Cavour affidò all’ammiraglio Persano ingenti capitali per corrompere i quadri dell’esercito borbonico
Per quali buone ragioni i Mille invadono il Regno delle Due Sicilie? I pareri a questo riguardo sono unanimi: a causa della barbarie del governo borbonico.
Citiamo come esempio l’opinione del “Venerabile” Filippo Delpino, autorevole esponente della massoneria sarda. Nella solenne inaugurazione della loggia Ausonia di Torino, il 10 maggio 1860, questi compiange la sorte di quei milioni di italiani che “gemono ancora sotto una dinastia maledetta da tutti per le sue fosche gesta, per la ferocia del suo assolutismo e per i suoi spergiuri”.
Vittorio Emanuele II, per giustificare la conquista dell’Italia meridionale, utilizza alla lettera le stesse parole.Eppure c’è qualcosa che non torna. Esprime bene queste perplessità Massino D’Azeglio in una lettera del 29 settembre 1860 al nipote Emanuele: “Quando si vede un regno di sei milioni ed un’armata di 100mila uomini, vinte colla perdita di 8 morti e 18 storpiati, chi vuol capire, capisca”. Chi vuol capire: per fare ciò, D’Azeglio consiglia di leggere i Diari dell’ammiraglio Carlo Persano, pubblicati in un momento di gravissima difficoltà. Persano è incriminato dopo la vergognosa sconfitta di Lissa nel 1866 durante la terza guerra di indipendenza. Trovandosi alle strette non trova di meglio che raccontare per filo e per segno la spregiudicata condotta del conte di Cavour durante l’invasione del regno delle Due Sicilie. All’epoca Persano svolge mansioni delicate e super segrete: deve gestire la corruzione dei quadri dell’esercito borbonico; deve organizzare il rifornimento di uomini ed armi e deve marcare stretto – insieme a La Farina – Garibaldi sorvegliandone da vicino le mosse. Tutto ciò è raccontato nei minimi dettagli dal meticoloso diario. La corruzione sistematica che rende possibile la spedizione garibaldina è provata con cristallina evidenza. Nel diario si legge, per esempio, quanto Persano scrive a Cavour nell’agosto 1860: “Ho dovuto, Eccellenza, somministrare altro denaro. Ventimila ducati al Devincenzi, duemila al console Fasciotti, giusta invito del marchese di Villamarina, e quattromila al comitato. Mi toccò contrastare col Devincenzi, presente il marchese di Villamarina; egli chiedeva più di ventimila ducati; ed io non volevo neanche dargliene tanti”. Cavour – racconta Persano – gli “aveva data facoltà di assicurare gradi e condizioni vantaggiose a coloro che promuovessero un pronunciamento della squadra borbonica in favore della causa italiana” e, in casi particolari, aveva autorizzato “a spendervi qualche somma”. Il conte fa di tutto per incoraggiare il tradimento dell’ufficialità borbonica: “Mandi a Genova – scrive a Persano – quegli fra gli ufficiali di marina napoletani che hanno dato le loro dimissioni regolarmente. Non potrò forse dar loro subito un impiego, ma li rassicurerò sulle loro sorti”. L’ammiraglio è un perfetto esecutore delle consegne ricevute, tanto che così scrive a Cavour: “Possiamo ormai far conto sulla maggior parte dell’officialità della regia marina napoletana”. Come sul fronte della corruzione, anche su quello dell’invio di armi tutto fila liscio: “Noi continuiamo, con la massima segretezza, a sbarcare armi per la rivoluzione, a tergo delle truppe napoletane”. Persano è perplesso su un solo punto: sulla qualità degli uomini che arrivano dal continente. “Converrebbe tener gli occhi ben aperti – scrive a Cavour – sulle spedizioni degli individui che da noi si fanno per qui, e veder modo di ritenere molta gentaglia che muove per queste contrade a nessun altro scopo, se non per quello di pescar nel torbido”. Il risultato di questa sistematica infiltrazione in tutti i gangli vitali della nazione napoletana è il miracolo che stupisce il patriota Ippolito Nievo (nella foto). Il romanziere così scrive alla confidente Bice: “Che miracolo! Ti giuro, Bice! Noi l’abbiamo veduto e ancora esitiamo quasi a credere”. Succede l’incredibile: i picciotti “fuggivano d’ogni banda; Palermo pareva una città di morti; non altra rivoluzione che sul tardi qualche scampanìo. E noi soli 800 al più, sparsi in uno spazio grande quanto Milano, occupati senz’ordine, senza direzione (come ordinare e dirigere il niente?), alla conquista d’una città contro 25mila uomini di truppa regolare, bella, ben montata, che farebbe la delizia del ministro La Marmora! Figurati che sorpresa per noi straccioni!”.Che brutta sorte quella dell’illustre garibaldino: Nievo finisce in fondo al mare con la sua nave, carico di tutti i documenti e le ricevute dell’enorme flusso di denaro che accompagna la calata dei Mille in Italia meridionale. Corruzione e tradimento rendono possibile il miracolo citato da Nievo. Quando la popolazione si rende conto di quello che è successo tenta inutilmente quanto eroicamente di ribellarsi. Briganti, si dirà.
Angela Pellicciari
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di seguito il diario dell’ammiraglio Persano