Alta Terra di Lavoro

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CONSIDERATE NEL PARLAMENTO DI TORINO-DA’ DEPUTATI DELLE PROVINCIE MERIDIONALI (X)

Posted by on Dic 6, 2023

CONSIDERATE NEL PARLAMENTO DI TORINO-DA’ DEPUTATI DELLE PROVINCIE MERIDIONALI (X)
Tornata de’ 14 giugno (n. 189 degli atti)

Nella discussione del progetto di legge, che accorda stipendii (dalle 1000 alle 1600 lire annue) a’ Commissari militari di quattro classi, incaricati di sorvegliare nelle Leve sul personale delle reclute, il deputato napoletano Pace osserva: — 1.° di essere la istituzione de’ commissarii di leva un provvedimento di niuna utilità politica cd economica per la nazione: 2.° di non esistere una tale istituzione nell’ex regno di Napoli, dove il reclutamento si è sempre eseguito in modo più semplice e naturale, avendone la responsabilità, e l’incarico il solo Comune…

Il già disciolto esercito Borbonico, non era forse fornito a sufficienza di buoni soldati, e meglio di ogni altro d’Europa? Eppure la leva si faceva da’ Comuni, senza commissarii. I commissarii di leva sono degl’intrusi nelle prerogative municipali, e non producono che scontento, e tolgono alla Leva il carattere nazionale e popolare, che dovrebbe avere; il di loro impianto è un trovato del dispotismo, non della libertà… Le sole provincie meridionali sarebbero tassate di oltre trecentomila lire pel mantenimento di questa nuova istituzione; un capitale di circa due milioni sciupato!»

E su lo stesse soggetto parla il deputato Ricciardi, e dice tra l’altro: — «Io non posso, come Deputato delle provincie napolitane, accettare questo sistema de’ commissari salariati por la leva; poiché il sistema adottato nello ex regno di Napoli è di gran lunga migliore di quello in vigore nel Piemonte; — migliore, perché più paterno; migliore perché economico; e però non veggo il perché si debbano pagare questi commissari di leva; mentre finora da noi napoletani la leva è stata fatta con la massima facilità, e senza nessun dispendio. Nel rigettare la legge io por esprimo il voto che il governo presenti un nuovo progetto di legge, fondato non già sul suo sistema de’ commissari, bensì sul sistema della leva per cura de’ municipii, siccome si pratica nelle provincie dell’ex regno di Napoli.»

Uniformemente al preopinante parla l’altro deputato napolitano Sig. Minervini encomiando ii sistema di leva da tanti anni in vigore nel reame delle due Sicilie; e censura il nuovo sistema che si progetta, come di origine tedesca, essendo quello di Napoli eminentemente lodevole, ed in pratica efficacissimo. Ciò non ostante la Legge è approvata, con le orali spiegazioni del ministro dell’interno, che nelle provincie napolitane la leva si farà coll’antico sistema.

Tornata de’ 17 giugno (n. 198 degli alti.)

Il deputato siciliano Marchese della discussione del progetto di Legge per la sospensione dell’ordinamento giudiziario nelle provincie napoletane, osserva tra l’altro… «Quello che sarebbe più doloroso, per molti articoli, e per molte teoriche, eseguendosi nell’ex regno di Napoli il codice Sardo del 1859, si verificherebbe un positivo regresso comparativamente al Codice napolitano del 1819, che è indubitatamente il più conforme alla scienza, ed alle idee universalmente ricevuti nella giurisprudenza.»

Ed il deputato Conforti su lo stesso argomento accenna: «Le modificazioni, che furono fatte al Codice sardo, in gran parte sono state, tolte dal Codice napolitano.»

Parimenti il deputato Minervini riprova, che a’ 17 febbraro (sei giorni prima dell’apertura del parlamento) i consiglieri di Luogotenenza in Napoli pubblicano una legge, non quella piemontese, non quella napoletana; ma un brano dell’una, un brano dell’altra… correndo con dannosissima fretta nel far cosa, che non poteva esser consentita dalla prudenza; né santificata dalla legalità… In quanto alla procedura penale, noi avevamo in Napoli delle cose, che nel codice Sardo non esistono ancora, cioè la libertà di presentarsi i prevenuti in giudizio, onde essere rilasciati liberi sotto un modo esteriore di custodia () Ed io prego i miei colleghi di accettare questa novità, che nella procedura sarda non esiste… Le Leggi si studiano, si maturano lungamente, e massime nella patria di Vico, dove non si può creare in otto giorni ma Commissione legislativa, e pubblicare una riorganizzazione giudiziaria, e nuove leggi; per cui non è senza ragione la impopolarità del Governo nel napoletano.»

Tornata de’ 19 giugno (n. 204 degli atti)

Nella discussione del progetto di legge per la unificazione de’ debiti de’ varii Stati italiani annessi al Piemonte, il deputato napoletano Francesco de’ Luca muove interpellanza per chiarimento o rettificazione di un calcolo erroneo, cioè: «Il debito pubblico napoletano a tutto il 1859, ammontava all’annuo interesse di ducati 5 milioni, ottantaquattromila novecento dodici. Nel 1860 lo si vede figurare per l’annuo interesse accresciuto a sei milioni e più di ducati, (aumento di circa mezzo milione) cioè, lire 25,648,376. Nel 1861 la stessa cifra di annoi interessi vedesi ridotta a 5,534,912, e non se ne conosce il perché.»

Il deputato Crispi crede di dare una spiegazione a queste mutazioni di cifre col dire, che prima della partenza da Napoli del Re Francesco II, aveva contratto un debito colla casa Rotschild, e non giunse a riscuoterne le quote, che furono introitate dal Dittatore Garibaldi: ciò che per altro né pure spiegherebbe la differenza delle cifre tra il 1859, il 1860, e il 1861.

Il ministro dette finanze, cui incomberebbe fornire le debite dilucidazioni, risponde nel modo il più vago, ed incomprensibile, d’onde traluce, che non ha come sbarazzarsi dall’ardua obbiezione del preopinante de’ Luca. Dallo insieme si ha un altro argomentò dell’arbitrio con che sono state dilapidate le floride finanze del reame Napoletano.. Nella stessa tornata, il deputato Ricciardi parlando su gli schiarimenti da lui chiesti per l’arbitrario scioglimento della Reale Accademia delle Scienze in Napoli, tra le altre cose dice:… «L’accademia di Napoli era circondata da un lustro speciale. Fondata nel 1756 da Carlo III. Borbone, venne ampliata nei 1780:… Nel 1815 i Birboni nella restaurazione rispettarono quest’accademia: e notate che in essa si annoveravano molti fra i nemici più accaniti di Casa Borbone…

(E qui enumera le celebrità letterarie europee che vi erano ascritte, il conte Zurlo, il conte Ricciardi. Macedonio Melloni, Cavaignac padre, Àrago Humboldt ecc.) ..

«Si aggiunga, che coll’art. 4 del decreto luogotenenziale di scioglimento s’impone all’accademia reale di vendere i beni stabili, e di convertirli in rendita inscritta. —Or io domando, se una simile prescrizione sia costituzionale, o anche solo semplicemente legale? Chi può dire a me che ho un podere, di venderlo e convertirlo in rendita iscritta?… Fa d’uopo ancora sapere, che nel 1851, il re Ferdinando II per decreto reale, introdusse nell’Accademia delle scienze tre membri; ma nel momento stesso riconosceva di far cosa contraria agli Statuti dell’Accademia, e diceva per una colta, tanto… Bisognerebbe che il Governo centrale determinasse con precisione le attriburioni della Luogotenenza di Napoli, affinché sconci simili a quelli, di cui ora ci lagniamo, non si rinnovassero per l’avvenire. — A Napoli si domanda: ma 0 chi dobbiamo obbedire? A chi sottostiamo? Sottostiamo al governo locale, o pure dobbiamo dipendere da quello di Torino? — Bisogna assolutamente che cotesta quistione sia definita… se non altro per infrenare l’innovomania, che mi sembra invadere il governo; innovomania, che, lo confesso, mi farebbe quasi quasi rinunziare al mio istinto rivoluzionario, e diventare conservatore, come allorquando vedo che si vuole unificare l’Italia a vapore e a casaccio, starei lì per lì per divenire federalista… Signori, rispettiamo le antiche istituzioni de’ nostri municipii; rispettiamo le glorie municipali, le quali sono gran parte delle glorie italiane. Non v’è una città in Italia, e che non abbia una qualche antica e bella istituzione… Qui debbo riparare un oblio: non posso passare sotto silenzio un fatto assai grave. — Avevamo in Napoli una scuola militare delle più famose l’Europa, fondata su le basi della scuola politecnica di Parigi; Accademia militare detta della Nunziatella.» (È interrotto dal Presidente che lo richiama all’argomento.)

L’oratore continua: — «Parlavo del fatto dell’Accademia militare di Napoli, mutata in semplice collegio, a dimostrare vie meglio la necessità di ben definire le attribuzioni del governo luogotenenziale di Napoli, affinché non sieno abolite le istituzioni più belle di quel paese. Certo si è che l’effetto del mutamento della Nunziatella in collegio è stato pessimo.

Dopo le risposte del ministro per l’istruzione pubblica, il deputato Ricciardi replica: — «tutta la quistione sta in questo, che al governo attuale di Napoli non era lecito abolire la regia accademia, e fondarne una nuova. Quanto a coloro fra gli accademici, i quali ricusarono il giuramento potevano dichiararsi dimissionarii, siccome è accaduto ad un individuo che porta il mio nome (intende del fratello conte di Camaldoli) e la porta onoratamele, il quale, perché Borboniano, non ha voluto prestar giuramento, ed ha perduto un uffizio, che gli fruttava quattromila ducati all’anno!

Anche il deputato Liborio Romano parla contro il decreto luogotenenziale, che con abuso di autorità ha abolita in Napoli quell’Accademia Reale delle scienze, rispettata dallo stesso Garibaldi, che con risoluzione dittatoriale degli 11 settembre 1860 si limitò a svestirla del titolo dì Borbonica, e le sostituì quello di reale società d’archeologia, di scienze, e di belle arti, e poi aggiunge:

«Lo stesso… Borbone del 1799, lo stesso… Borbone del 1820 rispettò i corpi scientifici, comunque in esso si noverassero molti individui che pochi anni innanzi avrebbe voluti spegnere: rispettò i gradi militari concessi da’ due re francesi; gravò la finanza napolitana, spendendo meglio di sei milioni di ducati (pari a 26 milioni di lire) affin di ottenere la fusione dell’esercito da lui condotto con quello, che in Napoli esisteva. — E perché questi provvedimenti… non sono stati per noi ricordati, in ordine allo scioglimento dell’antica Accademia delle scienze di Napoli, riguardo agli eserciti meridionale, e Borbonico?»

Tornata del 22 giugno (n. 211 degli atti.)

Su la presentazione d’un progetto di legge organica per la Leva di mare fatta dal ministro della marineria, il deputato napoletano Duca S. Donato dice — «Pregherei l’onorevole ministro di volersi ricordare dei cantieri di Napoli, e dì Castellammare, che mi dicono ora abbandonati; e rammentare che da quei magnifici cantieri uscirono il vascello il Monarca, e la fregata il Fieramosca, con altri belli bastimenti da guerra della antica marina napolitano, sono avanti tutto stabilimenti nazionali e meritano incoraggiamento. Dunque raccomando que’ due cantieri, che mi dicono non essere guari in molta attività»..

Tornata de’ 24 giugno (n. 219)

Il deputato Ricciardi su la proposta fatta dal ministro de’ Lavori pubblici per una stazione ferroviaria in Torino, osserva: — Non posso fare a meno di manifestare l’immensa mia meraviglia nel vedere, che siasi potuto pur pensare a chiedere in questi momenti, due ff milioni settecentomila lire per una spesa non indispensabile. In un momento, in cui tutti parlano della necessità della più rigida economia; in un momento, in cui il tesoro di Napoli, in ispecie, è in tali strettezze, che, appena è dato sovvenire alle spese più urgenti».

Tornata de’ 26 giugno (n. 223.)

Sul progetto di legge per un prestito di 500 milioni, il deputato napolitano Minervini osserva, la contraddizione degli alti finanziarii del ministero; il quale prima disse che il disavanzo era di 314 milioni: poi la commissione parlamentare del bilancio lo ridusse a 80 milioni. Dopo presentati i bilanci, dopo date tutte le spiegazioni, dopo esauriti i dibattimenti, si vede che il Governo chiede più di 600 milioni per 500; e poi chiede 500 milioni per 314, e poi si accusa un disavanzo di 314 milioni invece di 80. Conchiude sembrargli una serie di ribussi poco regolare; un oscillazione, che oltrepassa la decenza () .

Indi parla io opposizione di tal progetto di legge l’altro deputato Ferrari, il quale tra le altre cose, dice: — «Non perdiamoci di coraggio; persistiamo nel proposito di difendere il governo contro la Commissione, che oltre a’ 25 milioni dell’ammortizzazione soppressa, vuol dedurre otto milioni di dote a banchi delle Due Sicilie Se sono depositati, se debbono servire di dote bisogna che si trovino, che manchino alle casse; che un imprestito le favorisca a difetto d’introito… La Commissione insiste per detrarre 154 milioni per l’Italia meridionale, dichiarandoli assolutamente straordinarii; ma le sue ragioni mi persuasero del contrario… Si tenevano tre anni fa 280 mila armati che fossero poi Borbonici, o altro, non conta questo; erano armati e pagati; ora non ne abbiamo forse 200 mila soldati, un esercito, una marina, inferiori alla forza degli altri popoli.

«La Commissione vuol detrarre dal debito meridionale altri 48 milioni per lavori pubblici…

E qui l’oratore si diffonde a dimostrare la incapacità del Governo nell’amministrare, lasciando soprattutto deperire i più importanti pubblici stabilimenti, come per esempio, la zecca, e la stamperia imperiale di Milano, e ripiglia «Se voi, o Signori, non amministrate bene, come Corrisponderete all’aspettativa generale, e propriamente politica?

«Avete voi sciolta quella terribile quistione dell’ex regno delle due Sicilie sì fastidiosa, si difficile, su la quale più non volevate interpellanze, ed alla quale voi ritornate tutti di continuo, senza volerlo, e direi quasi senza saperlo. In verità, voi non regnate, non sapete regnare».

«Comincerò da quattro sole righe del sig. del Re antico ministro del Bombone; quindi non vi attendete nulla di troppo lusinghiero: vi dice egli: in nessun periodo della storia delle due Sicilie fu mai osservato simile malcontento, simile irritazione, tanta crudeltà nelle repressioni: basterà il dire che in un sol giorno la Polizia ha ricevuto 250 telegrammi su i moti delle provincie; che il Governo disarmò intere compagnie di guardie nazionali; e che senza contar altro, più di 200 prigionieri sono stati fucilati dai piemontesi, e che le prigioni sono piene di sospetti».

«Voi dite, che io vi cito nemici. Ebbene citiamo un amico, che non vorrete disconoscere () , leggiamo il suo rapporto: vi dichiaro, che al vostro posto, io non l’avrei stampato, ma egli parla chiaramente:— «Lo scioglimento dell’esercito borbonico, le misure prese a riguardo dell’esercito meridionale, i capitoli di Gaeta, che permisero a Francesco II il soggiorno di Roma, contribuirono senza dubbio a suscitare al governo di queste provincia seriissimi imbarazzi…

«…La pubblica opinione qui esistente ha un carattere quasi esclusivamente negativo».

«Capite? In linguaggio officiale, e diplomatico, l’avere una opinione negativa, significa avere una opposizione più o meno decisa… del resto, lascio l’interpretazione a tutti e mi limito a stabilire che il sig. Nigra ha scritto tutto questo, proponendo come uno de’ primi rimedii la confisca e la vendita di tutti i beni ecclesiastici di quella regione, che così potrebbe sempre più godere de’ beneficii della unificazione…

«La incertezza del vostro regnare aumenta per la regola costante adottata da voi di non mai informarci della situazione dello Stato. Vi citerò alcuni esempii.

«Io ho saputo in questa Camera la soppressione dell’Accademia Ercolanese di Napoli. Ed in qual modo? Dalla interpellanza del sig. Ricciardi. Abbiamo una gazzetta officiale, e questa è abbastanza vasta per contenere molte cose… Io ho paragonato da una parte i dispacci telegrafici giunti dal giornale officiale ne’ mesi di novembre, decembre, gennaro, febbraro ecc.; dall’altra le notizie date da’ giornali più accreditati di Parigi. — Ecco il risultato del raffronto: — supponetevi un semplice borghese, un buon mercante nel rostro fondaco; leggete il giornale officiale e trovate in novembre «l’ingresso di Sua Maestà in Napoli; illuminazione, fuochi di artifizio» — «Voi siete contenti, inteneriti; ma il giornale officiale non vi lascia sospettare gli assassinii ne’ comuni di Carbone, di Castelsaraceno, nella Basilicata, dove vi erano case incendiate; di Montesarchio, e Latronico, di Carpinone, dove cadeva spenta una intera famiglia;— non una sillaba su le dimostrazioni borboniche di Napoli… — Passate al mese di dicembre: v’imparate, che la tranquillità è ristabilita ad Avezzano; che S. M. resterà a Napoli ancora 15 giorni; che Farini sta meglio — «siamo sempre buoni borghesi, prendiamo il giornale alla letterale ci felicitiamo della guarigione di Farini; — ma la situazione ci manca, perché il poco veridico giornale del Governo non v’insegna, né la scoperta della società filantropica; né l’assalto che duemila paesani danno a Cervinara; né i torbidi di Sora, di Caserta, di Maddaloni () — La medesima assenza di sincerità continua nel mese di gennaro: qui invero la gazzetta pubblica l’arresto di Libertini; la pugnalata data al Duca S. Donato, più una cospirazione Murattiana che parte da Gaeta… conche fine erano dunque scritte queste righe calcolate urgenti telegrafiche? Evidentemente, al fine di persuadere, che tutto il male si riduceva all’arresto di Libertini, alla ferita di S. Donato, a’ murattiani di Gaeta. — Or bene sappiate che il Giornale in apparenza sì minuzioso, fino a notare fatti in certo modo isolati, personali, staccati, ometteva poi la sommossa della popolosa strada di santa Lucia, delle donne, e della Cava, con le quali cominciava il nuovo anno; ometterà l’assassinio tentato sul generale Dunn, l’arresto di sei generali borbonici, la scoperta della cospiratone del distretto di Sora; ometteva in fine di dire, che si organizzava la reazione negli Abruzzi; che Catanzaro insorgeva contro il suo governatore; che Sora rimaneva in potere de’ banditi un giorno, e mezzo; che Bovino, Barra, Teramo, Campli, Civitella, Tagliacozzo Sansevero, Avezzano, erano teatri d’invasioni, di sedizioni, di brigantaggi spaventevoli; che a Palermo il tentato arresto di Crispi svelava la impotenza del Governo, la necessità di modificarlo, ed altre cose poco gradite.

«Lo stesso. sistema di reticenze continua in febbraro, marzo, aprile, maggio; e tanto ci basti per mostrare che ci vediamo costretti alla diffidenza sistematica in questi tempi in cui il Governo ha bisogno di essere creduto, e noi pure abbiamo bisogno di credere. — In vero ci resta il Parlamento, ultimo rifugio di ogni nostra speranza, e, dove esso svanisse, la patria mi parrebbe sconfitta. — Ma permettetemi, onorevoli colleghi, d’invitarvi ad imitare gli antichj pitagorici, che facevano qualche volta la loro confessione.

«Noi siamo riuniti, ma ad ogni appello nominale mancano 120, 150, 180 deputati… per un fatto sì straordinario, l’essere accompagnato da una specie di diserzioni, non è forse un sintomo strano? D’onde viene la diserzione? Da una sentita impotenza».

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Tornata de’ 27 giugno (n. 228. degli atti)

Il deputato Ricciardi muove interpellanze al ministero su i fatti dell’ex regno delle Due Sicilie, e si esprime cosi: — «Nel giornale officiale di Napoli del 22 giugno corrente trovo un Decreto firmato dal principe di Carignano, e contrassegnato dal commendatore Nigra, con la data 17 febbraro; in virtù di questo decreto è disciolta la Camera di disciplina dell’ordine degli avvocati. Io domando al signor Ministro il perché d’un intervallo così straordinario fra la data de’ 17 febbraro, e quella della pubblicazione del Decreto. — Pregherei poi il signor Ministro dell’interno di riferire alla camera ciò che gli è noto dall’ultimo tentativo operato in Sicilia da’ borboniani. I giornali hanno parlato di 23 persone uccise, e di una banda di 120 briganti. Io desidero sapere se queste 23 persone sieno state uccise durante il conflitto, o dopo, ed in quale forma. Altri fatti gravissimi hanno avuto luogo in molte provincie del continente, ed in Napoli avvennero disordini nella notte de’ 24 a 25 giugno; disordini, che furono repressi immediatamente, secondo riferisce la stessa gazzetta officiale… La situazione delle provincie napolitane, ho l’onore di assicurarlo alla Camera, è la stessa oggidì 27 giugno di quello che era, ed ebbi l’onore di esporla nella tornata del 20 maggio».

L’altro deputato napolitano Capone dice di avere a fare una interpellanza uniforme a quella del preopinante.

Il ministro di giustizia risponde vagamente di ignorare le circostanze dello scioglimento della Camera disciplinare degli avvocati di Napoli; ma andarne a prender conto.

Il ministro dello interno si. tiene anche vagamente su i generalj, e si limita a dire, che gli asserti sbarchi di Sicilia si riducono a tre banditi rientrati ivi furtivamente da Malta.

Tornata del 28 giugno (n. 229.)

Il deputato siciliano Crispi si oppone alla legge pel prestito di 500 milioni, e lungamente espone lo stato finanziero della Sicilia, ridotto a mal partito per colpa del Ministero:— Accenna, che il Luogotenente ivi spedito da Torino prende un assegno di lire 165750, quasi il doppio di più di quello che era assegnato al luogotenente generale del governo Borbonico: parimenti i Segretarj Generali de’ dicasteri di Palermo (che per le loro modeste attribuzioni, egli dice: esser meglio di abolirli) prendono una cifra di lire 162,052; il doppio di quello che costano ì Segretarj generali di Torino. E nello stesso modo fa le sue critiche a tutte le altre spese di amministrazione, di cui propone la riduzione. Parla dell’incorporazione alle rendite della Sicilia dell’annuo assegno di 50 mila lire fatto dal cessato governo al Duca di Taormina, e del quarto delle rendite della Real Casa Borbonica sorpresa e sequestrata al Gran Libro dal ministro di Polizia napolitana Conforti.

E nella stessa tornata il deputato Petruccelli parlando contro il ministero, dice tra l’altro: — «Che cosa ha fatto il Governo? Non voglio dirlo; ma basterebbe solo di attirare il vostro sguardo su le provincie dell’Italia meridionale, ma nol farò. Perciocché so che questo parlamento deve sentire una nausea profonda di udire ulteriormente a parlare de’ martirii, e delle sventure di Napoli Ei sarebbe ben mestieri attirare la vostra attenzione su le grandi cause morali, che conturbano quelle popolazioni; ciò che potrebbe esser utile, cd interessante; ma io non voglio prestar materia alle comunicazioni diplomatiche dell’ex ministro e delI’ex Re di Napoli a Roma. — La biancheria sporca si lava in famiglia… La forza vera d’un Governo sta nella fede de’ popoli; — e voi, o ministri, non l’avete. Guardate la Francia! quante volte ha fatto appello al popolo, se domandò 100 milioni, n’ebbe 500; e se domandò una leva, raccolse un esercito. E voi? voi per un imprestito di 500. milioni di lire, in un paese di 23 milioni d’abitanti, dovete ricorrere agli usurai d’oltre Alpi!

Si versa poi analiticamente sul bilancio, e di proposito su quello di Napoli, e ne censura le varie partite di esito, conchiudendo: — «Il vostro sistema, è un sistema essenzialmente dissipatore. Guardate!… 150 milioni sciupati nello scorso anno; un deficit di 314 milioni; 500 milioni, che si domandano oggi. E che cosa avete fatto di questo monte d’oro?

Tornata de’ 29 giugno (n. 233)

Il deputato Petruccelli nella discussione del progetto di legge per l’esercizio provvisorio de’ bilanci (1861) censura codesta legge, che dice «venir presentata alla discussione come un nodo scorsojo» E scagliandosi su tutte le pensioni, gratificazioni, soprassoldi d’impiegati, ed ogni qualsiasi altra retribuzione che si paga agl’impiegati, dice così: «Questa specie di balzelli nel bilanciò delle provincie meridionali è stata messa con una prodigalità più che regale, pazza. So che, questa specie di onorarj ascende alla somma di venti milioni, vale a dire al sesto del budget».

In questa stessa discussione il deputato napoletano Persico si oppone formalmente a che il decimo di guerra sia esteso all’ex regno delle due Sicilie.

E il deputato Ricciardi appoggia la opposizione del preopinante Persico; ed aggiunge. «Sarebbe somma imprudenza lo estendere in questo momento le imposte ili guerra alle provincie meridionali le quali si trovano ih condizioni eccezionali, e sarebbe aggiungere esca al fuoco, se si facesse quello che si propone. In un momento in cui il brigantaggio imperversa da un capo all’altro del nostro paese, si bruciano le messi, si pagano con difficoltà estrema le imposte, in un momento in cui i nostri coloni con grandissimo stento ci pagano, come volete aggiungere alle nostre provincie il decimo di guerra? Sono sicuro, che la semplice notizia di una simile cosa, accrescerebbe esca al fuoco. Per conseguenza io combatto con tutte le forze la proposta che ne vien fatta.

Di voto uniforme sono gli altri deputati Mandoj, Albanese, Paternostro.

Nel momento in cui l’altro deputato napoletano Massari perorava a favore della imposta del decimo di guerra, è interrotto da’ deputati Polsinelli, e Schiavoni, avversi a tale imposta, i quali esclamano: — «Non vi è nelle provincie meridionali sicurezza pubblica, dobbiamo difendere gl’interessi del nostro paese, contro questa nuova imposizione». — Ed il Polsinelli in apposito ragionamento contende di doversi differire all’opportunità lo stabilimento di tale dazio, e dice: — lo stato delle provincie napoletane è cosi allarmante, che non si deve cercare di far nascer uno scompiglio maggiore di quello che vi è. Un dispaccio telegrafico di jeri mattina dice, che la Capitale stessa sia stata in pericolo… Conosco bene, che si dovrà all’anno nuovo, stabilire in tutta Italia, questa ed altre imposte ancora… A Che serve illuderci? Il Parlamento vuol chiudere gli occhi per non vedere lo stato allarmante delle provincie napoletane. Per esser sicuro quivi bisogna andare armato; mentre il Governo non garantisce come si conviene quelle provincie: noi paghiamo le imposte, e per garantirci dai briganti dobbiamo avere il fucile in ispalla. I ministri hanno l’obbligo di procurare la sicurezza. Non avete voluto organizzare la guardia nazionale, che colà potea mantenere, e mantiene ancora la poca tranquillità che esiste in taluni luoghi; non avete voluto organizzarla perché temete di mettere le armi in mano a’ liberali.

«Saranno cose odiose, ma sono vere. La unione di Napoli doveva aumentare la forza d’Italia, ed ora invece si debbono mandare colà 30 a 40 mila uomini per mantenere la sicurezza… Allorché trattavasi della leva dissi, che anche in tal maniera si doveva andare a rilento, perché comprendevo che nelle provincie meridionali la vostra leva serviva ad aumentare i brigarti nelle montagne. Difatti, vedrete in pratica, se sarete al caso di avere i 36 mila uomini che decretaste…

«Non conviene toccare tutti gl’interessi. Voi avete toccati gl’interessi della Chiesa; e mentre vi siete fatti nemici gli ecclesiastici, nulla avete guadagnato; avete messa tanta gente in mezzo alla strada con la brusca attuazione di sistemi, e leggi non adattati ad luogo, ed al tempo. In tal modo avete fatti una immensità di nemici al Governo… In questo momento nel regno di Napoli l’ordine, e la tranquillità sono scomparsi; nessuno vi può fare i suoi affari; tutto è incagliato, ed inceppato nelle provincie… La verità è questa o signori, colà si sta male e molto male. (Ciò non ostante le nuove imposte sono approvate a danno delle provincie meridionali.)

Parlano pure contro le stesse imposte gli altri deputati napoletani Schiavone e Minervini.

E’ notevole l’incidente del deputato napoletano Capone, che fa una confessione, anche da parte di tutti i rappresentanti delle provincie meridionali, cioè che le dizioni adoperate nel nuovo articolo proposto dalla giunta di deputati piemontesi non sono capite da essi napoletani, come le parole, riguardo, retinenze fiscali; come pure di una Legge Sarda del 1859 ad essi ignota. Prega quindi la Camera di far tradurre tali vocaboli del linguaggio comune a tutti, e dire cosa ordina la legge del 1859, che non è stata mai promulgata, né conosciuta nel regno di Napoli; affinché almeno dopo tali chiarimenti il loro voto possa essere dato con cognizione di causa. Protesta, che non si è dato tempo a riflettere su quanto ai domanda a’ deputati napoletani; e perché vogliosi obbligarli a votare una formola incomprensibile.

Il deputato Polsinelli replica su lo stesso argomento del preopinante Capone, e dice: — «La Commissione aveva avuto l’incarico di discutere su la legge per l’esercizio provvisorio de’ bilanci, ed ora si viene a discutere su le imposte. Dispiacevole sorpresa ci vien fatta, ignorandosi le leggi, e la materia di che trattasi. Ci si rimprovera di non conoscere la legge sarda de’ 5 luglio 1859. Ma quando mai è stata pubblicata nel nostro regno una tale legge? Io domando se le provincie meridionali debbono conoscere tutte le leggi del piccolo Piemonte per sottomettersi alle medesime.

fonte

https://www.eleaml.org/ne/stampa2s/1862_DURELLI_condizioni_regno_Due_Sicilie_parlamento_torino_2019.html#Tornata_de_28_febbraio_1861_n_8._Atti

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