COLPO D’OCCHIO SU LE CONDIZIONI DEL REAME DELLE DUE SICILIE NEL CORSO DELL’ANNO 1862 (XVI)
V° POLITICA
1. RICONOSCIMENTI.
2. MANCANZA DI RIGUARDI DIPLOMATICI
3. CONTEGNO DE’ REGI RAPPRESENTANTI DEL NUOVO REGNO ITALICO NELLO ESTERO.
I. RICONOSCIMENTI.
Di tutti i modi con i quali può mascherarsi una disfatta, il più sicuro è quello di trasformarla in vittoria, come ha pensato di fare il governo subalpino nel menare in trionfo i riconoscimenti del nuovo regno italico da parte di alcuni gabinetti europei, È pregio dell’opera meditare sul proposito con quale elevatezza di vedute diplomatiche se ne sia giudicato nelle Camere del Belgio. Datasi quivi lettura del dispaccio «con il quale, si dice, non essersi fatto altro, che riconoscere nel nuovo regno d’Italia uno stato di possesso senza costituirsi giudice degli avvenimenti, che l’hanno stabilito e riserbarsi la libertà di estimazione rispetto alle eventualità che potrebbero modificare questo stato di fatto)», – il ministro degli affari esteri conferma oralmente «di riconoscere il semplice fatto, cosi richiedendo l’interesse del Belgio, e i doveri di neutralità; – e protesta di non avere con ciò riconosciuta l’Italia siccome posseduta da un solo Sovrano in tutta la sua ampiezza; né le aspirazioni d’una nazione novella in tutta la loro estensione»: – e ad attenuare l’effetto prodotto dagli eloquenti oratori della opposizione, aggiunge «noi riconosciamo soltanto uno stato di fatto di possesso, senza costituirci giudici, né solidarii». 235
Ed il ministro delle finanze signor Frère spiega «che non solo questo riconoscimento non conferisce verun diritto, ma se i governi caduti in Italia saranno restaurati, noi li riconosceremo».
Il deputato Vilain XIIII osserva nel rincontro:«…. voi «non avreste dovuto riconoscere il nuovo regno d’Italia, poiché non è fatto; anzi sta su la via di disfarsi…. ohimè! forse questo titolo di re d’Italia sarà di grave peso in futuro per la casa di Savoia, e si congiungerà agli altri titoli, di cui è insignita, di re di Cipro, e di Gerusalemme, e di duca di Savoia, che assume tuttora».
Il deputato Overloop analogamente discorre, e produce una notevole comparazione storica dicendo: «La condotta de’ piemontesi in Napoli è identicamente la stessa, che i rivoluzionarii di uno stato vicino seguirono nel Belgio nel 1792, 1793, e 1794: spedizione di emissarii incaricati a suscitar tumulti in nome della libertà, spedizione di bande sotto pretesto di rovesciare un governo tirannico, soppressione di qualsivoglia stampa ostile sotto pretesto di ordine pubblico; VOTO UNIVERSALE DI ANNESSIONE, IN GRAZIA DELLE MINACCE E DELLE BAIONETTE; PARTITANTI DELLA INDIPENDENZA TRATTATI DA BRIGANTI E FUCILATI IN MASSA; confisca della nazionalità e dispotismo nello interno sotto nome della libertà».
Ed a questo quadro cosi naturale delle condizioni del napoletano, l’altro deputato Dumortier ne aggiunge un altro non men vivo con te seguenti espressioni: – «La rivoluzione della Italia è la storia di tutte le turpitudini, di i tutti i tradimenti, di tutte le corruzioni, di tutte le vergogne! Nel mondo politico non havvi che due cose: la forza, ed il diritto. Le piccole nazionalità hanno il solo diritto, che è stato conculcato dalla forza…. Il Piemonte a si è impadronito DA TRADITORE del regno di Napoli. Nulla di sacro ci riconosce, né il diritto delle genti, né la osservanza de’ trattati, né i vincoli di sangue, 236 né la fede giurata, né l’onore, né la virtù… Si mena tanto rumore de’ Drusi, che assassinarono i Maroniti; e voi, o liberali, da’ sentimenti si pieni di umanità, non avete una parola pe’ generosi abitanti del regno dì Napoli trucidati dal ferro dei carnefici piemontesi! Tante città messe a ferro e fuoco; tutti i prigionieri barbaramente uccisi; in Napoli e nel regno 25 mila persone rinchiuse nette prigioni senza condanna e senza forma veruna di processo; la libertà individuale surrogata dal governo del ferro, la libertà civile dalla dittatura….. chiamasi questo, o miei signori, uno stato di cose che meriti la nostra approvazione?»
Il deputato Thibaut dopo aver severamente riprovata la politica dei Piemonte, e il contegno di alcune potenze conchiude Il re Vittorio Emmanuele ha violato il diritto pubblico, chi lo viola così, al dire dì un celebre pubblicista, È FUORI DELLA LEGGE: egli è il grande anarchista della società internazionale, egli è l’insorto contro la civilizzazione. Maledizione sul re, sul popolo, o sul conquistatore, che non riconosce il diritto pubblico; sia egli scomunicato dalla civilizzazione!»
Un più grave giudizio di censura politica si esprime su lo stesso proposito nel senato belga nella tornata de’ 2 maggio: vani senatori parlano contro il riconoscimento del nuovo regno d’Italia; ma il discorso più meritevole di attenzione è quello del senatore conte di Robìano: – «Le annessioni (egli dice) sono fatte in Italia per la corruzione degli uni, e la vigliaccheria degli altri. Garibaldi entrò in Napoli: era egli con napoletani? Niente affatto: egli entrò a Napoli con individui appartenenti a tutte le nazioni, e che io mi asterrò dal qualificare. Che fece allora il re di Napoli? Volendo risparmiare gravi disastri alla sua capitale, si ritirò in Gaeta, d’onde combatté i garibaldini, e gl’inglesi, che andavano a fare il colpo dì fucile con armi perfezionate, 237 e ritornavano quindi a pranzare, vantandosi del numero de’ napoletani che avevano ucciso. – I napolitani si sono forse rivoltati contro il loro re? Niente affatto. Essi invece hanno dato di loro re un appoggio cosi efficace che fu per un momento sul punto di riportare la vittoria, poiché i garibaldini, senza il soccorso de’ piemontesi erano battuti» – E qui l’oratore afferma che il plebiscito, o suffragio universale, non si effettuò., che in un modo illusorio, avendo avuto luogo alla presenza di soldati, che con la spada impugnata minacciavano coloro che avessero votato pel no ed applaudivano a quelli che avessero votato pel sì. – Indi soggiunge: – Gl’insorti napoletani sono chiamati briganti: ma dopo il 1830 ancor no) eravamo briganti: l’onorevole ministro degli affari esteri era un brigante: quelli che combattevano nella Vandea contro la Convenzione del terrore erano pure briganti. Voi vedete che i briganti di Napoli si trovano in assai buona compagnia. – Veramente i filantropi inglesi trovavano al tempo de’ Borboni, che i prigionieri politici non erano ben trattati: essi s’informavano de’ minimi particolari, andavano finanche a gustare la loro minestra per vedere, se fosse ben condita. – Oggidì non si tratta più di tutte queste prevenzioni; si fucilano le persone, ed a quel che pare almeno, si fa bene, perché i morti non alzano più alcun reclamo; né per essi si alza reclamo da altri; si fucilano partigiani, e sedicenti partigiani, quelli che danno loro da mangiare quelli che sono sospetti di darne loro, donne, vecchi, fanciulli, e dopo ciò s’incendiano i paesi. – Vorrei sapere se i miei avversarii in questa camera approvino codesti atti; per me io li trovo tutt’al più degni degl’irochesi e de’ cannibali… L’unità d’Italia non ha mai esistito, a se non sotto il regime della dominazione romana, quando cioè l’Italia era schiava: la sua unità adunque, almeno quanto al passato è un sogno. Si è detto che la rivoluzione italiana è simile a quella del Belgio; io respingo questa somiglianza; noi abbiamo espulsi dal paese quelli che non erano belgi: 238 in Italia al contrario i piemontesi, che hanno voluto usurpare gli stati altrui, non sono considerati come italiani. – lo non v’intratterrò di più intorno e a’ mezzi adoperati per unificare l’Italia: si conoscono gli e atti di crudeltà, di corruzione, le fucilazioni che si posero in opera, e che debbono ripugnare a tutti. – Si parla delle potenze che riconobbero l’Italia; ma io nego il fatto…
In quanto alla Francia, essa non l’ha riconosciuta che sotto condizione: essa si è sempre attenuta al trattato di Villafranca, senza voler riconoscere pienamente il regime attuale: la Francia è contraria alla unificazione d’Italia….
Io sarei lieto che mi si dicesse quello che avverrebbe a Napoli se i piemontesi lasciassero quella città?…. Io oso affermare che essi sarebbero completamente espulsi da questa parte d’Italia»
Continuando la discussione su lo stesso soggetto, prende la parola il senatore della Faille, e, tra l’altro, dice «che la rivoluzione italiana non ha altro movente, che l’ambizione d’uno stato secondario qual è il Piemonte, che vuol divenire una sesta grande potenza con la soppressione di altre nazionalità più antiche e legittime della sua La Francia non solamente ha protestato contro gli avvenimenti, che produssero la formazione del nuovo regno d’Italia; ma di più ha mantenuto, e mantiene ancora in tutta la loro forza le stipulazioni di Villa-franca, ed i trattali di Zurigo: essa ha dichiarato di riconoscere semplicemente un fatto; essa ne ha determinato il valore (1), e si è riservata una perfetta libertà di azione». (1) Nel dispaccio de’ 18 giugno 1861 diretto da Parigi dal ministro degli affari esteri agl’imperiali Agenti diplomatici all’estero sul riconoscimento del nuovo regno d’Italia è detto tra l’altro “che le truppe francesi continueranno ad occupar Roma; e che con questo riconoscimento non si deve supporre in nessun modo l’approvazione di una politica di cui in altro tempo abbiamo biasimato gli atti. Non si appartiene, che all’avvenire di giudicare, su l’ordinamento più atto a fissare i destini della penisola”. 239 – L’oratore conchiude tessendo la storia del nuovo regno d’Italia, che egli dice «essersi formato col mezzo del tradimento, della perfidia e della violenza; non trovarvisi né ordine, ne libertà; e soprattutto l’antico reame delle due Sicilie essere in preda a sanguinose esecuzioni, ì cui autori, come i Cialdini, e i Pinelli, sono grandemente ricompensati». –
Nella susseguente tornata del 3 maggio il senatore de Ribaucort dice, che se le parole pronunciate in questa occasione nel Senato del Belgio fossero disapprovate dal nuovo governo italiano, egli ne sarebbe lieto; invece si spaventerebbe se sapesse di poter meritare lode dal medesimo.
Il barone d’Anethan, altro senatore conchiude cosi la discussione: – «Il governo di Torino a Napoli non è incontestato. Altro è un paese, che modifica la sua costituzione interna; – altro un paese, che è vittima della conquista. In questo ultimo caso si turba l’equilibrio europeo – Non sono napoletani quelli, che hanno fatta la rivoluzione di Napoli: sono stranieri, che hanno imposto al reame di Napoli una dominazione, che esso riprova. È questo uno stato di cose, che mi si può riconoscere soprattutto invocando il diritto delle genti.»
I riconoscimenti da parte della Prussia, e della Russia, secondo l’opinione generale in Europa, sono una sconfitta, anziché un trionfo pel Piemonte.
Giova riandarne i documenti –
Per Prussia – A’4 luglio – il ministro degli affari esteri di Prussia signor Bernstorff indirizza al sig. Brassier de Saint-Simon ambasciatore prussiano a Torino un dispaccio, con cui ricordate le istanze fattegli dal governo del re Vittorio Emmanuele per essere riconosciuto, ed i motivi perciò allegati, e le promesse di far prevalere i grandi principii dell’ordine morale, e sociale, senza spingersi a violente pretensioni territoriali per Roma, e per Venezia, – dice che il governo prussiano ha esitato finora a tale riconoscimento
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non voler pregiudicare i diritti de’ terzi che si trovano lesi pe’ fatti che hanno avuto luogo nella penisola; e conchiude con queste parole: – «Ma se il governo di Torino vuol darci sopra le sue intenzioni in quanto a Roma e Venezia, assicurazioni che noi possiamo riguardare come guarentigie sufficienti per noi; e che siano nello stesso tempo di natura da rassicurare i nostri Confederati, e la parte della nostra popolazione che potrebbe vedere nel nostro riconoscimento ciò che non è, cioè un riconoscimento anticipato di avvenimenti futuri che essa prevede; – io sono autorizzato d’incaricarla a dichiarare al governo di Torino, che sua Maestà il Re N. S. è pronto a riconoscere il titolo di re d’Italia etc.
Il tenore di questo dispaccio viene generalmente valutato come significante, sia per la insistenza nel riservare i diritti de’ terzi lesi dalle annessioni, e per l’obbligo di non molestare Roma e Venezia; – sia per una certa diffidenza, ohe mostra verso il governo piemontese.
A’ del detto mese di luglio. Il ministro Durando risponde da Torino, facendo pompa della moderazione adoperata dal suo governo nel condurre le pratiche per l’unità italiana; ribadisce la promessa d’impedire ogni tentativo rivoluzionario contro Roma e Venezia; e conchiude doversi risolvere tali quistioni con mezzi morali, e diplomatici.
A’ 21 dello anzidetto mese, da Berlino il ministro Berustorff spedisce al sig. Brassier de Saint-Simon un altro dispaccio, nel quale così espressamente si pronunzia: – «Noi prendiamo atto di queste dichiarazioni del governo del re Vittorio Emmanuele sopra le sue intenzioni pacifiche, rispetto a Roma, e Venezia. Dopo aver ricevuto queste formali, assicurazioni del gabinetto di Torino, il re nostro angusto signore ha risoluto di riconoscere il titolo del re d’Italia; ma prendendo questa decisione, importa che il nostro riconoscimento non sia interpetrato in modo inesatto. Il governo del re in nessuna circostanza. ha celato le sue
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opinioni su gli avvenimenti consumati nella penisola (1). Il riconoscimento dello stato di cose che ne risulta potrebbe adunque essere la guarentigia, nello stesso modo, che non saprebbe implicare una sanzione retrospettiva della politica, che il gabinetto di Torino ha tenuta. Molto meno intendiamo pregiudicare le questioni, che interessano i terzi, e rinunziare ad una intera libertà di giudizio rispetto alle eventualità, che potrebbero modificare lo stato presente delle cose etc.»
A’ 22 detto mese. Quando il deputato Reicheusperger nel parlamento di Berlino muove interpellanza su tale riconoscimento, il ministro Bernstorff si fa a rispondere: – «quanto al principio delle nazionalità, noi con questo atto non intendiamo riconoscerlo…. Il regno d’Italia non è stato riconosciuto, se non nella sua attuale esistenza, e non riconosceremo le conseguenze, che ne potessero essere inferite. Abbiamo, all’opposto, fatte espresse riserve su questo punto. Tutti i diritti de’ terzi sono accuratamente riservati; e noi nulla abbiamo fatto con questo atto, che potesse pregiudicare simili diritti. In quanto alle pretese su Roma e Venezia il governo di Torino ha espressamente promesso, che egli non cercherà di effettuarle, se non per via pacifica, e con pacifici mezzi».
A’ 26 detto mese: dispaccio del conte Rechberg ministro degli affari esteri dell’impero austriaco, cui essendo stata data comunicazione dello anzidetto riconoscimento dal gabinetto di Prussia, risponde da parte dello Imperatore, con parole cortesi di ringraziamento verso il re di Prussia «per la resistenza opposta finora alle istanze fatteglisi per
(1) Con la nota, de’ 18 ottobre 1860 da Coblentz il governo prussiano protestò, ne’ termini più energici contro la invasione del regno delle due Sicilie invaso dal Piemonte per favorire la rivoluzione, ciò che deplorò profondamente, esprimendo nel modo il più esplicito la sua riprovazione per una così flagrante infrazione de’ trattati, e del diritto interazionale etc.
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riconoscere ciò che chiamano Regno d’Italia; e si augura che la Prussia non abbia mai a pentirsi nel proprio interesse della risoluzione, che ciò non ostante ha presa, di riconoscere il trionfo della più violenta rivoluzione, e della violazione più flagrante del diritto, e de’ trattati» – : e conchiude di non doversi spendere né pure una parola alle pretese guarentigie promesse da Torino; le quali non hanno nemmeno il valore della carta su la quale sono scritte: «Noi crediamo anzi, che su questo punto il generale Durando ministro degli affari esteri in Torino, la pensi esattamente come noi (1)».
Per la Russia = A’ 18 agosto. Dispaccio del ministro degli affari esteri di Pietroburgo principe Gortschakoff, col quale dichiara essersi risoluto il gabinetto imperiale di Russia «di ristabilire le già interrotte relazioni diplomatiche col re Vittorio Emmanuele, come Re d’Italia, in considerazione delle costui assicurazioni di aver forza a reprimere ogni conato rivoluzionario ne’ suoi dominii che potesse turbare lo stato attuale delle relazioni esistenti: e posto, mente, di non discutersi ora questioni di diritto; ma doversi salvare il principio monarchico e l’ordine sociale, che trovansi alle prese con l’anarchia rivoluzionaria, di cui l’Italia è il focolare, e ohe minaccia riversarsi sul resto dell’Europa». – Accenna al precedente dispaccio del 28 settembre (10 ottobre 1860) «nel quale si manifestò il giudizio portato dallo Imperatore di Russia su gli avvenimenti compiutisi in Italia, ed i motivi che lo indussero a richiamare la sua legazione da Torino (2).
(1) Per comprendere la forza di questa frase grammatica è d’uopo ricordare, che al generale Durando si attribuisce averla profferita accennando alle promesse da lui fatte al gabinetto prussiano col dispaccio anzidetto de’ 9 luglio.
(2) È oramai nel demanio della storia questo Importante dispaccio della Russia de’ 23 settembre (10 ottobre) 1860 per la, serietà e rigore con cui giudicò gli atti del Piemonte nella invasione
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Protesta infine «che con questa determinazione l’Imperatore non intende, ne sollevare né risolvere alcuna quistione di diritto».
È da premettersi, che con dispaccio anteriore de’ 16 giugno l’anzidetto ministro Durando scriveva al rappresentante del nuovo regno italico a Parigi «di ringraziare l’Imperatore Napoleone III di ciò che aveva fatto per ottenere il riconoscimento della Russia; lo informava delle misure repressive adottate per tenere a freno ogni esorbitanza rivoluzionaria; ed a sgombrare ogni preoccupazione dall’animo del gabinetto di Pietroburgo su la permanenza della emigrazione polacca nel Piemonte, si obbligava di rinunciare alla formazione della legione polacca, di sciogliere, e mandar via la scuola de’ giovani della Polonia, stabilita prima a Genova, e poi a Cuneo».
La stampa rende di pubblica ragione le condizioni sotta le quali si sarebbero subordinati i riconoscimenti della Prussia, e della Russia «1. lo scioglimento del collegio militare polacco in Piemonte; – 2. licenziamento de’ volontari polacchi, ungheresi etc. arruolati dal governa italiano; – 3. mantenimento del potere temporale del Papa: – 4. dominio assoluto dello Czar in Oriente: – 5. stazione per una flotta russa nell’Adriatico, come aveva già a Villafranca presso a Nizza».
A di 1 luglio da Roma il re Francesco II protesta formalmente per la salvezza de’ suoi diritti, contro i cennati due riconoscimenti della Prussia, e della Russia con atti dichiarativi a que’ gabinetti, facendo rilevare che la posizione dell’Italia, del reame delle due Sicilie «dove patteggiando apertamente con la rivoluzione e con l’opera delle truppe ed altri funzionari sardi, che stavano al servizio di Vittorio Emmanuele, in mezzo ad una pace profonda, senza dichiarazione di guerra, si consumava una serie di violazioni di diritto, con iniquità, che l’Imperatore delle Russie nella sua coscienza, e nella sua convinzione u altamente disapprova».
244 dall’epoca delle precedenti noie di riprovazione spedite da’ gabinetti di Berlino, e di Pietroburgo al governo di Torino, non è punto cambiata, e l’opera della rivoluzione non apparisce da ieri: da per tutto malcontento e miseria; partiti estremi che si minacciano, e si fanno la guerra l’un l’altro; la guerra civile, che da due anni desola le provincie napoletane; il sangue versato a torrenti; la strage del popolo inerme; non esser certamente motivi da indurre i gabinetti anzidetti a trovare oggi conveniente e giusto ciò che ritenevano jeri condannabile, ed ingiusto».
Il giornalismo grida contro il governo di Torino «che dopo aver sagrificata la dignità del paese a riconoscimenti che lo umiliano, ha dovuto adempire agl’impegni, che aveva assunti per ottenere questi riconoscimenti».
La Stampa dì Torino, giornale del nuovo ministero (28 dicembre) dice: «Le ricognizioni della Russia, e della Prussia avrebbero dovuto migliorare la posizione diplomatica dell’Italia; ma esse ottenute per un malinteso, per opera del governo francese, che ci compromise, sono servite a legare, anziché ad assicurate il governo italiano».
E la Discussione aggiunge: «la Francia che dispettosamente ci vieta andare a Roma, proibisce negoziare a Parigi i titoli del nuovo prestito italiano, e finanche di quotare alla Borsa i valori italiani».
Con quale irritazione parli il Garibaldi de’ riconoscimenti in parola, può leggersi nell’Unità politica di Palermo, è nella Opinione di Torino num.191. «Il riconoscimento della Russia (egli esclama) è una doppia vergogna per l’Italia: 1. perché quel riconoscimento ottenuto dal Bonaparte, costituisce sopra l’Italia il protettorato dell’Uomo del 2 dicembre, macchialo di sangue del popolo di Parigi… – 2. perché quel riconoscimento si è ottenuto con una codarda condiscendenza, cioè, sciogliendo la scuola polacca; e quindi obbligando que’ generosi giovani ad esulare dall’Italia, dove avevano trovato asilo». 245 Nel parlamento di Torino, discutendosi la interpellanza su le condizioni del nuovo regno d’Italia in faccia alle potenze estere, nella tornata de’ 20 luglio, il deputato napoletano Petrucelli, tra le altre cose dice: – «In due anni non è stata ancora riconosciuta l’Italia da tutte le potenze d’Europa. Per la Baviera, e per la Spagna noi siamo un lutto di famiglia. – Per la Germania noi siamo uno scandalo. La Francia ci riconobbe, ma con molte condizioni. – Altri Stati ci riconobbero, ma presso a poco nello stesso modo. – Qual è il valore di que’ tali riconoscimenti? – Io lo domanderò alla stessa natura delle potenze, che ci riconobbero.» – E qui l’oratore si diffonde a dimostrare di quanto danno alla Italia riescano riconoscimenti subordinati a condizioni umilianti, e quanto gravosa le sia l’alleanza col governo imperiale francese, la cui politica egli sviluppa a modo suo, e sopratutto se ne lamenta per riguardo a Roma: – quindi ripiglia: – «Ma questo stato di cose non può durare! Noi dobbiamo smettere questa alleanza con la Francia, e tutto invece ci porta all’alleanza con l’Austria; ciò che ci produrrà molti vantaggi: questa ha da essere la nostra futura politica» e termina lodando la solidità e fortezza dell’impero austriaco.
In modo più amaro giudicano de’ riconoscimenti in parola, nella sussecutiva tornata de’ 27 i deputati Mordini, e Crispi. Il primo di essi dice: – «La politica estera del gabinetto non mi rassicura, perché la via da lui tenuta è contraria agl’interessi della nazione. Io deploro la debolezza nello interno; ma non so comprenderla allo estero: intendo parlare dello scioglimento della scuola polacca di Cuneo, il quale si effettuò per assicurarsi il riconoscimento della Russia… Ma io credo giunto il momento di giudicare su la politica del governo francese verso dì noi. 246 – La Francia, o signori, non è favorevole alla Italia. Essa a Villafranca ha tentato arrestarci, ognuno sa in qual modo. Io non so credere, che l’Imperatore abbia avventurato il suo trono, e la sua corona pel solo amore d’Italia.» – L’oratore chiama indi pericolosa a questa ogni alleanza che eserciti pressione sopra di lei, e conchiude, che l’Italia deve mettersi in istato di guerra.
L’altro deputato Crispi dice «di rallegrarsi de’ ricouoscimenti della Prussia, e della Russia; ma avrebbe amato meglio, che si fossero verificati quando l’Italia potesse farsi temere. – La Russia paventava, che l’Italia le mettesse il fuoco in casa; ecco perché la riconobbe; ma dopo averne avute le necessarie guarentigie. Quanto alla Prussia, essa è la figlia primogenita del dispotismo russo, e perciò ci riconobbe ancor essa; ma dopo aver avuta l’assicurazione, che non si sarebbe andato mai né a Roma, né a Venezia».
A’ 10 settembre, il generale Durando ministro degli affari esteri in Torino, dopo che Garibaldi fu ferito e fatto prigioniero in Aspromonte per impedirgli di aggredire Roma, pubblica una circolare diplomatica per ottenere ciò che si è impedito a Garibaldi. – I gabinetti di Parigi, di Pietroburgo, e di Berlino fanno serie avvertenze al nuovo governo italiano, ricordandogli le condizioni sotto le quali ebbe luogo il loro riconoscimento, di dover, cioè, rispettare Roma e Venezia: sopratutto nella nota del gabinetto di Prussia si fa la recriminazione al ministro Durando di trovarsi contraddittorio col suo precedente dispaccio de’ 9 luglio, dianzi accennato; e si conchiude nel modo il più esplicito «che la Prussia considera la situazione religiosa e politica del Sommo Pontefice come intangibile, e vuole che non venga atte taccata in modo alcuno con atti successivi».
E la France, organo officioso del governo imperiale francese pronunzia definitivamente, che la unità italiana, almeno pel regno delle due Sicilie, è una unità falsa, ed impossibile». 247 Il Constitutionnel in tuono minaccioso aggiunge: «il governo di Torino per varie colpe…. ha dato alimento alle speranze ostili all’Italia; ed ha reso possibile, che si proponga sul serio il ristabilimento del regno di Napoli».
continua….
fonte
https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/02_Colpo_d_occhio_su_le_condizioni_del_reame_delle_due_Sicilie_nel_corso_del_1862.html