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COLPO D’OCCHIO SU LE CONDIZIONI DEL REAME DELLE DUE SICILIE NEL CORSO DELL’ANNO 1862 (XV)

Posted by on Dic 4, 2023

COLPO D’OCCHIO SU LE CONDIZIONI DEL REAME DELLE DUE SICILIE NEL CORSO DELL’ANNO 1862 (XV)
VI. L’INESTINGUIBILE SENTIMENTO POPOLARE PER L’AUTONOMIA. 

1. Si vede abbastanza dal rapido progetto dianzi esposto cosa sia divenuto in due anni il reame delle due Sicilie sotto il governo invasore. – I partiti si agitano, e sconvolgono il paese; la discordia divide tutti gli animi; gli uni scavalcano gli altri per montare al potere e scorticare i popoli, che nutrono odio irreconciliabile contro i piemontesi; l’amministrazione interna è un caos; – le finanze sono esauste, è sopraccaricate da ingente debito pubblico, che ne obbliga contrarre altro smisuratissimo – le tasse decuplicate;

– rincarito oltremodo il prezzo de viveri; resa impossibile l’agricoltura: e la pastorizia nelle più fertili provincie; sterilito e ridotto a nulla il commerciò; sostituito il capriccio delle soldatesche al giudizio de’ Magistrati, ed al reggimento delle leggi; arresti arbitrarii d innocenti a migliaia; incendii, e devastazioni di città e borgate; fucilazioni innumerevoli senza processi, senza giudizio contro individui non di altro rei, per la maggior parte, se non di aver voluto difendere i loro focolari, la loro religione,, la patria autonomia dinastica; ed in tanta confusione si fa anche correre la voce dell’abdicazione del re Vittorio Emmanuele.

Al quale, mentre nel 1860 facevasi dire di aver intesi i gridi di dolore dell’Italia, ora che le esorbitanze e gli eccessi di coloro che governano nelle provincie meridionali in suo nome formano l’onta della umanità, e dell’onore delle nazioni, si rende, così ottuso l’udito, da fargli scrivere da Napoli a’ 3. maggio in una lettera all’Imperatore de’ francesi, queste parole cotanto iin contraddizione co’ fatti flagranti: 229

– «L’ordine, che regna in queste provincie meridionali e le fervide dimostrazioni di affetto, che ricevo da tutte le parti rispondono vittoriosamente alle calunnie de nostri nemici, e convinceranno, spero, l’Europa, che la idea della Unità riposa su solide basi e si trova profondamente impressa nel cuore di tutti gl’italiani».

Ma come antitesi di codeste assertive il deputato napoletano Petruccelli nella tornata parlamentare de’ 28 novembre affermava: – «La unità italiana è minacciata a Roma, è minacciata a Napoli; ed io son certo, che se il presidente del consiglio avesse presentati tutti i rapporti della vigilante Autorità di Napoli, l’Europa rimarrebbe scandalizzata da’ tentativi fatti dal partito Murattiano. Ma l’Imperatore Napoleone dovrebbe sapere, che se i napoletani avessero a scegliere tra un Borbone, ed un Bonaparte, non esiterebbero a scegliere un Borbone!»

2. Ed è nello stesso ordine naturale degli avvenimenti, che le popolazioni del reame nutrano inestinguibile e perenne il sentimento per l’autonomia dinastica; e che le loro tendenze, a costo di tanti sagrifizii sieno convergenti a tale: supremo scopo.

Le masse, che non veggono migliorate, ed invece semprepiù pervertite le loro condizioni di benessere materiale, divengono oramai intolleranti del presente, e desiderano un passato che loro ricorda le più prosperanti condizioni della civile esistenza, di un pacifico, mite, e paterno ordinamento, e elle ora alimenta le loro speranze di restaurazione. Il merito, e lo stesso patriottismo il più disinteressato, feriti dalla ingratitudine, dal disprezzo, e da’ più oppressivi atti del governo, rifiutano l’opera loro al paese; d’onde le frequenti domande di dimissione al posto di deputato e la continuata assenza di altri dal parlamento. I proprietarii, che non veggono garentite le loro proprietà imprecano, e maledicono gl’invasori subalpini, e rimpiangono uniformemente l’antico governo, il quale, secondo la espressiva confessione del deputato napoletano Nicotera nella tornata de’ 15 dicembre, 230 aveva il gran merito di far tutelare le vite, e le sostanze de’ cittadini: e, secondo l’altro deputato Ricciardi nella stessa tornata, «era così scrupolosamente osservante delle leggi, e della giustizia, che comunque vincitore dopo il 15 maggio 1848, non faceva arti restare niuno di que deputati, che apertamente ribelli, ed acerrimi nemici del Sovrano, ne aveano attentato alla Suprema Autorità».

I commercianti, che veggono i loro fondi in ristagno, si rivoltano contro lo attuale stato di cose, e rammentano i vantaggiosi cambii marittimi, la sicurezza de’ pubblici cammini, il corso della rendita pubblica alla elevata cifra del 120; beni tutti, che si godevano sotto la Dinastia Borbonica. – Gl’impiegati civili; l’Esercito; la magistratura dell’antico indipendente reame delle Due Sicilie, dopo essere stati così iniquamente maltrattati, quale attaccamento possono nutrire pei governanti piemontesi? – I quali trovano quivi in ogni individuo un avversario, ed in ogni classe una sorgente di odio contro di loro, ed una reminiscenza affettuosa per gli antichi suoi sovrani; la quale è tenuta in freno da 120 mila bajonette, dalla fazione armata de’ fautori del Piemonte, dalle rigurgitanti prigioni, e dalle sovrabbondanti fucilazioni.

Egli era in vista di queste manifestazioni, e delle altre officiali, ed autentiche fatte da molti deputati, già accennate nel corso di questo lavoro, che uno de’ popolari giornali di Napoli stampava la seguente apostrofe: «Vengano ora i diarii officiosi a smentire gl’incendii de’ villaggi, le carnificine dei contadi, lo spoglio, il saccheggio de’ casali, e de’ sobborghi (c del napoletano! – Vittime di Pontelandolfo, di Casalduni, innocenti periti tra le fiamme di 28 paesi; madri vaganti pe’ boschi in cerca de’ figli periti tra gli orrori della più cruda morte, – voi siete oramai ben vendicate; e vendicate per opera de’ medesimi vostri nemici».

3. Vi è pure chi dice essere inevitabili i dissesti, e le perturbazioni in ogni mutamento politico, ancorché buono, e non doversi perciò meravigliare pe’ disordini nel napoletano, che col tempo saranno sedati. 231 Ma quivi i fatti hanno dimostrata esservi grande differenza tra que’ sconci, che accompagnano le mutazioni politiche anche migliori (ed una di queste fu quando Carlo III elevò a florido e ben governato reame le due Sicilie un tempo misere provincie di lontano dominatore); e que’ disordini, che nascono dacché si opera contro la natura, le tendenze, il sentimento delle popolazioni, (come ha ora agito il Piemonte soggiogando, e riducendo a Provincie infelici un regno prospero, e indipendente): i primi sconci sono parziali e col volgere del tempo cessano del tutto; – i secondi per l’opposto sono generali, ingagliardiscono col tempo, e più si va innanzi, più cresce la confusione, e l’orrore.

Di questo incontrastabile sillogismo fortificano il loro ragionare autorevoli scrittori napoletani che nel corso del 1862 hanno pubblicato opere convincenti su la necessità della restaurazione autonomica nelle travagliate province meridionali.

Essi han dimostrato, che «avendo forzosamente imposto il principio della unificazione i governanti subalpini sono stati necessitati a straripare da ogni linea di, condotta assennata, ed equabile; ad essere poco scrupolosi in su i mezzi purché il fine si raggiungesse: divenne per essi una necessità, violare lo statuto, tradire il plebiscito, battere francamente la via della rivoluzione anarchica, annullando ordinamenti che prosperavano da secoli, sperimentati e vigorosi; abbattendo senza distinzione quello che poteva e doveva conservarsi; distruggendo parimenti il buono ed il mediocre; e per conseguente contraddicendo alla storia, alla natura, alla vita del popolo delle due Sicilie, nel quale non può estinguersi il sentimento della sua autonomia. – Ed è singolare, che mentre il Cavour dichiarava in parlamento chiusa l’epoca delle rivolture, la sua azione governativa era tanto rivoluzionaria, quanto più si può immaginare, se rivoluzione vuol dire rovina totale degli ordini antichi, sforzo di edificare tutto da nuovo. 232 I Montagnards della Convenzione Nazionale avevano appena osato altrettanto.»

4. A suggello delle esposte cose soccorrono le teoriche di un antico politico italiano, la cui autorità è spesso invocata da’ moderni riformatori travolgendola secondo i loro gusti. Egli raccomanda come regola di prudente condotta politica di serbare ad ogni stato italiano il proprio ordinamento «impossibile essendo riunirli in uno Stato solo, perché gli uomini sono tenaci delle consuetudini; né per lunghezza di tempo, né per beneficii possono mai scordarsi de’ loro modi antichi (1).».

Che questi sieno i sentimenti innati dell’universale nel reame, se ne hanno argomenti incontrastabili ne’ quotidiani avvenimenti; La pompa funebre, con cui il clero, e il popolo di Napoli accompagna nella gran via Toledo in uno de’ giorni di dicembre il feretro dello arcivescovo Naselli della principesca stirpe siciliana de’ Signori di Aragona, antico Cappellano-maggiore del re Francesco II è riguardata generalmente come uno splendido trionfo de’ legittimisti. Il Diritto di Torino n.357 se ne mostra irritato, e per l’organo del suo corrispondente napoletano si duole «per essersi fatta impunemente questa dimostrazione, che un anno dietro né pure sarebbesi potuta tentare: insomma, senza tema di esagerare, si può dire, che nelle due Sicilie l’elemento separatista va innanzi, molto innanzi, ed è audace, beffardo, provocatore…».

5. Se facesse il computo di quelli, che ivi sostengono le così dette reazioni, che le approvano, e né desiderano il buon riuscimento, si troverebbe esserne cosi sterminato il numero da sorgerne spontanea nel pensiero questa conseguenza, che, se, cioè, vi ha in quelle provincie unanimità di suffragio essa sta appunto nel voto di essere liberati dal giogo subalpino, (1) Macchiavelli, in varii luoghi de Discorsi, e del Principe, 

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e di esser lasciati vivere in pace, nella propria patria, e con la loro legittima autonomia.

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Ad onta de’ rigori fiscali il giornalismo napoletano ha accennato in varii rincontri «che nelle provincie, ove più ferve la reazione non si possono dimenticare i beneficii loro impartiti dalla Dinastia passata; ed esservi spesso occasione di vedere, non solo nelle classi agiate, ma anche nel minuto popolo, chi conserva come reliquia affettuosa una moneta con la effigie del re Francesco II, e mostrarla con tenerezza. Ed è come un talismano per la propria salvezza, che i viandanti di ogni condizione, e finanche gli ecclesiastici, recano una di tali monete nelle loro tasche per esibirle alle bande de’ così detti briganti su’ pubblici sentieri».

6. Non ignora che ad attenuare la forza di questi fatti, e di queste reazioni, vi è chi parla della influenza degli esuli in Roma; ma la calunniosa assertiva rimane smentita dalla «stessa natura dette cose; e dalla considerazione, che i movimenti reazionarii, disgregati fra loro, sono sforniti di direzione e d’impulso, mancanti di unità e d’indirizzo; e sopratutto di unico Capo eminente, risoluto, esperto; – ciò per altro ne aumenta il merito, sia per la spontaneità; sia per la scarsezza dei mezzi con che si resiste ad un poderoso esercito di oltre 220 mila uomini, ed a misure governative di una ferocia elle non trova riscontro nella storia.

Ma codesta agitazione reazionaria si rende quasi invincibile, perché mette appunto radice nello inestinguibile sentimento popolare per l’autonomia. 234

continua……

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/02_Colpo_d_occhio_su_le_condizioni_del_reame_delle_due_Sicilie_nel_corso_del_1862.html 

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