Alta Terra di Lavoro

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CONSIDERATE NEL PARLAMENTO DI TORINO-DA’ DEPUTATI DELLE PROVINCIE MERIDIONALI (IV)

Posted by on Nov 30, 2023

CONSIDERATE NEL PARLAMENTO DI TORINO-DA’ DEPUTATI DELLE PROVINCIE MERIDIONALI (IV)

Le tornate parlamentari

Tornata de’ 28 febbraio 1861 (n. 8. Atti officiali)

Il deputato Massari nella discussione per la convalidazione della nomina di Liborio. Romano eletto alla deputazione nel collegio di Altamura in Puglia, dice:

«Mi preoccupo grandemente delle conseguenze pratiche, che la deliberazione della camera può avere in un senso, o in ‘un altro su le sorti delle mie native provincie (di Napoli) … Non è giusto, che a provincie nuove si voglia pretendere di applicare la stessa regola, che si applica alle antiche… Io desidero, che presto, abbia a finire nei mio paese quella deplorabile istituzione che si chiama consiglio di Luogotenenza. Quando la camera comincerà la discussione, io esporrò senza velo le mie opinioni intorno a tale istituzione, che dissi, e che ripeto essere deplorabilissima».

Il deputato de’ Marco sostenendo di doversi convalidare tale nomina di Liborio Romano dice:

«Vorremo noi colpire d’incapacità gli uomini che si sono prestati al governo delle provincie napolitane? Ma sapete voi, CHE PER QUELLI UOMINI NOI SIAMO QUI?!…

Il deputato Boggio sullo stesso proposito del Massari dice:

«… i consigli di Luogotenenza in Napoli, e Sicilia sono una disgrazia pel paese; opinione che non sono lontano dal dividere ancor io, per quanto ne udii da molti miei colleghi.

Bixio dice: «A Napoli, e Sicilia vi ha bisogno di gran forza»…

Tornata del 2 marzo 1861. (n. 12.)

Il relatore Mellana nella convalidazione della nomina del deputato Siciliano Paternostro fa osservare, che costui in talune carte ha il titolo di Bey, che fa presumere aver servito in Egitto, e perduta la nazionalità. «Il deputato Natoli vuol sostenere che è un martire politico». Il deputato Crispi fa osservare, che il Paternostro per la clemenza de’ Borboni tornò in Sicilia due anni prima della venuta di Garibaldi, ed avrebbe potuto chiedere allo stesso Principe che lo aggraziò, la riabilitazione ne’ diritti civili e politici, di cui era privo per aver preso servizio, senza autorizzazione del governo napoletano, in Egitto.

Tornata de’ 14 marzo (n. 27.)

Il deputato Ricciardi nella discussione per dare a Vittorio Emmanuele il titolo di Re d’Italia, osserva «La quistione mi pare prematura. Il regno, di cui vuoisi acclamare capo supremo Vittorio Emmanuele, non essendo per anco costituito, e la Italia rassomigliando ad un corpo, cui manchino capo, e braccio destro;… il perché avrei preferito, che il ministero avesse presentato uno schema di Legge inteso ad accrescere l’esercito ed a procacciar danari, che sono i soli argomenti efficaci, ed indispensabili a fr davvero l’Italia. Che anzi senza Valuto del primo, il regno d’Italia correrebbe gran rischio di essere disfatto pur prima che fosse per venire proclamato… Salvo rimanga il sacro principio della sovranità nazionale, sola base logica e giusta del nuovo regno, il quale potrebbe altrimenti qualificarsi di usurpazione su la casa Borbone, e su la casa Lorena; e sul Papa… ()

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Tornata de’ 15 marzo 1861 (n. 29.)

Il deputato d’Ondes-Reggio su la progettata unificazione de’ Codici italiani osserva:

«Per 10 milioni d’anime, vale a dire per Napoli, e Sicilia, non si son fatti per nulla gli studi per la nuova legge a proporre, e che dal ministero diconsi già compiuti.

«Napoli, e Sicilia non erano annessi, e certamente nel breve spazio di tempo trascorso dal giorno dell’annessione finora, ‘altri studi accurati non hanno potuto aver luogo. Ora le proprietà di Napoli e di Sicilia sono cosa di sommo rilievo. Ivi la legislazione era importantissima, e diversa da quella degli altri paesi d’Italia. Il governo dunque chiami chi vuole per servirsi de’ lumi, degli studi, e dell’opera, ma non pretenda che noi facciamo ciò che è contrario alla costituzione…

Il deputato Mirabelli dice «avendo studiato il t progetto del nuovo Codice, che intende proporre il ministro guardasigilli, venni a chiarirmi, che molte disposizioni del Codice Napoletano e Siciliano vi furono trasfuse letteralmente ()

Tornata de’ 20 marzo (p. 33.)

Il conte Cavour per ischivare le interpellanze su l’amministrazione delle due Sicilie, che intendeva fare il deputato Massari, confessa… «nelle condizioni attuali il governo delle provincie di Napoli, e Sicilia, misto di uomini politici, e non politici, non riunisce le condizioni necessarie per poter funzionare regolarmente».

E il deputato Ricciardi osserva:

«Nelle provincie napoletane tutti sperano, che si dia termine all’attuale situazione molto grave, molto dolorosa. Io desidererei fare una lunga esposizione, non tanto del male che ivi avete finora fatto, quanto del modo di rimediarvi… (è impedito di continuare dal prevalente partito piemontista)

Tornata de’ 23 marzo

Ricciardi, su la contrastata elezione di Plutino calabrese osserva: «Ho preso la parola nello interesse della Legge, perché nelle provincie napolitane gravi disordini sono avvenuti in questo anno nelle elezioni».

Nella stessa tornala sull’interpellanza di Lamarmora al ministro della guerra per la progettata riforma dell’esercito, ii deputato Crispi dice aver rilevato nel discorso del ministro molte inesattezze, tra coi quella di aver dovuto inviare da Genova armi, cannoni, e monizioni alle truppe piemontesi assedianti,Gaeta, per aver trovali vuoti gli arsenali del regno, come gli assicurava l’ispettore generale sopralluogo, ed osserva il bisogno di una rettificazione: «mentre nel Castel nuovo noi lasciammo (cioè i garibaldini) più centinaja di cannoni di grosso calibro, e la maggior parte di assedio. Inoltre a Soveria in Calabria trovammo più di diecimila fucili di precisione) perocché l’esercito borbonico aveva armi migliori delle nostre) ed un gran numero caddero in nostro potere. Quindi a quel fatto, che nel regno delle Due Sicilie non v’erano armi, non so prestar fede».

Il deputato Cugia risponde: «Sta nel fatto, che nel forte S. Elmo si sono trovati i cannoni, di cui fa cenno il signor Crispi, ed anche in altre località si son trovate bocche da fuoco; ma non tutte adatte per espugnare una piazza come Gaeta».

Il deputato Sirtori dolendosi contro il ministro della guerra per lo scioglimento, del le masse garibaldine prorompe così «quando cominciammo la guerra (con mille uomini, e Garibaldi) non sapevamo se l’esercito sardo sarebbe venuto in nostro aiuto, ovvero se saremmo abbandonati, e rinnegati (movimenti) ; e se mentre eravamo combattuti da un esercito napolitano, non avessimo anche a combattere contro l’esercito, che ebbe il permesso d’entrare nelle Marche, e nell’Umbria; poiché (lo debbo dire) esso ottenne il permesso di entrare, nelle e provincie napoletane per combattere noi, che eravamo l’Italia! () — Si, per combattere noi!… E noi avremmo combattuto contro questo esercito. — Con dolore debbo dirlo, noi fummo trattati non da amici, non da patrioti; ma da nemici (grandissimi rumori, il presidente si copre il capo, e la seduta è sospesa) ;

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Tornata del 26 marzo 1861 (n. 40 degli Atti.)

Il deputato Ferrari arringando su la quistione di avere Roma per capitate, si versa su le cose di Napoli, e dice: «Niuno ignora lo stato delle due Sicilie esser talmente grave, che formerà il soggetto di una prossima seduta, e che lo stesso ministero si dichiarò nella necessità di modificare le luogotenenze di Napoli, e di Palermo, dove i capi da lui nominati sostengono la parte di Re irrisponsabili, che accettano ministeri diversi, ed anche contraddittori. Il presidente del consiglio, che aveva annunziata la intenzione sua di sopprimere le due luogotenenze, annunziò successivamente, che intendeva solo rettificarle, ed egli stesso indugia tra l’alternativa, o di rispettare temporaneamente le autonomie del mezzodì, o di sopprimerle. Mi basta qui di constatare l’anarchia del. mezzodì, e le strane alternative emergenti dalla situazione stessa senza pretendere di scrutare alcun pensiere individuale, senza accusare alcuna intenzione personale; il moto, che ci trasporta, minaccia non solo l’ordine stesso della società italiana, ma la libertà stessa dello Statuto, nostro ultimo palladio. Mi spiego. Il governo trovasi trascinalo dalla necessità, vera. o supposta, di operare una grande rivoluzione burocratica, di rinnovare gli uffizi in tutti gli antichi stati, di sottoporli alla uniformità degli antichi regolamenti piemontesi, essi pure alterati; d’imporre i propri codici, essi pure mobilitati e sottoposti alla incertezza di una revisione ulteriore. Ma in tanta mescolanza di uffizi, e trambusto d’impiegati, quanti affari! quanti problemi! quanti diritti lesi, o messi in dubbio!…

Tornata de’ 28 marzo (n. 45 degli atti.)

Il Brofferio, deputato della sinistra volge un rapido sguardo su le cose di Napoli, e dice: «Nelle due Sicilie si agitano tre partiti: il primo è il partito borbonico, che è quello degli interessi materiali; il 2.° è il murattista, sul quale vorrei che il governo aprisse un poco gli occhi; il 3.° è quello della rivoluzione, di cui era capo Garibaldi. Ma il partito del governo io non lo veggo, né in Napoli né in Sicilia () — E perché non vi è? — Perché Napoli, e Sicilia furono liberate dalla rivoluzione, e Voi signori ministri, andando a raccogliere il frutto della rivoluzione, vi poneste a governare a capriccio. In ciò sta la quistione. —Disputate e pure di luogotenenze, di governi locali, di governi centrali; sono tutte oziose disputazioni; voi logorerete uomini, leggi, e decreti; ma non cangerete le cose. Finché voi vi agiterete nella cerchia fatale, in cui vi siete messi, finché governerete Napoli, come se sapete ste di non dovervi restare lungamente… (voce a sinistra «È vero») voi non potrete reggere. La vostra odiata politica nelle due Sicilie vi costringe a mantenervi una parte dello esercito per frenarvi le popolari turbolenze, e quelle armi, di che avreste necessità contro lo straniero, voi dovete impugnarle contro quei popoli ancor essi italiani. Vengo alla giustizia. In questo Dicastero v’ha una tale confusione di Babilonia, che la simile non si è veduta, né udita mai. A Palermo, a Napoli (siccome nelle altre nuove provincie annesse) vi sono avvocati che non vogliono più difendere cause; giudici, che non sanno più come giudicarle; abbiamo una corte di cassazione oramai esautorata; abbiamo terze istanze’ che si dicono in via e non giungono mai. Questo è lo stato dell’amministrazione della giustizia (movimento) Noi per verità avremmo dovuto andar più cauti nel portare altrove le nostre leggi subalpine. Non vogliamo dimenticare, che nello andato secolo il Piemonte si trovò in via di progresso e fu forse uno dei primi paesi ih cui si ponessero provvide basi di sapiente codificazione; ma nel 1814 il Piemonte divenne uno de’ più infelici paesi dell’Italia; mentre tutte le altre nazioni si erano inoltrate, noi retrocedemmo spaventosamente sotto il doppio giogo dei nobili, e de’ preti… Uno, de’ principali uffizii del dicastero de’ lavori pubblici è quello di dar lavoro, e pane alla classe operaja; e specialmente dovrebbe farlo per l’Italia meridionale, per le due Sicilie, in cospetto della. crisi politica, che vi regna. Colà principalmente il popolo lagna di non aver pane e lavoro;, colà dalla stampa sorgono quotidiane accuse per questo riguardo contro il governo. Quindi il ministero, che non provvede, specialmente a Napoli, a dar lavoro al popolo, manca al suo dovere… Al ministro della finanza chiedo se sia vero, come ne corre voce, che la deficienza nel bilancio di questo anno ecceda i 260 milioni, e che 140 milioni sieno stati già consunti nelle spese ordinarie… In queste disastrose condizioni politica estera, dell’amministrazione interna, del governo dell’Italia meridionale, dell’ordinamento della giustizia, dello stato della finanza, dello stato della guerra, dello stato di pubblici lavori, dello stato della istruzione pubblica, io non ho, io non posso avere fiducia nel ministero.»

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Tornata de’ aprile 1861. (n. 49 degli atti)

Fra le petizioni presentate alla camera ve n è una segnata n. 6922, in nome di 242 cittadini di Palermo, che invitano il parlamento a dichiarar illegale ed incostituzionale il Decreto de’ 17 febbraro 1861 di quella luogotenenza, relativo alla promulgazione de’ Codici, e leggi sul l’organamento giudiziario piemontese, molto inferiore in merito alle leggi già ivi in vigore.

Nella stessa tornata il deputato Massari facendo le preconizzate interpellanze (cui era già dai precedenti giorni apparecchiato il ministero) su le condizioni amministrative del regnò di Napoli, che egli chiama «grave e doloroso argomento di politica interna» si espresse ne’ seguenti termini…

«Il pericolo è grande, e non giova dissimularlo, poiché la quistione amministrativa può grandemente pregiudicare la quistione politica;… e farebbe dire, che gl’italiani; sono stati impotenti a costituire ed ordinare la loro nazionalità…

«I mali, che affliggono le provincie dell’Italia meridionale di qua dal Faro, hanno raggiunto tali proporzioni, che richiedono urgente rimedio. ()

«Gl’inconvenienti del silenzio sono sempre maggiori di quelli della pubblicità. Quando una piaga fa sangue, e sta per volgersi in cancrena, è d’uopo avvivarla coll’aria pungente della pubblicità. D’altra parte ho riflettuto che il solo fatto di queste interpellanze e della discussione a cui potranno dar luogo sarà un primo rimedio poiché mostreranno alle afflitte popolazioni della Italia meridionale, che il primo parlamento italiano rivolge benigno lo sguardo alle loro sorti…

«Grave errore è, che il sentimento nazionale presso quelle popolazioni sia fiacco, e debole: io invece affermo che esso è gagliardo, potente, e profondo… Esse vogliono buon governo, non vogliono la centralizzazione. Hanno però esse ottenuto il desiderato buon governo, la buona amministrazione? Potrei rispondere fin d’ora con la più recisa negativa… La prima ed essenziale condizione d’una buona amministrazione, la condizione, senza la quale non può dirsi, che amministrazione esista, è la sicurezza pubblica. Ora la sicurezza pubblica nelle provincie napoletane non esiste né punto né poco. Non è questione di maggiore, o minor grado, è mancanza, e mancanza assoluta. Si ruba a man salva e nelle campagne, e ne’ villaggi, e dentro e fuori le mura delle città…

«A Napoli sussiste la più turpe venalità. Havvi un ceto di persone, le quali, frapponendosi fra la gerarchia amministrativa e le parti interessate, assumono l’incarico di far prevalere i diritti di esse parti, non secondo giustizia, non secondo ragione, ma mediante il deposito prima, il pagamento poi, d’una data somma. Questa è la classe de’ sollecitatori; sicché un galantuomo, il quale abbisogna di farsi rendere giustizia, non deve misurare le probabilità di prospero successo dalla giustizia della propria causa; ma bensì dalla maggiore o ‘minor larghezza de’ mezzi pecuniari, di cui può disporre.

«Altra piaga è l’aumento del numero degl’impiegati. Basta citare per esempio, che nei decorso gennaio, aggregandosi in Napoli il dicastero d’agricoltura e commercio a quello dell’interno, non era necessario creare un nuovo direttore, ed aumentare impiegati; invece si è creato questo direttore, e si sono smisuratamente accresciuti gl’impiegati oltre la pianta dell’organico…

«Le sorgenti de’ proventi sono gl’impiegati cresciuti, le pensioni e le giubilazioni innumerevoli, e per soprappiù, il contrabbando! — Davvero io compiango il ministero dello finanze…

«Non avrei voluto toccare le cose di finanza; ma fo eccezione per un certo contratto, che è stato conchiuso con una casa commerciale per coniare monete di bronzo per la somma di dodici milioni di franchi. Questo Contratto è stato seccamente e senza ulteriori spiegazioni annunziato nel giornale officiale. Io, come l’ho fatto in privato, richiamo su di esso pubblicamente l’attenzione del ministro di agricoltura e commercio. Il mese scorso, come se tutto ciò non bastasse, abbiamo letto nel giornale officiale di Napoli un decreto con cui viene accordato un milione di ducati a coloro che hanno patito danno nelle recenti vicende politiche. Con quale diritto sia stato accordato questo milione, su quali fondi, io non saprei dire; parmi però di non fare una censura fuori di proposito, osservando, che, se pure si vuole erigere in massima il principio delle indennità a coloro, che hanno sofferto per ragioni politiche, la sanzione di questo principio (che io non Approvo) toccherebbe al Parlamento, ed al governo del Re, e non,ad un amministrazione locale, temporanea, subordinata. — Quel decreto ha avuto oltrecciò la conseguenza funesta d’accreditare l’opinione (che a noi preme distruggere) che il Governo abbia ad essere il grande elemosiniere pubblico, il riparatore di tutti i mali…

«L’altro vizio è la inosservanza delle leggi, che sono promulgate, ma non eseguite. — Basti citare ad esempio la legge comunale e provinciale promulgata in Napoli ai 2 gennaio () , e già siamo ad aprile e niun provvedimento si è dato per attuarla… Ma oltre le leggi promulgate, e non eseguite, vi è in Napoli un’altra categoria di leggi, cioè, le leggi promulgate accademicamente, vale a dire promulgate con la condizione che non saranno eseguite (si ride) — lo aveva recato con me il supplemento al giornale n. 41 officiale di Napoli, nel quale è stampata la relazione, che consacra questo singolare principio… ivi è detto, che i consigli di ricognizione, nel passare in disamina le matricole della guardia nazionale, debbono cancellare non solo quelli che son designati dal Decreto, ma anche quelli che hanno propensione alla monarchia de’ Borboni ecc. Vale a dire che coll’attuazione di questo principio, si viene a creare una Lista di attendibili, e di sospetti. — Signori, il mio paese non vuole borbonici al potere; ma vuole che il governo non sia il governo di una setta, o di una fazione… Rivolgo poi al Ministro dell’interno la preghiera di far. prontamente eseguire la legge su la guardia nazionale, che non ha armi; e venga soppresso quel comando generale della stessa guardia di tutto l’ex reame, che esiste ancora— Per definire la condizione, nella quale si trovano, non solo la ex capitale, ma pur le provincie, non ho ad adoperare, che una semplice espressione: le provincie sono in balia della Provvidenza, in balia di loro medesime, esse non sentono né punto, né poco l’azione del governo centrale, e si difendono da se stesse… Conosco città, ove su 1300 guardie nazionali, non ve ne sono, che 400 che abbiano fucili: conosco borgate, dove su 200 guardie nazionali ve ne sono appena otto armate: e quel che è peggio, mentre v’è una quantità di malviventi, che approfittano del disordine…

«Il centro amministrativo stabilito in Napoli non si ricorda delle provincie che in due occasioni; la prima quando si tratta di rimuovere o cambiare governatori: ogni qualvolta la provincia riesce (e la cosa non è facile, né frequente) ad avere un amministratore solerte ed intelligente, si può star certi, che a. capo di pochi giorni è rimosso. La seconda è quando invia gli sbandati dell’esercito borbonico… Da quanto ho detto, e da altro che per brevità taccio, pare che sia dimostralo fino alla evidenza, che le tendenze dell’amministrazione governativa accenna in modo incontrastabile alla negazione della unità italiana, al separatismo… Su la legge de’ Conventi, d’abolirsi amo meglio non parlare: avrei desiderato, che in questi gravi momenti si fosse evitato al paese una nuova cagione di discordia, si fosse evitato di turbare le coscienze…

«Ad allegare un ultimo fatto, che dimostra la poca riverenza verso la legge con che si procede in Napoli, citerò quello della circoscrizione della nuova provincia di Benevento. Fu creata una commissione per suggerire il piano di questa nuova provincia; ma non si è voluto seguire l’avviso da essa dato. Sotto il cessato Governo, quando si trattava di circoscrizione territoriale, si sentivano prima le parti interessate, credo il Consiglio provinciale, e poi sì sentiva il parere del Consiglio di Stato: questa volta non si è creduto, nemmeno uniformarsi a questa regola. È stata costituita, non so per quale urgenza, una nuova provincia nello antico reame, e per costituirla si sono sconquassate e disfatte cinque altre provincie, cioè quelle d’Avellino, di Salerno, di Foggia, di Campobasso, e di Caserta. V’è fra gli altri un distretto, quello di Piedimonte d’Alife, il quale, in seguito a questa nuova, improvvisata, arbitraria circoscrizione, si trova privato persino del diritto di eleggere il proprio deputato.

«Io domando se, mentre il parlamento siede, si possa ammettere, che un’Autorità locale, temporanea, e subordinata, abbia il diritto di mutare la circoscrizione territoriale dello Stato…

«Ora ho veduto con profondo dolore, che la prima amministrazione inaugurata in Napoli sotto gli auspici di un principe della onestissima Casa di Savoia, racchiudesse nel suo grembo elementi, ne’ quali nessuno di voi, o Signori, ravviserebbe la incarnazione de’ principii di probità politica la cui tutti dobbiamo inchinarci… La condizione delle provincie meridionali è oggi quella di un’anarchia, la quale non pare, che possa prolungarsi impunemente… A Napoli oggi si avrebbe dovuto amministrare molto, e far leggi poco o niente: si è fatto tutto il contrario; si è amministrato niente, e si son fatte leggi e decreti a profusione…

Nella stessa tornata de’ 2 aprile, il deputato Ricciardi anche perora su lo stesso importante subbietto: nel suo discorso sono notevoli le seguenti espressioni:

«Io non ho che un sol rimprovero da fare all’onorevole Massari, quello di aver detto poco, sopratutto per ciò che spetta al governo, i cui errori in Napoli sono. stati sfortunatamente tali a tanti, ch’è un vero miracolo, se disordini molto più gravi di quelli, di cui ci doliamo non sieno accaduti… A modo di prefazione darò cognizione alla Camera d’una lettera, che credo importante, una delle cento pervenutemi da che sono in Torino: eccola: «Tutto quanto è stato operato da’ nostri rettori direbbesi fatto coll’unico fine di rimpiangere il regime Borbonico… Agli antichi abusi si aggiunsero i nuovi; e per giunta una crescente miseria, cui pur sarebbe stato facile l’ovviare,creando lavori ad ogni costo. Pessimo effetto hanno prodotto le leggi di costi estese a queste nostre provincie, che ne aveano di migliori, ma quella in ispecie è spiaciuta assaissimo che si aggira intorno agli ordini giudiziari. Quanto a’ decreti relativi alle manimorte, son guasti dal modo, in cui sono eseguiti, e prevedonsi già non piccole ruberie»… Vorrei veder diminuito il numero degl’impieghi, che, come tutti sanno, crebbero a dismisura… L’erario, senza dubbio, si trova oggidì in pessime condizioni; poiché non d’altro è ricco, se non di debiti: è a mia cognizione, che si è voluto contrarre un prestito per la città di Napoli, e si è fatto un solenne fiasco, perché non si trovarono condizioni migliori di 70 ducati per ogni 100 di obbligazione… Il paese non manca di risorse; per esempio, mi ricordo, che al tempo della dittatura di Garibaldi, si fece un primo decreto d’incameramento pei beni di casa Borbone; un secondo per quelli de’ Gesuiti; un terzo per quello dell’ordine Costantiniano. Tutti di immensa estensione, ma rendono pochissimo sotto l’amministrazione erariale, la quale non è fedele… Abbiamo anche beni demaniali che pur essi rendono podiissimo, sia per mala gestione; sia per incuria…»

«Io non sono dell’avviso di Massari. Fino al gran giorno, in cui, Roma sia nostra, si deve rispettare l’autonomia di Napoli. Naturalmente uno Stato che da si tanti secoli era indipendente, molto mal volontieri si vedrebbe assorbire da un altro…

«Vorrei, che si provvedesse alla nomina de’ governatori, e questi, meno poche eccezioni, non hanno soddisfatto a’ bisogni delle provincie: bisognerebbe procedere alla scelta di 14 uomini (e non sarà poi tanto difficile trovarli) giusti, probi, intelligenti… Tutti sanno quali sieno le mie opinioni; ma debbo confessare, che il mio paese è essenzialmente Monarchico; e quando lo dico io, dovete crederlo… Badate a far si, che il reame di Napoli, e Sicilia, non sia d’impaccio nei frangenti gravi dell’Italia (che dee combattere un’ultima guerra, forse la più fiera di tutte quelle che ha. combattute finora) ; ma sia invece di aiuto, come debbono essere nove milioni e più d’italiani.

«L’ordine del giorno, che propongo è il seguente:

«La Camera invita il ministero a provvedere energicamente alle cose del già reame di Napoli, mirando in ispecie, 1.° ad introdurre la moralità nell’amministrazione; 2.° ad attivare al possibile le opere pubbliche d’ogni modo».

Anche nella stessa tornata arringa il deputato Paternostro siciliano, e nella sua parlata si nettano le seguenti cose:

«… Lo stato della Sicilia non è prospero; ma io non scendo a dettagli. Essa ha bisogno della pubblica sicurezza, di lavori pubblici; ha bisogno insomma di rimedii amministrativi… Non intendo ripetervi ciò ch’è stato detto e ridetto: la Sicilia ha bisogno della riorganizzazione della pubblica sicurezza; ha bisogno, che voi comprendiate, signor Ministro delle l’interno, esservi elementi in quell’amministrazione, che non possono starvi, che lungi dal portar la pubblica sicurezza, sono d’inciampo, sono di ostacolo allo stesso Consigliere della sicurezza; poiché così si trova in falsa posizione… I mali esistono; ma volete il rimedio? Ve ne ha un solo, ed è questo: togliete il governo di Sicilia dalle influenze della piazza; togliete il governo di Palermo dalle influenze della piazza di Palermo, che non rappresenta, né può rappresentare l’elemento rivoluzionario nazionale…

«Io vi parlo delle influenze d’una sparuta minoranza sfrenata, d’un pugno d’uomini arditi, che hanno per bandiera l’agitazione () ; d’un pugno d’uomini arditi, che unità nazionale, autonomia, amministrazione di luogotenenza, o di governatore, sicurezza pubblica fanno consistere in ciò che le loro tendenze trionfino, e che facciano tutto Quello che loro pare e piace; e che, se tutto non va secondo i loro desiderii, si uniscono, fanno dimostrazioni e si sforzano d’imporsi; elementi, che possono anche non essere del paese… Ora che dopo tanti sagrifìzii, la Sicilia è libera, le sue strade non sono aperte, le comunicazioni don esistono; come non esistono ponti; i lavori pubblici non sono attivati: la Sicilia ha dovuto dire a se stessa: ma infine mi governi l’interno del paese, mi governi Torino, il potere centrale, o il potere locale, non importa chi; ma facciano qualche cosa per me… Ma nulla ha visto fare per se la Sicilia. Ecco un elemento del malcontento».

Tornata de’ aprile 1861 (n. 52 degli atti.)

Nella interpellanza del deputato napoletano Miceli su la severità usata in Napoli da’ soldati piemontesi contro taluni gregarii delle disciolte masse garibaldine, che reclamavano tumultuosamente denari si notano le seguenti proposizioni: «il ministro dell’interno, parlando del dolorose avvenimento testé succeduto a Napoli, diceva, che una turba di accattoni era andata a tumultuare su la piazza delle Finanze, che la forza pubblica fu costretta a scioglierla, e che successe il ferimento d’un solo individuo. Da varie lettere, che ho ricevute da Napoli, e da’ più attendibili giornali del paese, risulta, che il fatto non andò così: questi soldati congedati (garibaldini) che per la condizione delle provincie meridionali, stavano in Napoli, dove si parla spesso di arruolamenti; que’ poveri giovani stavano aspettando il giorno, in cui potessero rendere nuovi servigli al paese: mancavano del necessario, e chiesero un sussidio al governo… Gli si fece l’oltraggio di promettergli un’elemosina mandandogli nel palazzo Maddaloni a Toledo… Una mano di giovani inermi, affamati, senza proposito di oltraggiare, né di resistere, gridano, tumultuano. La forza pubblica organizzata, che ha la coscienza di esser troppo superiore, e di non aver nulla a paventare da pochi inermi, invece di disperderli a colpi di bajonetta, credo, che avrebbe potuto usare altri mezzi. Di feriti non ve ne fu uno solo, come dice il ministro, ma furono quattro, o cinque feriti, ed uno morto, giovane volontario nato in Campobasso, appartenente al battaglione Sprovieri».

Il ministro Minghetti risponde brevemente ad una interpellanza, ed è marchevole la seguente sua espressione: «Se vi è paese, nel quale la stampa in generale non adempia al suo nobile ufficio, lo dico con dolore, è la città di Napoli () ..

Il deputato calabrese Greco si restringe a fare alcune osservazioni, tra cui si nota la seguente…

«Chiamo l’attenzione de’ ministri su lo stato della finanza napolitana, che lamentasi di essere molto stremata a causa del lusso di pensioni e di soldi accordati a coloro, che non tutti hanno meritati, anzi io questi a ultimi giorni la Finanza di Napoli è stata chiusa per mancanza di numerario, e gl’impiegati non hanno avuto i loro soldi… E per fare qualche, cosa utile domando una Commissione d’inchiesta, che eserciti un sindacato su ciò che si è fatto del denaro pubblico, e le cariche conferite, e da conferirsi, su’ bisogni, reali del paese, sul modo di ovviarli, per renderne poi conto al Parlamento» () Insiste il detto deputato per far rimanere come guardie mobilizzate gli armati delle province; per far cominciare i lavori delle Strade ferrate, e per far demolire il forte S. Elmo in Napoli, come ha pur chiesto Ricciardi…

Il deputato Cardente (di Terra di Lavoro) deplora altresì, che la guardia nazionale si trovi sfornita di armi: «censura che il municipio di Napoli per sopperire al caro del pane nello scorso inverno abbia distribuiti boni alla classe bisognosa per aver pane a minor prezzo; h qual cosa (egli dice) degrada il popolo, mentre la finanza versa vistose somme nelle mani de’ faccendieri, e de’ m està tori, che fanno Scorrere appena una frazione infinitesimale a beneficio del povero popolo () ».

E scagliandosi sul mal andamento do lavori della strada ferrata,da Capua a Ceprano, per la quale dice che si sborsano 10 mila ducati la settimana, esclama:

«Finanza, che paga ogni di; operajo che si demoralizza, perché non vi lavora nemmeno pel terzo di ciò che gli viene retribuita in mercede; lavoro quindi che lentamente,e quasi per nulla progredisce! Giacché si volle scovrire la piaga, in questo recinto, ed io non era di tale avviso, sento il sacro dovere di dire il mio debole parere… In Napoli non è tanto la fame, che perseguita quelle popolazioni; ma io debbo dire a questo Consesso, che là si sente fame di moralità, di abnegazione, di probità, di religiosa osservanza delle leggi, e di attitudine ne’ pubblici, funzionarii. Ecco, ciò che ardentemente da ogni onesto desiderasi in quel paese».

Il deputato Castellano sullo stesso tema del modo come sono governate le provincie meridionali, domanda al ministero se i funzionari ivi spediti a governare abbiano, o pur no ricevute istruzioni da Torino: «ritenendo nel 1.° caso, che sieno state queste malamente date, e nel 2.° caso, che sia. gravissima la risponsabilità ministeriale per non averne date… Ivi si son volute far leggi abusivamente senza bisogno, derogando alle antiche istituzioni dell’ex reame, per solo arbitrio… I mali, che si sono prodotti in Napoli derivano sopra tutto dalla soverchia leggerezza con che le antecedenti istituzioni si sono andate immutando…

«Noi napoletani non avevamo difetto di leggi più o meno buone. Cosa ha fatto il governo nuovo in quelle provincie? Non ha fatto, che distruggere; non ha fatto, che abbattere le vecchie leggi per sostituirne delle nuove, che mentre mancavano del prestigio di autorità legittima (perché non sanzionate dal parlamento) non si aveva la forza di far rispettare».

Il deputato Valenti (delle Puglie) riepiloga le grida di dolore del suo paese nelle parole «sempre soffrire, sempre!» Accenna al sistema di esclusività del governo luogotenenziale, sistema crudele, iniquo, ne’ pubblici impieghi; e cita la massima del Macchiavelli, «che ne’ mutamenti politici conviene conservare del vecchio tutto quello, che è buono; rigettare il cattivo; e che quando si vuol salire conviene dallo scalino di sotto passare a quelle di sopra».

Accusa il governo stesso di aver inviato nelle provincie a bella posta i più tristi fra’ i governatori, e ricorda con orrore nella sua provincia di Bari inviato come governatore Mariano Englen, che come cognato di Ajossa vi fu altra volta intendente () Critica pure l’altro governatore venutovi da Aquila (Federico Papa) che qualifica di Bascià a 3 code, e dice che a 18 del passato febbraro mise subito in libertà 28 facinorosi che in Bitonto aveano tumultuato assalendo le case dei benestanti, che di poi gridarono abbasso al municipio ed alla guardia nazionale, che li avea arrestati ed ora predominano colà: E quindi soggiunge: — Altra piaga è la disfatta delle finanze. Eppure, o signori, sotto i Borboni pagavamo gli stessi e forse minori pesi, che paghiamo adesso. I Borboni mantenevano un armata di centoventimila nomini un mezzo milione di spie, ponevano fondi in tutti i banchi all’estero dotavano largamente la, numerosa figliolanza, e tuttavia il tesoro era fiorente. Ma perché? perché le leggi in tal qual modo si osservavano; perché prima rendita delle finanze erano le Dogane. Ma invalse. il sistema di voler abrogare le leggi, che presso noi erano ottime, benché tristi quelli che ponevano mano ad esse: ed ora il contrabbando si fa in Dogana, ed è fallita perfettamente la rendita dei Dazi Indiretti. Parlando del mio paese (Terra di Bari) che è uno de’ più commercianti: il mio solo paese in quella provincia dava all’incirca 120 mila ducati l’anno al Governo: ora da ottobre non ha dato un obolo, e questo perché? Per tenere una caterva infilata di impiegati inutili, demoralizzati, i quali meriterebbero se non altro, una traslocazione, che par frutterebbe qualche cosa pel tempo necessario ad acquistare nuove relazioni…

«Pane e lavoro! il ventre non patisce dilazioni, il popolo non si satolla colle parole, perché la fame è reale per la mancanza di ricolto di 4 o 5 anni…

«Ricordateti o Signori, di far bene, ricordatevi che simbolo del nostro ex reame è un cavallo sfrenato; ma con un cavallo indomabile… e se nulla avremo fatto di positivo, ricordiamoci che sopra di noi peserà il ghigno del nemico lo scherno d’Europa, il rimprovero de’ nostri elettori, il pianto eterno dell’Italia, la maledizione di Dio.»

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Tornata de’ 4 aprile 1861. (n. 53 degli atti.)

Il deputato Ferrari intende continuare la discussione su le cose di Napoli, che stando addetti dei ministero avrebbero potato credersi rimediate; ma invece «alcune voci del mezzodì protestano in modo concitato contro quelli pretesa tranquillità; ed egli (il deputato) si è veduto in mezzo alla realtà de’ dolori d’Italia.» Insiste per una inchiesta parlamentare la situazione del cessato regno de’ Borboni. Critica amaramente il Ministero per non aver saputo, o voluto fare nulla di buono, anche dopo cessati i dittatori, i prodittatori, i tribuni, i volontarj, e di non aver avuto l’abilità di accattivarsi l’amore del popolo. E si fa poi a dire: «Nelle vie stesse di Napoli i ladri fanno fuoco contro la Guardia nazionale nel quartiere Montecalvario; il procaccio per Cusenza è assalito; numerosi assassini attristano le floride città della Sicilia; la. sicurezza pubblica trovasi minacciata; il vostro governo è così impotente, o ministri, che il brigantaggio pesa oramai come un potere dello Stato. E di lotto,ciò a chi la colpa? Havvi di più. A Napoli, ed a Palermo le dimostrazioni si succedono ad ogni tratto; saranno forse colpevoli, ma sono reclami; avranno forse torto, ma esse ci mostrano il Governo separato dal popolo, avaro di provvide misure, non seguito dalla folla, non amato dalle moltitudini. A’ 27marzo poteasi amichevolmente congedare una dimostrazione di marinai a Palermo; ma quella di Napoli (di cui parlò jeri il deputato Miceli) de’ 100 garibaldini tumultuanti, che aveano atteso tutto un giorno dalle 9 del mattino alle 3 pomeridiane. per avere on soccorso, e che affamati, furono respinti con le bajonette, voi dite, che la reprimeste, e conculcaste, perché tal era il vostro diritto, la vostra legge. Ma se invece di 100 fossero insorti 500; e se invece di 5 fossero stati 150 i feriti, il trionfo sarebbe rimasto alla legge ma questa sarebbe odiata. Che se progredite in questo modo, a capo di pochi mesi, che cosa diventerà il regno?…

«Non parlerò delle finanze; nulla aggiungerò a quanto disse l’onorevole Valenti sul contrabbando riorganizzato, su la cessazione degl’introiti de’ dazii. Ma qui l’impaziente vostra Signoria non scorgasi forse colpevole? Il giorno in cui Garibaldi giungeva in Napoli non era forse la rendita pubblica al 112; mentre adesso tocca appena l’80?

«Esaminiamo i disordini della stampa. I giornali di Napoli accusano uomini onorevolissimi di aver dite lapidate le finanze del cessato regno: al leggerli ti direbbe, che gli nomini i più amici del Ministero nono stati i più infedeli alla più volgare legge dell’onere… Ma,o signori, l’anno scorso le stesse accade di dilapidazioni, di forti, accuse ignobili, accuse infami, non erano prodotte qui contro i più fidi amici di Garibaldi? E da chi? Da’ giornali officiosi, e direi quasi ministeriali, se potessi supporre simili complicità tra il ministero, e giornalisti troppo screditati… Scusavasi il ministro Minghetti adducendo che esageravansi le critiche, che si calunniavano i suoi governatori, che il false pervertiva il vero stesso de’ reclami. Il falso? la calunnia? E non sapete voi, che la calunnia stessa è un arma contro un Governo, odiato?

«Ma quali provvedimenti proponete voi a rassicurare i rappresentanti del. mezzodì? Ci fate sapere che la Luogotenenza avrà 4 Segretari dipendenti dal Ministero. Che m’importa che vi sieno 4, o 10 Segretari? Dipendenti da Nigra, o da Minghetti, la responsabilità, la politica, non è forse la vostra? I vostri luogotenenti non son forse i vostri amici, o, come il sig. Farini, una parte di voi stessi? Non voglio né pur seguirvi quando mi parlate o di telegrafi rinnovati o di codici poco stimati o di particolari amministrativi messi innanzi. Una sola parola mi scosse, e mi punse quasi fosse uno strale, e fu quando intesi il Ministero assicurare, promettere, che manderebbe buoni gendarmi nel mezzodì; che stava preparando ottimi allievi, che un’imponente forza militare già occupa a Foggia a Sora ecc… E che, signori, promettete bajonette da Torino all’antico regno di Napoli?

«A qual fine? Per fare la polizia? Ma non v’accorgete dello enorme vostro controsenso? La bassa Italia si dà, si offre a Vittorio Emmanuele, si sottomette con voto unanime, e credete che abbia bisogno di Gendarmi spediti dal Piemonte? Ogni paese, che non sia artificialmente scompigliato dalla mala direzione del Governo, possiede in sé i mezzi per fare la propria polizia. lo temo, che a vostra insaputa voi volete fare la guerra all’antico regno di Napoli, proteggendo impiegati antipatici, inviando governatori poco graditi, e confidandovi in truppe, il cui numero non supplirà mai all’affezione del popolo. E il mio timore si aggrava quando considero le condizioni storiche delle due Sicilie, la cui tradizione si spinge assai più lungi nella notte de’ secoli, che non giunga la Real Casa di Savoia. Più secoli prima di Bertoldo il mezzodì formava un sistema separato co’ suoi Duchi longobardi frammisti a bizantini. Poi i Normanni formavano il regno quando i conti di Savoja appena avevano un nome. Poi sotto Carlo d’Angiò rigeneravasi il mezzodì, sottoposto al nuovo centro di Napoli. E Napoli regnava poi su le due Sicilie, come Parigi su la Frante eia, e riproduceva ‘passo passo tutta la istoria della centralizzazione Parigina, e, come la capitale francese, aveva le sue guerre contro le provincie, la sue vittorie nefaste, i suoi sanguinosi trofei; ed in una parola, è dessa ancora la terza Capitale d’Europa… Io avrei desiderato, che le due Sicilie sì dessero con riflessione, con maturità di consiglio, che l’annessione fosse differita, e che voi foste ora innocenti di tutti i mali… Le nostre leggi sono provvisorie, le nostre annessioni recentissime: nello spazio di soli due anni lo Statuto è stato violato, nel 1859 da pieni poteri consentiti al Ministero; e nel 1860 dalla riduzione subitanea che diminuì della metà il numero de’ deputati…

«Ora in mezzo a tali incertezze, se ci giungesse una disgrazia nelle provincie meridionali, quale sarebbe la nostra sorte?

«L’antica Italia ebbe due regni: quello delle due Sicilie, e il regno del Nord. Nello stesso modo, che molte nazioni si sono formate coll’antagonismo e che per esempio la Germania emerge dalla lotta fra Berlino, e Vienna, e la Grecia antica dalla guerra fra Sparta, ed Atene, noi siamo stati organizzati colla opposizione di due regni egualmente uniti contro il nemico esterno, benché dissidenti nelle cose interne. Nessuno negherà, né che i due regni abbiano esistito; né che la diplomazia abbiali riconosciuti. da secoli; né che abbiano essi combaciato per la nazione nei nostri stessi tempi, quando nel 1814 i due nostri re sbarcarono l’uno dalla Sicilia, l’altro dalla Sardegna, per riacquistare il continente italiano.

Dopo aver vagato in altre ipotetiche asserzioni, conchiude il Deputato Ferrari proponendo una inchiesta parlamentare su l’anarchia attuale delle due Sicilie che tutti concordano a riconoscere.

Parla in risposta il deputato Scialoja, sostenendo gli atti del governo in Napoli, e tra l’altro fa osservare.

«Una delle principali condizioni per compiere la riforma del personale degl’impiegati è quella di aver sufficiente tempo per farla. Or la Camera sa e si ricorda, che dopo il 7 settembre vi furono in Napoli 4 mutamenti nel governo locale. Il 1.° ministero dittatoriale, di cui io facevo parte, rimase venti giorni al potere, il 2.° quarantadue giorni; il 1.° consigliò di Luogotenenza 60 giorni, ed il 2.° sessantaquattro, o 65 giorni.»

In seguito ha presa la parola il Deputato Petruccelli (di Moliterno in Basilicata) è trattando della stessa materia, quando si è versato sui bisogni del popolo di avere lavoro e pane, non ha potuto disconvenire (benché nemico acerrimo della Dinastia Borbonica) , che «la beneficenza pubblica possiede tre milioni e mezzo di ducati; che vi sono casse di sussidio, le quali, oltre le elemosine hanno capitali per centottantamila ducati; e che vi seno 1121 monti frumentari, pel valore di cinquecento settantaquattromila quattrocento ottantaquattro ducati () … Ma la sicurezza pubblica non esiste, perché que’ carabinieri, che si stanno qui istruendo e (come diceva il ministro Minghetti) non sono colà a tutelarla. Se dunque si domandavano armi era per difendere la tranquillità, la casa, la famiglia; era perché il proprietario non poteva uscire dalla sua casa e recarsi alla campagna, senza essere assaltato, violentato da ladri e dai banditi… Nelle provincie napolitane vi sono dieci milioni di moggia di pubblico demanio. Sapete voi quanto ne resta? Al governo resta una rendita di seicento trentasettemila ducati, pari a lire (2,770,0$0) A che è ridotto oggi quel pubblico demanio? Vi basti questa esempio. — Il demanio della Sila in Calabria, nel 1791 contava trentacinquemila moggia di terre: nel 1842, epoca dell’ultima statistica, è ridotto a cinquemila moggia. Il governo Borbonico ne ha venduto qualche poco, ma la massima parte è stata occupata da convicini possidenti. Or questo popolo non vuole già la restituzione del Demanio per ripartirselo; ma vuole che lo si restituisca a’ comuni, appartenendo a quali, il popolo, che nulla possiede, che è proletario, avrà dove tagliar legna, d’inverno per riscaldarsi, dove condurre il bestiame al pascolo.»

E lo stesso deputato Petruccelli continuando a scagliarsi contro il governo luogotenenziale, di cui reclama l’abolizione, conchiude così:

«I Borboni avevano una legge organica amministrativa, che fissava la cifra degl’impiegati. Questa cifra è stata da voi enormemente superata. Gl’impiegati si sono elevati al di là di sessantaquattromila! II ministero ha d’altronde l’obbligo di ridurre gl’impiegati di una provincia; perocché l’ex reame altro ora non è, altro non deve essere, che una provincia ()

Sorge indi a parlare sempre su lo stesso proposito il Deputato Nicolucci; e nota tra le cagioni del malcontento, che in varii luoghi non si son voluti ricevere i nuovi governatori, e magistrati, perché in essi il popolo non vedeva i veri rappresentanti della pubblica opinione, ma gli uomini bassamente prostituiti all’attuale dispotismo. Ed aggiunge: — «L’altra cagione del malcontento è stata la intempestiva pubblicazione di tante leggi, regolamenti organici, che hanno gettata la confusione e lo scompiglio in tutti i rami della pubblica amministrazione. Ognuno che afferrava un portafoglio stimava suo debito erigersi a legislatore; e tanto meglio parevagli aver adempiuto al suo uffizio, quanto magre giare fosse stato il numero delle sue innovazioni… Io non so con quanto senno, politico abbia potuto il Governo gittare questo pomo di discordia, il quale non può fare a meno di non accrescere il numero de’ malcontenti, e de’ nemici delle nostre istituzioni…

«La 3.a causa del malcontento, le la più grave, è quella, di non essersi provveduto alla sicurezza pubblica… La reazione, ed ora il brigantaggio scorrazza in molti paesi: le vie sono mal sicure, i traffici impediti; la guardia nazionale delle provincie pressoché disarmata: — «Indi esso deputato raccomanda al ministro di far continuare a tutelare il confine del regno verso gli Stati Pontifici dalle truppe regolari piemontesi; le quali, ove abbandonassero quella linea, egli dice: — tutto il confine sarebbe in rivolta, e niuno potrebbe assicurare qual è il limite dove essa si arresterebbe» — Opina per la continuazione della Luogotenenza per varie ragioni, una delle quali è per un riguarda di convenienza a Napoli «che priva del potere centrale, essa città di mezzo milione d’abitatori, la prima della penisola, sarebbe ridotta alla condizione di meschina capitale di provincia, e perderebbe ogni prestigio di. metropoli dell’ex regno delle Due Sicilie».

E nel conchiudere dice: — «Signori, l’agitazione regna nelle provincie napoletane. Vi sono varii partiti a fronte l’uno dell’altro. Vi è il partito de’ decaduti, che soffia nel fuoco, ed accresce il malcontento. Vi è il partito de’ pretendenti, che si sforza di disunire gli animi, carezzare il concetto, dell’autonomia locale, screditare l’autorità governativa, e dimostrarla incapace a reggere quei popoli».

Posteriormente viene il deputato siciliano Bruno, che parla de’ mali della Sicilia con molta deferenza verso la prodittatura, e verso il ministero. — E propone spedirsi spese del Governo a colonizzare l’isola di Lampedusa coloro, che han servito la polizia borbonica, i quali per una svista della prodittatura han continuato a percepire i soldi. — Dice, che il prodittatore Mordini per dissensioni cogli uomini, al potere dové telegrafare a Napoli, e dire, ivi al Re «io non posso tenere una sol ora la posizione; se Vostra Maestà non può arrivare, mandi persona a surrogarmi». — Passa poi a parlare delle intemperanti nomine d’impiegati, de’ quali se ne veggono 45 nella sola redazione della gazzetta officiale di Palermo; mentre per quella di Torino ve ne sono soli 4 e fa avvertire che mentre il governo dittatoriale nominava agl’impieghi soltanto provvisoriamente ed in modo da non dare diritto a nuovi impieghi, i ministri di Torino invece rispettando alla rinfusa tutto il già fatto, offendono la giustizia, e legano al paese una eredità di pesi, che dovrà pagare per la semplice voglia di non fare giustizia» — Confessa, che il deficit, che presenta attualmente la Sicilia, senza contribuire per l’esercito, ma solo per sopperire alle spese di un amministrazione così inviluppata, ascende a 40 milioni di franchi ed esclama: — «Or possiamo dire a queste popolo Siciliano, paga nuove imposte, perché gli uomini, ché ti dichiararono liberato jeri, che ti dissero volerti ajutare, questi uomini debbono aver tutti una pensione vitalizia?» Poi dice, che in Sicilia non vi erano i Ministeri di guerra, della marina, e degli affari esteri e vennero creati, pubblicandosene gli organici allorché si proclamava il plebiscito; dopo compiuto il plebiscito si pubblicarono i nomi degl’impiegati () Accenna l’altro abuso, che a’ carabinieri sardi fu data la paga di campagna e sempre continuata, benché finita ogni guerra, ed anche dopo la venuta di Vittorio Emmanuele. — Censura la legge prodittatoriale (fatta in grazia del municipio palermitano) di doversi pagare dallo Stato tutti i debiti de’ comuni. Osserva che con la rivoluzione la Sicilia avrebbe a godere l’economia di due milioni, cessando l’obbligo di versare a Napoli il contingente delle sue spese; e pure, le sue finanze sono in rovina. L’organico della Questura di Palermo è quadruplicato a fronte di quella di Torino. —Fin dal tempo de’ Borboni si era deciso un bacino di carenaggio molto utile pel porto di Palermo; e non ne han preso cura né il governo dittatoriale, né quello di Torino.

Loda la istituzione tutta liberale delle Compagnie d’armi, mantenuta da’ Borboni perché essenzialmente utile, risponsabile effettualmente di ogni attentato alla, proprietà. Avendo ora mutato il nome di militi a cavallo, propone, che dietro maturo esame del Parlamento si deliberi se convenga distruggerla, o conservarla— La Sicilia, sotto i Borboni (che l’oratore si sforza sempre a dire non amati) offri per molti anni l’edificante spettacolo, che furti non ne succedevano assolutamente, e si poteva passeggiare per tutte le strade, ed a tutte le ore, senza la menoma paura di essere aggrediti, né derubati.

Parla l’altro deputato siciliano Bertolami, e deplora del pari la totale mancanza di pubblica sicurezza in Sicilia. Imputa al governo di Torino (benché gli si professi amico) di non aver saputo affrontare le difficoltà dell’isola, ed aver preferito transigere con esse; passando da transazione in transazione e da debolezza in debolezza; cosicché oggi, fatto doloroso, ma pur troppo da tutti ripetuto… !, il Governo del Re è esautorato in Sicilia. Conchiude desiderando, che le leggi fossero religiosamente eseguite in Sicilia, e che il ministro de’ lavori. pubblici ponga fine alle incredibili miserie in cui geme il paese, facendo eseguire opere.

A confutazione di altro discorso del deputato Paternostro sorge il deputato Amari, che difende il governo, ma confessa essere stato atto improvvido quello di Garibaldi di abolire il dazio sul macinato, e la carta bollata. Le quali imposte formavano la metà delle entrate dello Stato,. al quale inconveniente ai aggiunge quello delle cresciute spese pel maggior numero degl’impiegati, su le cui nomine domanda una inchiesta.

Trattando delle finanze, chiede al presidente de’ ministri, che si faccia dar conto in Napoli dall’ex generale Lanza de’ seicentomila ducati in moneta sonante, che prese dal tesoro di Sicilia, asserendo doverli versare al tesoro di Napoli. Confessa che in tre mesi si sono pagati per soli congedi a’ garibaldini tre o quattro milioni di lire al mese ()

Tornata de’ 6 Aprile (n. 59 degli atti)

Nel seguito della discussione su le interpellanze intorno alle cose di Napoli e Sicilia, il deputato Crispi allo annunzio di essersi mandato come Luogotenente in Sicilia, riunendo poteri civili e militari, il generale della Rovere, se ne mostra dispiaciuto, e dice, che ai 2 gennaio prossimo passalo poco mancò, che non si fosse venuto ad una catastrofe in Palermo… «Io non posso dimenticare, e credo, che il ministro non l’abbia dimenticato, risultar chiarissimo dalla discussione seguita in questi ultimi giorni, che in 4 mesi il ministero non ha saputo organizzare quelle provincie; non ha saputo nemmeno procacciarsi quell’amore, che è necessario si procacci un governo».

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 Tornata de’ 15 Aprile (n. 69 degli Atti.)

Il deputato Siciliano Musumeci, opponendosi alla proposta fatta dell’altro deputato suo compatriota Corleo per le enfiteusi perpetue redimibili de’ beni fondi ecclesiastici, e demaniali di Sicilia, fra de’ altre preposizioni, dice cosi: —«Io reputo necessario l’intervento del potere esecutivo per tutelare interessi gravissimi della nazione. Noi in ciò, o Signori, abbiamo avuta buona esperienza. In Sicilia, sotto i Borboni avevamo alla testa del governo degli uomini, che in quanto a idee politiche discordavano da noi; però nella parte pratica dell’amministrazione, nella vendita de’ beni del Demanio, e de’ Luoghi Pii ci resero, per parecchi anni grandi servizii; dapoiché i beni della pubblica Beneficenza sono stati ben venduti, caramente venduti».

Nella stessa tornata il deputato Caso nel proporre una legge per (a sospensione del decreto luogotenenziale napoletano de’ 17 febbraro, che arbitrariamente dà una nuova circoscrizione alla provincia di Benevento, si esprime cosi: — «Non è mai opportuno di spostare e di offendere gl’interessi secolari di oltre due milioni con una nuova circoscrizione territoriale, in paese, come Napoli, agitato, da tanti rancori. È massima di buon governo, di andare a rilento in siffatta materia, anche quando le popolazioni si mostrassero soddisfatte Ma vi sono reclami di moltissimi comuni, e cittadini avverso l’arbitraria circoscrizione, che ingenera massimo. malcontento in 5 antiche provincie tagliate in tutti i sensi dalla legge dei 17 febbraro per dar territorio a Benevento… Lascio di enumerare i serii inconvenienti, di cui son minacciate le provincie di Molise, Avellino, Capitanata, Salerno, nel caso, che tale legge si attui. Mi limito brevemente a quelli che possono avverarsi nel mio circondario di Piedimonte, che da 44 comuni con 108mila anime, verrebbe a perdere 20 comuni e 60 mila anime… E tatto ciò si esegue, senza tenersi presente l’elemento topografico, guida principale negli scompartimenti territoriali…; senza sentirsi i comuni interessati… ()

Appoggiando l’anzidetta mozione l’altro deputato Amicarelli (della provincie di Molise) , e censurando il decreto luogotenenziale dei 17 febbraio dice: «quando e si comincia ad operare con illegalità, non è da meravigliare che si seguiti con arbitrio.

Nello stesso senso parlano anche gli altri deputati di Terra di Lavoro, sigg. Cardente e Napolitano, accennando che numerose deputazioni delle provincie pregiudicate sono corse in Napoli dal Luogotenente a farne alti risentimenti.

Nella tornata stessa coglie il destro il deputato Pica, per dirsi profondamente addolorato contro il ministro dell’Interno che non ha fatto conoscere quali provvedimenti il Governo abbia preso per reprimere la reazione, che da ogni parte si manifesta nelle provincie meridionali;… e perché senz’altro indugio si sospenda la esecuzione di una di quelle tante leggi (quella della nuova circoscrizione beneventana) che sono state improvvidamente regalate alle provincie meridionali; leggi, che hanno scosso gli animi di quei paesi…, i quali chiedono un governo onesto, giusto, e che non cangi improvvisamente le buone leggi, che quelle provincie già avevano».

Tornata dei 16 Aprile (atti n. 62.)

Discutendosi su la legge della nuova intestazione di Re d’Italia, da assumere il ‘re Vittorio Emmanuele, il deputato Petruccelli si permette eccedere in proposizioni irriverenti contro la formola «per la grazia di Dio», e tali da far sospettare su la sua religione. Né della politica egli fa maggior conto, perocché dice che «la politica vive di spedienti, di perfidie, di violenze, di violazioni».

Basterebbe questo discorso del Petruccelli per far definire in Europa quale sia b spirito predominante del primo parlamento italiano.

Tornata dei 18 aprile, (n. 75, degli atti)

Il deputato Ricasoli muove interpellanza, su lo scioglimento delle masse garibaldine. Rispondendo categoricamente il ministro della guerra, ha occasione di versarsi sul disciolto esercito borbonico, e sol sistema tenuto nel. liquidare i gradi od anzianità degli uffiziali; emette giudizii erronei sul merito, dello stesso esercito, secondo le calunnie de’ partiti; ma nel suo discorso sono notevoli le seguenti cose. — «È d’uopo premettere, che Re Francesco, dal maggio al 7 settembre. 1860 fece molte promozioni, e ne risultò che la maggior parte degli uffiziali ottennero in tale: periodo fino a due gradi; — che al 7 settembre varii ufficiali rimasero in Napoli facendo adesione al governo dittatoriale; ma questi non erano che individui, la vera armata si concentrò sul Volturno, ed è quella che resisteva ai volontari davanti Capua… E dico questo per ribattere l’asserzione di certi ufficiali di quell’armata di terra rimasti in Napoli, i quali pretenderebbero esser trattati come gli ufficiali della marina napolitana, che si diedero corpo ed anima al nuovo Governo. Altri fra gli ufficiali di terra, rimasti in Napoli che si ebbero i due gradi dal Borbone, ed uno dal Dittatore, pretenderebbero conservare i tre gradi avuti in pochi mesi, ed essere cosi ammessi nell’esercito nazionale… Essi vi dicono, che hanno consegnato alla nazione (si legga rivoluzione) gli arsenali… Finalmente la vera massa degli ufficiali, quelli cioè che resistettero fino all’ultimo, vi dicono: noi pure siamo figli di questa terra… Mestando fedeli al Be, seguitando la. sola bandiera, che conoscevamo da che eravamo nati, abbiamo servito così un governo nazionale riconosciuto in tutta Europa; abbiamo intrapresa una carriera sotto l’egida delle leggi, che c’imponevano obblighi e diritti ()

Continua poi a dar conto del modo come ha creduto rifondere, e riformare l’intero esercito; e come di sessanta generali napolitani, soltanto sei abbiano preso servizio pel Piemonte, cioè, Negri, Polizzi d’artiglieria; Gonzales, e Sponzilli del genio; Pianelli, e il duca di Mignano (movimenti su varii banchi al nome di queste ultimo) che tolte le dimissioni (dice il ministro) «prima che le provincie napolitane fossero in rivolta, venne a Torino, fece ossequio di sudditanza a Vittorio Emmanuele, adempì lealmente ad una missioni che gli fu affidata, e fu in seguito riconosciuto nell’arma… per dare schiarimenti su l’organismo militare dell’esercito borbonico».

In questa tornata succede il clamoroso diverbio tra Garibaldi e Cavour su lo scioglimento del corpo dei volontari del primo; per cui il presidente si covre atteso il gran tumulto, e la seduta resta sospesa per un quarto d’ora ()

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Tornata del 20 aprile (n. 80 degli atti)

Il deputato Conforti nella continuazione della discussione su le interpellanze pe’ volontarii garibaldini, tra le altre cose, dice: — «Il giorno, in cui partiva Garibaldi co’ mille commilitoni, tutti gli animi erano costernati pensando a’ gravi pericoli, a cui que’ prodi andavano incontro. In quel giorno stesso io mi abbattei in un ufficiale superiore molto dotto nell’arte della guerra; naturalmente il discorso cadde su la famosa spedizione. Sapete voi che cosa mi disse quell’uffiziale? Mi disse: l’impresa che ha assunta Garibaldi è una impresa impossibile. Esso, ed i suoi commilitoni, o saranno sommerai nel mare, o saranno moschettati in su la riva (sensazione) ()

Nella stessa tornata il deputato Crispi redarguisce il ministro della guerra, che nella tornata di jeri enunciò aver preso servizio pel Piemonte soli sei de’ 60 generali napolitani, e dice cosi: — «Leggendo la gazzetta io trovo che il numero è maggiore. Egli ha scordato niente meno i Sigg. Marra e Barbalonga. Forse lo fece per quella stessa delicatezza, con la quale esitava nominare il duca di Mignano col suo nome storico di Nunziante. — La storia de’ Sigg. Marra, e Barbalonga non è delle più splendide. Il 2.° fu indicato come il successore di Maniscalco in Sicilia; e il 1° fu quell’individuo; che in Calabria abbandonò al momento del pericolo le truppe che comandava, e se ne corse a Napoli: così che il ministro Pianelli dové metterlo sotto giudizio, non perché il suo subordinato avesse amata la libertà; ma perché non aveva fatto il suo dovere di soldato». Continua la censura sul duca di Mignano.

Nella stessa tornata parla Garibaldi per l’armamento della nazione, e si dichiara insoddisfatto delle risposte dategli sull’assunto del presidente Cavour, e dice io lo so da’ giornali, e da conosciuti che vengono d’oltre Po, e d’oltre Mincio, che gli Austriaci ingrossano: tutti quelli, che vengono dalle provincie meridionali non, parla no, che di reazione, di governo provvisorio a Melfi, e cose simili, e non rapisco poi come si tema tanto di spaventare coll’armamento i potenti vicini»…

Tornata de’ 24 aprile (n. 86)

Su la proposta del deputato Mamiani di votarsi una lode alle guardie nazionali di Napoli, e Sicilia per l’ardore col quale perseguitano i reazionarii, il deputato Pica osserva: «Lo stato di quelle provincie non è ora in alcun modo soddisfacente: esse hanno bisogno di un governo forte, di un governo vigile, di un governo che voglia la giustizia, e la voglia imparzialmente per tutti; di un governo, che secondi le buone intenzioni della massa del popolo, e persuada tutti che il governo di Vittorio Emmanuele è leale, o riparatore.»

Al deputato Bixio che vorrebbe far credere non essere cotanto estese le reazioni, risponde il deputato napoletano Del Drago, e dice: — «Sì, o Signori, io vorrei, che esse non fossero vere; io vorrei anche dissimularle, ma sventuratamente esse esistono, ed al di là di quello che se n’è parlato nella Camera.» —

AI proposito il deputato Brofferio osserva «che le reazioni nascono da torti del Governo, e dalle disposizioni omesse dal parlamento» — Anziché discutere di guardie nazionali, e mandare complimenti, sarebbe meglio, che il parlamento volesse pensare seriamente, francamente a scongiurare i pericoli, che ci sovrastano nello interno, e nell’estero. — La condizione in cui si trova da alcuni giorni il paese richiede tutta la nostra più attenta sollecitudine. Furono pronunziate minacce, le quali portarono il turbamento nell’animo di tutti (mormorio) — Si, il turbamento, a meno che si voglia che, come in Ispagna, comincino per rovina d’Italia gli scandali de’ pronunciamenti militari.»

(Il conte Cavour interrompe con calore facendo notare che le parole di Brofferio non sono, né di conciliazione, né di pace.)

Il deputato Brofferio continua: — «Signori, mi sembra che voler cuoprire sotto le ceneri il fuoco che vuol divampare non sia la miglior maniera di prevenire l’incendio. Per ispegnere i carboni ardenti, bisogna scoprirli, e conoscerne la intensità per affrettarne i provvedimenti. Volete voi attendere a combattere l’incendio quando sia in fiamme la casa? — Io non accuso il Governo se egli sia complice di ciò che accade; né posso affermare, né contendere: si saprà in breve il vero — Io invito il governo a provvedere, che non nascano inconvenienti maggiori, ed invito il Parlamento a non sonnacchiare, perché non fu mai necessiti di vigilar tanto».

Nella stessa tornata il deputato Pica (abruzzese) interpella il ministro dell’interno su gli ultimi fatti dell’ex regno di Napoli, e dice, tra l’altro «che gli uomini quivi preposti al governo sono assolutamente degli enti invisibili; poiché non si può giungere fino ad essi, e non è permesso né pure di accostarsi a’ locali destinati al segretariato. generale, essendone chiusi i cancelli, e questi custoditi da carabinieri, di modo che, né il ministro segretario di Luogotenenza, né i segretarii generali, né gl’impiegati possono vedersi, ed ogni comunicazione è rotta tra quelle popolazioni, e gli uomini che debbono governare. Non vi è quindi altro mezzo per sapere alcuna cosa, che rivolgersi qui al ministro, e chiedere que’ schiarimenti, che colà non si possono ottenere () Chiederei conoscere quali provvedimenti il Governo abbia adotta per assicurare la imparziale punizione di tutti i colpevoli, ed amerei conoscere se i tribunali criminali adempiano a’ loro doveri con quell’alacrità e fermezza, che le circostanze impongono; — e quali disposizioni si proponga adottare per eliminare le cagioni che hanno sostenuto il malcontento delle provincie meridionali, e provocati i tristi fatti recentemente avvenuti, e che di tristissime nubi coprono quel cielo… Si ricordi il ministro che quelle provincie sono da oltre otto mesi in uno stato deplorabile, che que popoli appartengono all’Italia meridionale, dove le passioni sono vive.»

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Tornata de’ 26 aprile (n. 92 degli atti)

Sa la proposta dei deputato Musolino (di Calabria) per l’abolizione del privilegio delle tonnaie nelle provincie meridionali, il deputato Siciliano D’Ondes Reggio si oppone qualificandola d’ingiusta, e dice: — «Per giustizia, e civile prudenza chieggo, che la proposta venga rigettata assolutamente. — Fa d’uopo che apertamente noi dichiariamo di voler porre un termine a proposte, che mirano a manomettere ora una specie di proprietà, ed ora un’altra, ora sotto un aspetto, ed ora sotto un altro. Sì, assai sovente si fanno proposte contro la proprietà, la cui sicurezza ed inviolabilità è fulcro primario della civiltà d’un popolo.»

Il deputato Musolino () indispettito nel vedere che la sua proposta và ad essere reietta, dice — «se avevate timore di toccare la proprietà, non dovevate spogliare de’ loro beni tanti ordini religiosi; non dovevate abolire gli ultimi residui de’ vincoli feudali in Lombardia… Ora siete in contraddizione con voi stessi: giacché erano quelli gli articoli, che potevano avere l’aria d’una spoliazione, non la soppressione d’un diritto abusivo di pesca.»

Tornata de’ 29 aprile (n. 97 degli atti)

Su la petizione del sindaco del comune di Teano in Terra di Lavoro, e di altri due sindaci di Vairano, e Calvi (che compongono il circondario) che rifiutano il percettore di fondiaria inviatogli dal nuovo governo luogotenenziale, e persistono a ritenere i rispettivi esattori comunali di loro scelta, parla in appoggio il loro compatriota Deputato Felice Cardente, e tra l’altro dice: — «Da tempo remoto nello intero circondario di Teano esigevasi il tributo fondiario dai rispettivi esattori comunali, siccome avviene in moltissimi altri luoghi dell’ex regno di Napoli — Or tutt’ad un tratto senza esserne per nulla interpellati, siccome era legge ed antica consuetudine rispettata sempre dai Borboni, i rispettivi Municipii, si vide inopinatamente nominato ivi un Regio Percettore… Ma il nome di questo non suona egualmente, che l’altro di Esattore all’orecchio di quelle popolazioni… Fo da ultimo osservare che nel cessato Governo in quelle provincie non osavasi da un ministro, che faceva pur l’assoluto nel suo ramo, nominare un novello percettore in un mandamento (o circondario) , senza riscuoterne il debito antecedente avviso dalle rispettive rappresentanze de’ Comuni; non sa concepirsi poi come sotto un governo luogotenenziale di Napoli, che rappresentava pur le franchigie costituzionali, si abbia potuto oltrepassare cosi i limiti stessi dello arbitrario.»

Nella stessa tornata si propone la petizione n. 6889, di 29 cittadini di Caserta, che chiedono essere indennizzati de’ rilevanti danni loro, cagionati dalle truppe Garibaldine nelle città, e villaggi, 1.° per alloggi militari; 2.° per taglio d’alberi; 3.° per requisizione di commestibili, e combustibili; 4.° per altri danni cagionati. — La Commissione propone, e la camera approva, che questa petizione sia rinviata agli archivi. ()

Tornata de’ 30 aprile (n. 98 atti)

Il deputato Mayr interpellando il ministro di giustizia su nuovi codici da elaborarsi, dice: «Nelle provincie annesse, dove fu pubblicato il Codice Sardo, non ha trovato buona accoglienza, né per parte delle curie, né per parte delle popolazioni: se ne trovano i metodi lunghissimi, intralciati, dispendiosissimi non sempre conformi a’ principiò d’una pronta e spedita amministrazione della giustizia… Nelle provincie annesse, le leggi Sarde sono state innestate alle leggi ivi preesistenti; e da questo innesto non si ebbero buoni frutti. Le popolazioni sopportano con impazienza questo stato anormale ed ibrido) , di legislazione, ma lo sopportano, perché lo credono provvisorio, desiderano al più presto sortirne.»

Nella stessa tornata il presidente del Consiglio Cavour, osserva che su tante vaghe discussioni si è perduto il tempo: — il Parlamento (egli dice) si è aperto il 18 febbraro; — domani siamo al 1.° maggio, e non si è ancor votata una legge di qualche importanza! È nello interesse del paese e del parlamento che finalmente si metta mano a’ lavori serii. ()

Il deputato Mirabelli parlando sul nuovo organico giudiziario, dice: — «la magistratura napoletana, tranne pochissime eccezioni, è una magistratura, la quale per moralità e per capacità non è. inferiore ad alcuna delle magistrature di Europa… La legge organica giudiziaria pubblicata ora nelle provincie meridionali, mentre stabilisce le stesse autorità, non fa che immutare i nomi, rispettando le identiche attribuzioni che aveano precedentemente.»

Anche il deputato Pica sul proposito osserva:— «sta nella mia mente, che nelle provincie meridionali nuove leggi per ora non debbano introdursi, ma invece quelle che vi stanno debbano essere saldamente eseguite.»

Parimenti il deputato Conforti fa gli elogi dell’antica legislazione penale napolitana, e dice, che nello stesso codice penale sardo si sono introdotti molti miglioramenti, che sono stati tolti dal Còdice napolitano, il quale era stato l’opera di sommi giureconsulti: — né questo dee far meraviglia: dapoiché Napoli è la patria di Vico, di Pagano, e di Filangieri… L’antico codice criminale del Piemonte conteneva 150 casi di pena capitale, e soltanto ultimamente (nel tempo de’ pieni poteri) egli è stato riveduto, e tale pena è stata ridotta per soli 20 casi.».

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Tornata del 2 maggio (n. 103 degli atti)

Il deputato napoletano Del Drago chiede, onde voglia dichiararsi di urgenza la petizione n. 7055 delle monache Clarisse di Mola di Bari, che implorano la. Sospensione del Decreta Luogotenenziale de’ 17 febbraro su la soppressione de’ conventi, ed asserendo esso deputato di essere ecclesiastico e canonico, insiste «perché infine sieno tranquillate quelle coscienze agitate dell’Italia meridionale, le quali si vedono lese ne’ loro materiali interessi, ne’ loro religiosi bisogni, e finanche negli stessi loro diritti di libertà politica».

Nella stessa tornata il deputato Castagnola facendo la relazione delle petizioni, osserva su quella del calabrese Antonio Prestera di Monteleone di essere stato destituito sotto il Governo Borbonico (non come martire politico, giusta la solita frase) ma come Contabile fraudolento di quelle prigioni circondariali, che con discapito del vitto de’ detenuti percepiva dolosamente un assegno mensile: della quale colpa sorpreso e convinto da quel sottintendente, venne non solo privato d’impiego, ma sottoposto a giudizio criminale, il cui esito fu di conservarsi gli atti in archivio. — Or il deputato Castagnola osserva così: — «In seguito, per quanto il Contabile ricorresse, ciò non ostante il Governo Borbonico non ha mai creduto riammetterlo in impiego, risultando da’ documenti di essere pur troppo immeritevole di fiducia. Se non che quest’uomo, che era stato processato pel sudetto motivo dal Governo borbonico, che non aveva voluto riammetterlo, venne invece reintegrato nella carica dal Governo nostro… D’altra parte ben si osservò, che su i giornali si levano alte grida per la corruzione, che ora esiste nelle provincie napolitane…

In seguito lo stesso deputato volendo appoggiare la petizione del Vescovo di Conversano (Puglia) per non far comprendere nella soppressione le Clarisse di S. Benedetto. dice che il vescovo stesso merità tutte le simpatie, perché sinceramente italiano, e tale si dimostrò fin dal primo apparire di Garibaldi in quelle terre.

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Tornata de’ maggio (n. 109 degli atti.)

Il deputato Cocco (abruzzese) parla contro il progetto di legge per una leva di 36 mila nomini nelle provincie di Napoli; e tra l’altro dice: — «Questa legge produrrà, se non altro, uno sbalordimento in quelle popolazioni, giusta l’avviso della minoranza della Commissione. — È facile vedere quanta costernazione produrrà ivi la sola pubblicazione di cotale legge, per le desolanti condizioni, in cui trovansi que’ paesi…, e debbo dirlo con dolore, lungi dal migliorare, sono progredite in peggio… Né conviene dir altro di queste tristi condizioni, poiché l’animo tanto più s’inasprisce, quanto più il pensiero si ferma allo stato in cui giacciono le nostre provincie, specialmente quella di Abruzzo citra, cui appartenga. — Dunque a fare in modo, che non cresca quella esasperazione, quello sbalordimento, quella costernazione, in cui si trova l’ex regno di Napoli, bisogna soprassedere e per quel dovere verso l’intera mia provincia, e per sentimento di coscienza, protesto che voterò contro la legge.

Su lo stesso tema il deputato Pica osserva tra l’altro: — «È assurdo superiormente, che s’imponga una leva di 36 mila uomini attualmente, perché una Legge futura potrà per avventura ordinarla… Pur troppo lo stato delle provincie napolitano non è soddisfacente… Ma intanto, io domando, è saggio, è prudente, quando le passioni sono ardenti, quando i partiti sono armati gli uni contro gli altri spargere a larga mano semi di malcontento?… Ciò non è, né giusto, né politico, ed io prego i Ministri a rammentare, che la giustizia e la uguaglianza è il primo dovere di ogni governo; che le provincie napoletane non sono state conquistate con la spada…

E il deputato Polsinelli sa lo stesso subbietto dice… «pretendere, che leggi piemontesi debbono cosi adattarsi alle provincie meridionali, è cosa che mi offende grandemente, e contro la quale protesto…»

«In questa Camera si nega la estensione del malumore, che esiste nelle. provincie napoletane, ma è un fatto, che esso è grande. Si sono toccati tutti gl’interessi. Le manifatture sono manomesse. Si sona toccati gl’interessi de’ luoghi ecclesiastici de’ luoghi pii, e di altri. Una gran parte della gente vivea di questi interessi…

«Non si dà tutto il peso, che merita alla situazione attuale della Italia meridionale; ma bisogna puro riconoscere, che è anormale: è una situazione molto più grave di quella che il Ministero crede. In Torino si sta sicuro, ma in Napoli si trema. Ed io tremo per due cose: tremo pe’ miei, ma più ancora tremo perché quella Italia, che si fatta una con tanti stenti, corre il pericolo di dividersi in due… I coscritti della leva presso di noi debbono essere tradotti con la forza; ma non si diede ordine a’ Sindaci, né di usarla, né di pagare la viària: non si fece niente. Chi era obbligato dalle autorità locali a partire ritornava poi subito. Essendo stati i giovani abbandonati io mezzo alla strada, ora sono con le armi in mino e bisogna combatterli. — Così si sono fatti due mali: invece di soldati abbiamo de’ briganti; ed ora bisogna mandare di qua truppa per ridurli al dovere, e tutelare la esistenza e la vita de’ cittadini, e quel ch’è più per impedire, che l’Italia non si scinda…

«La legge su la leva, adunque, non solo è inopportuna, ma è una di quelle misure, che vale maggiormente ad irritare quelle popolazioni, e forse ad indurle a fare quello, che tutti amiamo che non si faccia».

Anche il deputato Fenzi si oppone alla leva di 36 mila uomini in una sola volta, e dice… «È massimamente inopportuno l’andare a dire ad un paese, che per la prima volta è unito a noi, e nel quale si esegue una leva, che si opera una leva doppia delle leve straordinarie, che aveva fatte il Borbone. Il governò Borbonico, quando ha fatta la leva in tempo di goerra l’ha fatta di 18 mila, e noi ci presenteremo a quelle popolazioni dicendo: noi ne vogliamo trentaseimila?— Non esito a ripeterlo, io lo crederei inopportuno. Noi diciamo, imitiamo il governo passato: leviamo da tutte queste categorie ancora sottoposte alla estrazione di diciottomila uomini, come facevano i Borboni; e ciò urterà pochissimo».

(Non ostante le opposizioni; la leva è sanzionata)

‘Tornata de’ maggio (n. 113 degli atti.)

Il deputato Zanardelli parlando su la proposta di Legge abolitiva de’ vincoli feudali in Lombardia, tra le molte cose dice… «La legge napolitana su tal proposito fu fatta nel 1806, in un tempo non di rivoluzione, ma di restaurazione; in un tempo, in cui i feudi venivano restaurati in Lombardia. — E questa legge, nella patria di Vico, di Mario Pagano, e di Filangeri fu discussa lungamente nel Consiglio di Stato; questa legge fu chiamata, anche dal Colletta, argomento al mondo della napolitano civiltà».

Tornata del dì 8 maggio (n. 117 degli atti.)

Tra le petizioni, ve n’è una segnata n. 7095, con la quale il Corpo Municipale. di Napoli, e varii cittadini delle provincie di Terra di Lavoro, di Campobasso, di Salerno, chieggono, che la Camera ordini il riesame della legge de’ 17 febbraro ultimo, su l’Ordinamento giudiziario, sotto il rapporto della costituzionalità, opportunità, ed utilità. Tanto una tal legge è ritenuta come impolitica nell’ex regno di Napoli!

continua…….

fonte

https://www.eleaml.org/ne/stampa2s/1862_DURELLI_condizioni_regno_Due_Sicilie_parlamento_torino_2019.html#Tornata_de_28_febbraio_1861_n_8._Atti

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