visita. All’entrata della mostra, una gigantografia dell’interno del teatro San Carlo ce ne dà il senso:è uno spettacolo. Uno spettacolo brillante con un pizzico di ironia, come ci dice l’enorme busto di cartapesta della regina Maria Carolina. Ma già la prima sala ci fa entrare nell’anima profonda di Napoli, l’anima religiosa, mentre ci avvolge lo Stabat Mater di Pergolesi che si ascolta in cuffia. Ma la vita è varia e a Napoli era fatta soprattutto di festa e di gioia. Ed ecco la musica profana che ci accompagna nella sala vicina, dove ammiriamo anche originali strumenti d’epoca. Poi altre sale. Come quella del Grand Tour, quando il turismo non era ancora inflazionato da affollate comitive e aveva la partecipazioni delle persone più colte d’Europa, attirate dalla scoperte di Ercolano e Pompei e dalla straordinaria produzione musicale e teatrale della città. Allora Napoli era un centro internazionale, che si interessava della cultura cinese già prima che la scoprissero gli inglesi e della cultura egiziana prima che la scoprissero i francesi napoleonici con Championnet. Ed ecco in mostra una Cina e un Egitto napoletanizzato.
LA NOTIZIA/RAI STORIA RACCONTA UNA REGGIA PER L’ARTE Su una collina che domina il golfo di Napoli si staglia la Reggia di Capodimonte, voluta nel 1738 dal re di Napoli Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta, regina di Spagna e ultima erede della dinastia farnese. La reggia, destinata fin da subito a essere residenza di corte e prestigiosa sede museale, è stata trasformata definitivamente in museo nazionale nel 1957. A questa “Reggia per l’arte”, è dedicato il nuovo documentario di Keti Ricciardi, con la regia di Antonio Masiello, per “Italia: viaggio nella bellezza”, il programma prodotto da Rai Cultura in collaborazione con il MiBACT, in prima visione lunedì 4 novembre alle ore 21.10 su Rai Storia. Ad accompagnare i telespettatori in questo viaggio sono Sylvain Bellenger, direttore del Museo di Capodimonte; Angela Cerasuolo, capo restauratore del Museo di Capodimonte; Renata De Lorenzo, storica; Riccardo Lattuada, storico dell’arte; Patrizia Piscitello, Alessandra Rullo e Antonio Tosini, che lavorano in diversi settori del museo.
“Napoli, Napoli di lava, di porcellana e di musica”, in mostra a Capodimonte, ci porta in un viaggio nel tempo: nella Napoli capitale di un Regno. È il 4 novembre 1737, giorno onomastico del re Carlo di Borbone, che appena tre anni prima ha conquistato il trono. E già si inaugura (onore alle maestranze napoletane) il teatro San Carlo, che mette in scena l’opera “Achille in Sciro” musicata dal pugliese Domenico Sarro. L’architetto ne è un ufficiale dell’esercito borbonico: il leccese Antonio Medrano. Il quale è anche l’architetto della reggia di Capodimonte.
Proprio in questa reggia settecentesca, che ha un bel po’ del fascino dell’epoca sua, è alloggiata la mostra, il luogo del nostro viaggio. Spettacolare ne è l’ingresso, tappezzato, tutt’intorno, da una coloratissima gigantografia, tra il rosso e l’oro, del teatro San Carlo. Al centro, troneggia un busto monumentale, ma è di cartapesta, della regina Maria Carolina.
Si erge da una enorme tazza da caffè, che ricorda la fondazione della fabbrica di ceramica di Capodimonte, voluta, nel 1743, da Carlo di Borbone, che poi la distrugge, quando, nel 1759, deve partire per la Spagna per diventarne il re. Ma rifonda la fabbrica il figlio terzogenito di Carlo, Ferdinando, il marito, appunto, di Maria Carolina. E finissime porcellane sono poste un po’ dovunque nelle diciotto splendide sale della mostra (la cui anteprima è stata presentata da questa agenzia l’11 agosto 2019 ndr), dove ci immergiamo nello splendore della Napoli capitale e ne captiamo emotivamente il senso, affascinati dalla scenografia, dagli oggetti, dai manichini abbigliati con i costumi del San Carlo e dalle musiche d’epoca, che passano attraverso gli auricolari (che ci hanno fornito) e cambiano da una sala all’altra, interpretandone l’atmosfera.
Ogni sala mostra di Napoli un diverso aspetto. C’è la Napoli del Gran Tour, delle scoperte di Ercolano (1738) e di Pompei (1748), visitata dall’élite di tutto il mondo, attratta anche dalle contemporanee eruzioni del Vesuvio. Nella Sala dell’Eruzione, ne vediamo il fuoco, dipinto nelle vedute di Jacques Volaire, e ammiriamo un bellissimo centro-tavola in porcellana di Capodimonte, “Il carro del Sole”, posto sulle scure pietre laviche dell’allestimento, che ne esaltano il biancore.
E ancora materiali naturali vediamo nella Sala della Materia, che narra dell’interesse estetico e scientifico dell’ambasciatore inglese Lord William Hamilton per le singolarità di questa terra flegrea, ricca di acque e di fuoco. Poi vediamo le immagini napoletanizzate della Cina e dell’Egitto, nazioni con le quali Napoli ha, già nel Settecento, precoci relazioni, che, insieme alle più tarde spedizioni europee, quelle inglesi in Cina e quella militare napoleonica in Egitto, suggeriranno una diffusissima moda.
Poi visitiamo la Napoli profondamente religiosa e quella spregiudicatamente mondana, che ama il gioco e l’azzardo e spudoratamente anche le donne, come dice la mano maschile di un manichino, che indugia, impertinente, coperta dal lembo di una gonna.
E c’è la Napoli dei ricchi e dei poveri, che qui appaiono vestiti in diverso modo ma con stoffe simili, quasi per illustrare la particolarità di questa società napoletana, in cui i ricchi e i poveri vivono gomito a gomito, in una vicinanza fisica e anche umana, che raramente o mai si è realizzata altrove. Un’armonia sociale che sembra esserci soprattutto con il regno di Ferdinando IV, il napoletanissimo Re Borbone.
Ha otto anni quando è lasciato a Napoli, quale erede del trono, dal padre, che è chiamato a ricoprire il ruolo di re di Spagna. Fino ad allora, è stato affidato ad Agnese Rivelli, che gli fa da balia e poi lo alleva insieme a suo figlio Gennaro. È un’infanzia libera e giocosa quella del piccolo Ferdinando, che la passa in compagnia di Gennarino e dei ragazzini del popolo, che così conosce empaticamente e impara a usarne la lingua, i riti e i modi. I benpensanti storcono il naso.
Ma fatto sta che lui comprende e ama questo suo popolo ed è riamato. Re Ferdinando, a una lettera “confidenziale” da Londra dell’ambasciatore Domenico Caracciolo (1715/1789), che gli rivela notizie di piani stranieri contro il Regno e lo esorta a conquistare le terre italiane, risponde di non avere ambizioni e di non volere portare il suo popolo a una guerra. Un lunghissimo regno il suo, interrotto dalla Repubblica Napoletana del 1799, nata a imitazione di quella francese di dieci anni prima, e, dal 1806 al 1815, dal Regno dei napoleonidi Giuseppe Bonaparte e poi Gioacchino Murat.
E vi furono guerre, morti e atrocità, che divisero la società napoletana. Ma Sylvain Bellenger, il direttore del Museo e del Real Bosco di Capodimonte, che è il creatore di questa storia napoletana e il curatore di questa splendida mostra, contempla i fatti e non li giudica e genialmente sintetizza il ritorno del Re Borbone nella grande bandiera borbonica che va a ricoprire l’immagine da conquistatore di Napoleone Bonaparte.
Ma il Regno dello stesso Ferdinando, come quello dei suoi successori, di Francesco I, di Ferdinando II e di Francesco II, non ha lo stesso splendore di prima. Ora molte cose cambiano e le vedute napoletane lo testimoniano. Queste, nel Settecento, libere dall’imposizione del tridimensionale spazio canonico, realizzano consapevolmente un mondo guardato nella prospettiva corale di un ampio spazio in movimento, immettendolo in lente curve serene ( cfr. “Lo Spazio a 4 dimensioni nell’arte napoletana. La scoperta di una prospettiva spazio-tempo” di A. Dragoni).
Dopo, le vedute non sono più così consapevoli e via via perdono le loro caratteristiche: vanno stemperando nel colore la loro costruzione, esprimendo il sentimento ideale di un uomo singolo, o si europeizzano, tendendo a perdere la propria identità.
Ma il nostro viaggio nel tempo è ancora una magnifica fiaba colorata, a lungo immaginata dal suo autore, che le dona una sinfonia di colori: quello delle tappezzerie delle sale, delle opere d’arte, dei vestiti e degli arredi d’epoca, assemblati in un unicum suggestivo. C’è tanta vita e gioia di vivere, sempre, in queste sale. Ma il bianco morbido e luminoso delle vesti dei tanti pulcinella che vi incontriamo, sembra essere il colore di un sottile rimpianto, di un pianto sommesso per il sogno svanito di un amore perduto.
Infine, una sorpresa nella diciottesima e ultima sala della mostra: un grande sofà circolare vi invita a sdraiarvi per ammirare, stupiti, balconi che si aprono sul verde e poi si chiudono, mentre appaiono strade napoletane, edifici e persone di epoche diverse, volti. Circolarmente e continuamente girano tutt’intorno, senza che abbiano una meta da raggiungere. È una metafora della vita nella fantasmagorica videoinstallazione di Stefano Gargiulo.
P.S.
“Napoli Napoli di lava, di porcellana e di musica” è una mostra-evento nata da un’idea di Sylvain Bellenger, che così ancora una volta esprime il suo amore per Napoli (per il quale è stata richiesta la cittadinanza onoraria). La mostra è realizzata con la collaborazione del Teatro San Carlo, degli Amici di Capodimonte, degli America Friends di Capodimonte e della casa editrice Electa.
Il direttore Sylvain Bellenger ringrazia il Ministro per i Beni e le attività culturali e per il turismo Dario Franceschini per il rinnovo della nomina alla guida del Museo e Real Bosco di Capodimonte, ringrazia tutto lo staff di Capodimonte per l’enorme impegno e il grande lavoro svolto durante questi quattro anni, la città di Napoli per l’accoglienza, la fiducia, il sostegno e la partecipazione alla più ampia apertura ai cittadini sia del Museo che del Bosco. La sfida per il prossimo mandato sarà la realizzazione del Grande Progetto Capodimonte, già abbracciato dal Ministero che va attualizzato con una governance adeguata all’ambizione di questa progettualità unica in Italia e in Europa: la nascita di un campus multisciplinare relativo all’intero complesso che darà una specifica destinazione culturale a ciascuno dei diciassette edifici di epoca borbonica presenti nel sito reale. Bellenger ha appreso la notizia del rinnovo mentre si trovava in Francia, al Castello di Blois, che ha diretto dal 1992 al 1999, per una conferenza su “La Reggia di Capodimonte, il più grande museo d’Italia e il più grande giardino storico di Napoli. La sua storia e le sue collezioni”, inserito nel ciclo di cinque giorni di incontri “Rendez-vous avec l’Histoire”, quest’anno tutto dedicato all’Italia. Domani Bellenger sarà a Parigi, al Petit Palais il museo di belle arti della città a due passi dagli Champs Elysées per inaugurare la mostra Gemito. Lo scultore dell’anima napoletana (15 ottobre 2019- 26 gennaio 2020) co-organizzata dal Museo e Real Bosco di Capodimonte che apre un’intera stagione napoletana nella capitale francese, arricchita da proiezioni di film, concerti e cicli di conferenze su Napoli. Alla mostra su Gemito, curata da Bellenger insieme a Christophe Leribault, direttore del Petit Palais, con la curatela scientifica di Jean Loup Champion, Cécilie ChampyVinas e Carmine Romano, seguirà quella su Luca Giordano (1634-1705). Il trionfo della pittura napoletana (14 novembre 2019- 23 febbraio 2020), che vedrà la curatela scientifica di Stefano Causa e Patrizia Piscitello, accanto a quella dei due direttori Leribault e Bellenger. Per la prima volta in Francia, due mostre dal forte valore scientifico su due importanti artisti napoletani che faranno emergere aspetti poco noti: Gemito e il suo forte legame con Rodin, grazie agli studi sull’Archivio Rodin, e la profonda influenza sulla scuola francese di Luca Giordano. La città di Napoli, dunque, sarà protagonista con la sua cultura a Parigi con le due mostre su Gemito e Giordano e un vasto programma di film, concerti su Napoli e conferenze, che coinvolgeranno anche l’Istituto di Cultura Italiano a Parigi e l’Ambasciata Italiana a Parigi.
NapoliFino al 21.VI.2020A Capodimonte una scenografia coinvolgente racconta la storia di Napoli attraverso le sue porcellane e la musica del teatro San Carlo
A Napoli i Re Borbone non ci sono più. Ma il teatro San Carlo e la Reggia-Museo di Capodimonte che hanno voluto costruire ci sono ancora. E i loro direttori, Rosanna Purchia e Sylvain Bellenger, si sono alleati per promuovere, insieme agli Amici di Capodimonte e gli American Friends of America, “Napoli, Napoli di lava, di porcellana e di musica”, il grandioso spettacolo della Napoli borbonica che si tiene nella Reggia- Museo di Capodimonte. Tanto originale che non ci sono parole adeguate per definirlo. “È una magia” dice Rosanna Purchia “pensata e realizzata da Sylvain”. “È la creazione di una mente colorata”, dice Errico Di Lorenzo, presidente degli Amici di Capodimonte. È una “reverie”, una fantasticheria a lungo immaginata, per captare e rendere il senso della vita di un’epoca, il sogno di un innamorato di Napoli, napoletano in fieri (una petizione popolare chiede la sua cittadinanza onoraria), che è anche una storia vera.
Un Settecento, quello napoletano, denso di energie vitali, delle idee geniali di scienziati, di poeti, di artisti. Quando si possono incontrare per le strade della città, e possono salutarsi l’un l’altro, Giambattista Vico, Ferdinando Sanfelice, il Principe di Sansevero e Sant’Alfonso. Li immaginiamo mentre giriamo nelle sale della mostra tra manichini vestiti con gli abiti dell’epoca (della sartoria del San Carlo). È il tempo delle scoperte di Ercolano, nel 1738, e di Pompei, dieci anni più tardi. E accorre a Napoli l’élite di tutta Europa. Mentre nasce il neoclassicismo nel continente e oltre. Anche a Napoli. Dove, però, è ammorbidito da una certa ellenistica grazia. Al neoclassicismo si ispirano le ceramiche di Capodimonte in mostra nella Sala dell’Eruzione, come quella de “Il carro del Sole”, che non è priva di una gentilezza rococò. È posata su nere pietre laviche che fanno da contrasto al suo candore. La fabbrica di porcellane di Capodimonte è fondata, nel 1740, da Carlo di Borbone, che ne decreta la fine quando deve partire da Napoli (1759), per diventare re di Spagna. Lascia a Napoli, quale suo erede, un bambino di nove anni, Ferdinando. Un ragazzo esuberante che ama giocare con i ragazzi di quel popolo che sempre ama, riamato. Sarà chiamato Re Lazzarone e sarà detto ignorante. Ma conosce varie lingue, sa tenere relazioni internazionali, organizzare fabbriche e avveniristiche società di lavoratori, imprese agricole. E riattiva la fabbrica di porcellane.
Durante il suo regno, Napoli è considerata “una città felice”, come la definisce anche J.W. Von Goethe, che la conosce nel suo viaggio in Italia (1786/88). Ma ne scrive soltanto nel 1816, con profonda nostalgia. Quel mondo festaiolo, quell’armonia sociale non c’è più. C’è stata la Repubblica del ’99. Poi sono venuti i napoleonidi: prima Giuseppe, fratello di Napoleone e poi Gioacchino Murat, suo cognato. E quando Ferdinando di Borbone ritorna, non si chiama più Terzo Re di Sicilia e Quarto di Napoli ma, obbedendo al modello europeo di un centralistico potere, Ferdinando Primo delle Due Sicilie. Dopo il breve regno di Francesco I, quello tormentato di Ferdinando II e quello brevissimo del ventiduenne Francesco II, il Regno è conquistato dai Piemontesi. E il sogno svanisce. La mostra non segue questo lineare procedimento temporale. Ma ci immerge in un viaggio immaginario. E ci ammalia con la musica del tempo che sentiamo in cuffia: brani scelti dalla eccellente musicologa Elsa Evangelista.
Inizia con lo Stabat Mater di Pergolesi di un morbido, profondo colore scuro, in contrasto con il bianco delle figure dei flagellanti; mentre sorridono i candidi puttini marmorei del Sammartino. Poi entriamo nel mondo esotico di cinesi e di egiziani, ci intrighiamo nei giochi d’azzardo, tra numeri esoterici con magici pulcinella, ammiriamo l’arte della natura nelle pietre e negli uccelli impagliati e quella che fa rivivere la Napoli del Settecento con le sue vedute dalla “Einsteiniana” prospettiva spazio-temporale. (v. “Lo spazio a 4 dimensioni nell’arte napoletana. La scoperta di una prospettiva spazio-tempo” di A. Dragoni- T. Pironti ed.). In conclusione c’è la fantasmagorica video-installazione di Stefano Gargiulo e una domanda: siamo entrati nel Paese delle Meraviglie?
Adriana Dragoni
Mostra visitata il 22 settembre
Dal 22 settembre 2019 al 21 giugno 2020
Napoli, Napoli… di lava, porcellana e musica Napoli
Museo e Real Bosco di Capodimonte
Via Miano, 2
Orari: 8.30-19.30 tutti i giorni. Chiuso mercoledì
Questa non è una mostra normale. Non è fatta per mostrare dipinti, sculture, un qualsiasi oggetto che passi per opera d’arte. Niente. Nelle sale dell’appartamento reale della Reggia-Museo di Capodimonte, all’inizio del prossimo autunno, il 21 settembre, vi sarà “Napoli, Napoli…di lava, porcellana e musica”: la mostra di una città. Che apparirà come la vedono quei napoletani che ne sono lontani e ne soffrono la nostalgia e i tanti stranieri che ne sono innamorati e gli si potrebbe chiedere perché. Quindi di questa mostra su Napoli non è stato creato soltanto l’apparato ma (è un fatto unico) anche il contenuto, che è un’idea, una storia, un sogno. «Questa mostra è pazzesca, è una follia», ci dice il suo autore, Sylvain Bellenger, Direttore del Museo e del Real Bosco di Capodimonte, che fa una pausa mentre socchiude gli occhi immaginandola, «ma è bellissima».
Poi Bellenger fa una proposta spiazzante. Invita exibart a visitarla ora, mentre ancora non è completa, non è ancora da mostrare al pubblico. Ha fiducia che potremo capirla. E non sarà con il ragionamento ma con quell’emozione che ti prende e che immediatamente tutto svela. È una mattina dello scorso luglio, la notte si è dormito poco, figurando l’attesa. Saliamo al primo piano della reggia museo di Capodimonte. Ci accoglie una enorme figura di donna imparruccata che sembra sorgere da una tazza da caffè. Sarà forse la regina Carolina, a cui somiglia tanto nei ritratti, oppure la regina Amalia, quella che volle la famosa fabbrica di porcellane a Capodimonte? Non importa saperlo, qui è soltanto una regina di cartapesta. Mentre reali sono le insegne borboniche sulla parete e gli stemmi. Poi si entra nel sancta sanctorum. Finora è top secret, neanche quelli che lavorano al museo sono ammessi nelle stanze dove è nata e va precisandosi questa visione della città. Entriamo. Ci vuole del riguardo. Stiamo entrando in un’anima. È un’emozione forte. In questa prima sala c’è un’atmosfera potentemente coinvolgente, c’è la Napoli religiosa, dalla fede profonda: il tabernacolo, l’acquasantiera, delle figure di cartapesta dalle lunghe vesti che, il viso celato, ci voltano le spalle e affondano nel muro della parete.
La morte, la summa della vita, la fede di una Napoli storica, antica ed eretica che conserva quel paganesimo che fu – è stato detto – “l’ombrifero prefazio del vero”. E fu una realtà calda, viva, che, riscoperta dagli scavi borbonici nei paesi vesuviani ricoperti dall’eruzione del 79 d. C., ci viene spesso mostrata nelle forme un po’ imbalsamate del neoclassicismo. Che rivoluzionò l’Europa ma non Napoli che, attenta alla sua realtà contemporanea, non vi si attardò. Della vivace società del tempo, qui sono in mostra anche i dipinti di Gaspare Traversi, che rappresenta i personaggi strizzati in uno spazio ristretto, diverso da quello in cui quelli credono di stare: è la beffa ridente di un’arte che crea, di un’intelligenza libera dagli schemi, anche da quelli spaziali.
Ed ecco poi i morbidi spazi circolari delle vedute settecentesche, con il vivere armonioso di una società felice. È la Napoli dai mille volti, che viene rappresentata nelle varie sale: c’è il mondo della natura e quello del teatro e della danza, c’è l’esotico della Cina e l’esoterico dell’Egitto…e tanto altro ancora. E, su tutto, ammiriamo l’eleganza della rappresentazione, l’armonia dei colori, la bellezza dei bianchi delle vesti dei pulcinella e delle ceramiche di Capodimonte. Mentre silenziosi, attenti, concentrati, lavorano gli operai.
NAPOLI – Torna la “Festa dell’Estate, ballando al chiaro di luna” nell’antico Cellaio del Real Bosco di Capodimonte. Seconda edizione per l’iniziativa promossa ed organizzata dal Museo e Real Bosco di Capodimonte e dalle associazioni Amici di Capodimonte onlus e Premio GreenCare Ets. L’appuntamento è per venerdì 28 giugno 2019 alle ore 19.30. L’evento di fundrasing si realizza per dotare il Real Bosco di un secondo campetto di calcio, in continuità con l’obiettivo della prima edizione della Festa, grazie alla quale sono stati raccolti i fondi per realizzare il primo spazio specificamente dedicato al gioco del pallone, da destinare all’uso gratuito e amatoriale di tutti i ragazzi della città ed in particolare di quelli del quartiere, nel rispetto del parco storico e delle aree naturalistiche da preservare. Il campo, adatto al gioco del calcetto (calcio a 5), è stato realizzato con materiale proveniente da riciclo ed a sua volta ad alta riciclabilità. Tema della serata è il Real Bosco e gli ospiti sono invitati ad interpretarlo con un dresscode ispirato alla flora ed alla fauna del luogo. I partecipanti, inoltre, sono invitati ad essere i protagonisti di un percorso di contatto sensoriale con gli elementi botanici e faunistici presenti nei luoghi. L’installazione site-specific è del team romano Copihue Floral Studio. “Il successo della prima edizione della Festa dell’Estate ci ha dimostrato che si può essere generosi e solidali divertendosi, si può coniugare la partecipazione attiva allo svago, giocare a travestirsi con elementi faunistici e floreali, trascorrere una piacevole serata in musica in uno dei luoghi più incantevoli di Napoli e allo stesso tempo fare qualcosa per i ragazzi del quartiere contribuendo a migliorare la fruizione del Real Bosco dotandolo di un campetto di calcio ecologico. Ringrazio, perciò, tutti coloro che ci hanno permesso di centrare il nostro obiettivo nel 2018, e in primo luogo, chi con tenacia ha lavorato a questo progetto: le associazioni Amici di Capodimonte e Premio GreenCare. Ma quest’anno dobbiamo essere ancora più ambiziosi: raccogliere fondi per un secondo campetto di calcio e cercare di mettere un primissimo tassello alla futura area bimbi nel parco” afferma il direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte Sylvain Bellenger. Per l’occasione gli spazi esterni dell’antico Cellaio saranno allestiti a tema, anche con i “pratoletti” dell’artista Michele Iodice, e l’atmosfera green sarà esaltata dalle proiezioni immersive di Alessandra Franco, che condurrà gli ospiti a ballare tra gli elementi della flora e della fauna presenti nel Real Bosco. Alla consolle ANJA. L’evento si realizza con il supporto di Euphorbia Srl, Ferrarelle Spa, Pasta Grano Armando e Gay Odin. Per sostenere l’iniziativa si potrà versare un contributo, donando un minimo di 50 euro a persona, sul conto corrente intestato ad Amici di Capodimonte onlus: IBAN IT39P0326503401000000002535; Causale: contributo secondo campetto di calcio. Indicando nome e cognome degli ospiti che parteciperanno alla Festa dell’Estate. Tutti i nominativi saranno inseriti in una lista di accoglienza al Real Bosco di Capodimonte. Per informazioni: