CONSIDERATE NEL PARLAMENTO DI TORINO-DA’ DEPUTATI DELLE PROVINCIE MERIDIONALI (XIII)
Tornata de’ 3 dicembre (n. 340)
Nella discussione su le condizioni delle provincie napolitano () parla il deputato Brofferio, e tra le altre cose dice: «Come volete, che a Napoli non regni il brigantaggio; che non vi sieno ogni giorno ladri su le piazze; che non vi sia gente pugnalata; se la polizia non sa mai nulla; se quando si traduce un colpevole innanzi a’ tribunali, questi ne sanno meno della polizia? Tutti i giorni si arresta gran quantità di persone a Napoli, e a Palermo, e non abbiamo mai notizia alcuna de’ processi, e delle sentenze. La sola cosa che sappiamo è il rilascio a Napoli del duca di Cajaniello dopo sei mesi di detenzione.
Ma se costui era innocente, come si è potuto custodire sei mesi in carcere sotto i dolori di una lunga istruzione processuale? Se era colpevole, perché venne rilasciato senza giudizio, e per semplice forma di procedimento? In 24 ore il Duca di Cajaniello, se era innocente, doveva essere rilasciato. — Da queste parole niuno argomenti, che io voglia biasimare le leggi penali di Napoli. — No, i Codici napolitani non sono secondi a nessun altro in Italia; io vorrei soltanto, che vi fossero onorati applicatori…»
Indi parlà il deputato Pisanelli, e dice: — «chi guarda al Napoletano vi osserva un malcontento diffuso: i più ne sono attristati: pochi vi gioiscono. Può ingannarsi chi capita in Napoli rapito da quel moto, e brio, improntativi dalla natura, e non vi è lutto e dolore che basti a cancellarli, lo credo, che a quel malcontento corrisponda un malessere reale… Se un uomo di stato s’inclinasse verso le popolazioni e napolitano, come un medico sul Ietto dell’infermo per esplorarne i dolori, egli udirebbe queste voci: noi ci sentiamo feriti, noi ci sentiamo umiliati... La rivoluzione camminò veloce sui passi di Garibaldi; e giunta in Napoli vi mutò gli ordini politici, scacciò la dinastia, disfece l’autonomia del paese. Ora, o Signori, è impossibile, che ognuno di questi fatti, non portasse per se stesso spostamenti e ferite d’interessi materiali… grande incitamento di passioni, gran conflitto nelle opinioni grande turbamento di tutti gl’interessi materiali nel paese stesso?… I prefetti, che avete inviati nel Napoletano non vanno, lo so: voi li mutate, e non vanno: li mutate ancora e non vanno. Non vanno le Corti Criminali; voi mandare te via alcuni magistrati. Udite due voci, una che vi dire — ne avete mutati troppi; — un’altra vi dice — non ne avete mutati abbastanza. — Signori, quando in un paese vacilla la cima del governo e l’autorità stessa che deve dar vita e forza a’ tutta la macchina governativa, necessariamente l’oscillazione si spande sopra tutte le diramazioni della pubblica amministrazione.»
«Se io cerco la cagione, per la quale l’indirizzo del Governo è stato ondeggiante, mi si presenta un concetto, che io con tutta franchezza rivelo. Mi pare, che il Governo abbia ondeggiato per la persuasione di doversi poggiare sopra un partito politico. Ma al di sopra d’ogni partito politico ci era il paese, ed io credo che non sarà mai serio, né durevole un Governo, se non quando si fonderà sul paese… Tra i gravi errori del Governo vi fu lo scioglimento dell’armata borbonica. — Se (come si è fatto più tardi) i soldati borbonici si fossero mandati a’ depositi, non avremmo a lamentare tanti danni: essi invece tornarono alle loro case umiliati e scherniti. — Chiamati poi, e rimandati di nuovo, si videro esposti a nuovi oltraggi, e nuovi insulti. Ingrossò il fiele nel loro animo, e si trovò nel territorio napolitano una moltitudine di uomini devoti all’antico regime, ostili al nuovo, pronti e a pigliare qualunque occasione per rovesciarlo… Dislogando, e rompendo le istituzioni di un paese, senza beneficio dello Stato, si affralisce, non se ne afforza l’autorità. — Or io domando, con qual vantaggio per l’Italia si è mutata la condizione della scuola militare di Napoli? Essa è ridotta ad una scuola secondaria. Il solo frutto che n’ha raccolto il Governo è stato il malcontento di quelle popolazioni. Con quale vantaggio, o benefizio si sono espulsi dal Collegio di marina parecchi alunni… I napolitani pensano, che di essi non siasi tenuto quel conto che credono di meritare… Se i napolitani costituiscono la terza parte dello Stato, se sono chiamati a corrispondere a’ carichi pubblici, come tutti gli altri Italiani, è giusto, che concorrano anche in una parte e proporzionata negli uffizii dello stato, in quelli della pubblica Amministrazione. E questo voto, e desiderio non lo guardate come vile e spregevole. E’ vero, il Governo ha pagato, e dà il soldo a coloro, che sono stati messi fuori le Segreterie; ma non è il solo soldo che consola l’uomo. Ognuno sente il desiderio di spendere la sua mente, l’opera sua per 1’amministrazione della cosa comune. C’è dunque in questo sentimento d’umiliazione, che provano i napolitani, qualche cosa di nobile, di generoso, che il Governo dovrebbe rispettare. Ho parlato con molti che fruiscono lo stesso stipendio primitivo. Essi sono tristissimi, più tristi forse che se fossero stati destituiti… Quelli della marina sono stati fusi con quelli degli antichi stati sardi, perdendo grado ed anzianità. E avvenuto lo stesso pe’ macchinisti, che han reso servizi importanti, i quali in un sol giorno sono stati costretti tutti a dare l’unanime dimissione. È avvenuto altrettanto nel Corpo Sanitario dell’armata. E avvenuto lo stesso in tutte le Amministrazioni. Vi citerò un solo esempio: — Il ministero di giustizia si è ordinato pria dello scioglimento della Luogotenenza, poiché questa per intendimento del governo dovea finire. Ebbene, si sono nominati sei Capi di divisione, e né pure un napolitano tra questi. In questi fatti è riposta una gran parte del segreto dell’amministrazione delle provincie napolitane. Come volete, che esse si persuadano che i loro interessi saranno studiati, le loro ragioni valutate, quando i loro affari sono commessi a persone, che non hanno intima e diretta conoscenza delle cose loro?… Certo è, che i mali delle due Sicilie procedono da tante cause, che occupano gli spiriti, inceppano tutta l’amministrazione. — Io non ne conosco una che vada bene: ciò che osservo nell’amministrazione della giustizia, l’osservo nell’amministrazione civile, in quella de’ Dazii indiretti, in tutte le altre amministrazioni, e sono costretto a persuadermi, e che il male discende da un principio più alto, più generale.»
Nella seguente tornata de’ 4 dicembre parla su lo stesso argomento il deputato Ricciardi e deplorando le ingiustizie che si fanno soffrire all’Esercito Borbonico dice tra l’altro: «Gli ufficiali di quell’esercito ammontavano al numero di 3684, di cui appena cinque o sei centinaia sonosi chiamati in attività. — I sottofficiali, gioventù intelligente e bellissima, ammontava a 12,226; sono distrutti… Certo non v’è da rallegrarsi ogniqualvolta volgasi l’occhio allo stato della nostra finanza. I 500 milioni del prestito da noi votato pochi mesi fa consumati prima dello incasso, vale a dire, spesi a credito; buoni del tesoro emessi in gran quantità: impossibilità in questo momento di contrarre un novello prestito, stante il bassissimo corso della nostra rendita…
«Un poco di critica farò sul capo delle indennità. Queste si danno con una facilità grandissima, massime nelle due Sicilie, e non senza ingiustizia, dandosi solo agl’impiegati dell’Alta Italia, mentre a’ napoletani, che vengono traslocati nel Piemonte non se ne dà alcuna. — Debbo parlare contro le spese di rappresentanza, delle quali si è fatto spreco indicibile. Che importa all’Italia in questi momenti, che i Prefetti diano pranzi e feste da ballo? L’Italia ha ben altro e ha pensare! Non vi citerò che un esempio. Il prefetto deputato generale Lamarmora ora riceve 120mila lire l’anno per ispese di rappresentanza, oltre il suo stipendio da generale. Or io domando, se in questo momento si possa fare una simile spesa?…
«La maggior parte de’ decreti del Governo sono profondamente incostituzionali. Per esempio, si sono accresciute le piante di quasi tutte le Amministrazioni; si sono creati impieghi nuovi e quindi stipendi nuovi, ed aggravi allo, stato, che il solo parlamento a aveva il diritto,d imporre, e nulla ne conosce…
«Altri decreti incostituzionali sono, quello recentissimo su le circoscrizioni giudiziarie, e l’altro dell’abolizione di alcuni corpi religiosi, ed al mantenimento di altri. Queste abolizioni, e queste conservazioni sono fatte a capriccio, di modo che molte delle corporazioni abolite hanno diritto a lagnarsi. Si è voluto fare per decreto ciò che solo poteasi per legge; e cosi avete dato il diritto a’ preti cd alle monache, ed a’ monaci, che certo non vi amano, di odiarvi più sempre…
«Abbiamo cose molto più urgenti da fare, che andar abolendo questa o quella legge al napoletano, per introdurvi le leggi dell’antico Stato di casa Savoia, le quali non sono al certo le più perfette.
«Non bisogna dissimularlo, in questi ultimi mesi si è operato un fatto importante, una reazione generale verso l’egemonia Piemontese…
«Il personale degl’impiegati venne mutato a capriccio, senza veruna norma, vale a dire alcuni impiegati e borbonici sono stati cacciati via; altri mantenuti; alcuni onesti licenziati, alcuni tristi messi in loro luogo. Quanto alle finanze, credo, sappiate la penuria immensa dell’erario di Napoli, tanto di essersi dovuti mandare da Torino a Napoli alquanti milioni… Come mai questo paese, le cui finanze erano così floride, la cui rendita pubblica era salita al 118, è in così misera condizione?… Si agita la quistione se il brigantaggio sia vera guerra civile: io credo oziosa questa, discussione. Esaminiamo il fatto: Noi abbiamo un numero considerevole di uomini con le armi alla mano, che vorremmo chiamar ladri; ma d’altre parte veggo che questa gente innalza bandiera bianca, in alcuni luoghi stabilisce governi provvisorii… Per lo meno potrà essere metà brigantaggio, metà guerra civile… Supponete, che un uomo di genio sorga nel Napoletano; che cosa accadrebbe, massime se la guerra scoppiasse sul Mincio? Persuadetevi, Signori; si debbono mettere in opera i mezzi i più attivi per rimediarvi, e non tanto i mezzi di rigore, quanto quelli diretti a contentare il paese. Solo vi dirò, che per l’avvenire bisogna evitare ciò di cui fummo testimoni pur troppo. Finora abbiamo avuto nel fatto lo stato di assedio, benché non fosse stato decretato dal parlamento; anzi né pur dal Governo; ma senza nessuna delle garanzie dello stato d’assedio venne applicato fra noi… In prova di ciò, citerò il dolorosissimo fatto di Somma. () Saprete che colà sei individui, io non saprei se borbonici, o non borbonici, furono arrestati, ed in meno di tre ore fucilati… E quel fatto provocò la dimissione dell’onorevole mio amico marchese d’Afflitto, governatore di Napoli. Io mi limito a citare questo fatto, non fò coménti… Due sono le principali piaghe di quelle provincie, che tutti, quantunque con mezzi diversi, vogliamo curare.
La piaga morale è l’offesa profonda recata a sette milioni d’uomini; ed io credo, che da tutta la tela del mio discorso sia risultata la prova di questa offesa. Un paese, che per otto, o nove secoli è stato autonomo, ad un tratto ridotto a provincia; un paese che vede distrutte per via di decreti le sue antiche leggi, le sue antiche istituzioni certamente non può esser contento. Aggiungete la invasione d’impiegati non nativi del paese i quali (a torto forse) non sono veduti di troppo buon occhio… Quanto alla piaga materiale, tutti sanno, che c’è quivi ristagno di ogni cosa, e che la miseria è grandissima… E poi, e io ve la dico schietta, da Torino non si governa l’Italia, da Torino non si regge Napoli: questa per me è convinzione profonda; in questo sta la radice di tutti i nostri mali.»
Nella susseguente tornata de’ 5 dicembre, continuando la discussione su lo stesso tema ed arringando il deputato Zuppetta su le cagioni del malcontento generale nello ex regno di Napoli; ne discorre cogli argomenti del suo colore politico; e pure dice: — «un altra causa di calamità, la ingiustizia nel santuario della giustizia: e questa calamità dura tuttavia, e va sempre più peggiorando… sa la sicurezza pubblica è più il tacer che il ragionar onesto, non ne dico altro. Il 25 luglio 1860 Francesco II facendosi meno borbonico de’ borbonici, stabiliva che alla Guardia nazionale i retrivi non potevano appartenere;… e voi late il rovescio della medaglia.»
Il deputato napoletano Mandoj Albanese parla su lo stesso soggetto, e protesta di esser «egli quello stesso, che nel decorso anno, mosso da amor di patria, ed incontrando disagi e dispendii, venne in Torino, per dire al Governo, che la politica inaugurata nelle generose provincie napolitane era falsa rovinosa, dissolvente, e che avrebbe menato non a fare, ma a disfare l’Italia.»
Annovera fra gli errori gravi del governo piemontese la dissoluzione dell’esercito Borbonico, composto di 97,158 nomini, di 3684 ufficiali, formante 72 battaglioni, 51 squadroni; e 16 batterie montate; — come pure il profluvio di leggi, che sì intempestivamente si vollero promulgare; esse furono causa di malcontento, di babilonia, di mancanza di governo, che tuttavia regna in quelle provincie. Invano il paese gridava: non più leggi, non più inopportuni decreti novità che oggi ci getteranno nella confusione…
«Il Governo centrale ha voluto, e vuole amministrare quelle infelici provincie, non colla opinione del paese, ma contro, anzi a dispetto di questa…
«Vi fò da ultimo osservare, che i dolorosissimi casi di Napoli sono gravi, anzi gravissimi: le nostre famiglie, i nostri cari sono in gravi od imminenti pericoli. I nostri genitori le nostre mogli, i nostri figli aspettano da voi un salutare cd energico provvedimento. Guai se la camera non ascoltasse le loro voci!…
Nella successiva tornata de’ 6 dicembre un lungo esaltato discorso pronunzia il Deputato Petruccelli, la cui conchiusione offre argomento a poter meglio definire lo stato dell’ex regno di Napoli e come ne sieno in segreto allarmati gli stessi deputati annessionisti— «Credo, che nessuno in quest’Assemblea possa pensare, che io sia contrario alla libertà, però vi sono delle circostanze, in cui la libertà è omicida. Ora ciò avviene, nelle provincie del Napoletano. Io domando che lo stato d’assedio sia messo in quelle provincie, dove infierisce il brigantaggio. Nella tornata de’ 7 dicembre, continuando (a discussione su la condizione delle provincie meridionali, in una dell’interpellanze del deputato Ricciardi è detto: «Un oratore ha parlato delle detenzioni arbitrarie di Napoli, e specialmente di quella di sette mesi del Duca di Cajaniello. Nessuno ha risposto a questa importante domanda, al quale proposito dirò, che nelle sole carceri di Basilicata, un mese fa esistevano mille nove detenuti, a giudicare i quali non v’erano che quattro magistrati. Ho pure richiesto il ministro della guerra su le condizioni misere di 3684 ufficiali dell’ex esercito delle Due Sicilie, e segnatamente su la capitolazione di Gaeta, che alcuni fra quegli ufficiali lamentano violata a loro riguardo.»
Nella stessa tornata si ha l’incidente del deputato Bertani, che accagiona il ministero di aver violato a danno di lui il segreto postale delle Lettere.
Il ministro di giustizia Miglietti vorrebbe, che si procedesse ad una inchiesta su questo incidente, che chiama disgustoso, ed insiste, che fosse fissato un termine per la presentazione de’ documenti di risulta. — AI che il deputato Crispi soggiunge: — «Sappiamo come si va nella istruzione, de’ processi, i quali non possono improvvisarsi, né inconsideratamente compiersi. — Volesse Iddio, che i giudici del ministro Miglietti facessero con la chiesta celerità il loro dovere, e che in breve tempo istruissero i processi. Io potrei citargli più di 500 individui, che marciscono nelle carceri di Palermo, e che da due mesi non furono neppure sentiti».
Nella tornata degli 8 dicembre () continuando la stessa discussione, il deputato Ricciardi opponendosi alla chiusura della discussione dice: — In questo momento mi sono giunte lettere gravissime da Napoli.
«Non accennerò, che un solo fatto, cioè, che nella Basilicata, in tutti i luoghi, dove il brigantaggio si mostra più minaccioso, le popolazioni fanno da se, costituiscono governi provvisorii. Ora questo mi sembra un pericolo immenso; ed in questo momento io parlo da conservatore, e non da rivoluzionario, come tutti se mi credono.»
Il deputato Mancini nella stessa tornala in un lungo discorso dice tra l’altro: — «un malessere, un profondo malessere realmente esiste nelle provincie napoletane; mentirebbe a Dio, ed alla sua coscienza chi non lo confessasse… Egli è frutto d’improvvidi errori. Errori di chi? Siamo veraci, ed imparziali, o Signori, errori di tutti; perché errori si commisero da quanti di noi ebbero parte nell’amministrazione di quel paese… Lascerò da parte il male del brigantaggio, non perché non riconosca essere in questo momento il più grave, il più sensibile ed intollerabile di que’ mali,; in fatti, quando in un paese ad ogni cittadino, e principalmente a quello della parte liberale, manca ad ogni istante la sicurezza della vita, e delle sostanze, quel paese è nella condizione la più miserevole, che si possa immaginare».
Nella tornata de’ 9 dicembre parlando il deputato Mellana sul medesimo argomento, s’interrompe per dare al Presidente de’ ministri un foglio a stampa su l’istante rimessogli da alcuni deputati. Si propaga nella Camera che contenga quel foglio una dolorosa notizia, che produce una generale costernazione. È in francese, e il presidente del consiglio ne dà lettura, dalla quale si conosce, che il generale Lamarmora mette in mora il Governo a cambiar di politica, altrimenti darà la dimissione dalla carica di prefetto. Ed è smentita la esistenza di questa assorta protesta di Lamarmora.
In questa stessa tornata il deputato Ricciardi dice: — «Quello che dissi ieri della Basilicata fu da me attinto in parecchie sorgenti: ma specialmente nella relazione verbale di un testimonio oculare, che è il nostro collega Lovito qui presente, il quale potrà attestare i fatti da me accennati.
In conseguenza invitato a parlare il depistato napolitano Lovito, comincia dallo sferzare il presidente Ricasoli, e il ministro Peruzzi, che con leggiadria di discorso intendevano dare notizie confortanti di Basilicata, dove egli dice, che fin dai 5 novembre le bande reazionarie avevano occupati i comuni di Trivigno e Stigliano (capoluoghi di circondario) , dove, a grande disdoro del governo piemontese, aveva sventolato per due giorni la bandiera Borbonica. — Aliano, Corigliano, Grassano, Accettura, Pietragalla, Bella (capoluogo circondariale) Craco, Salandra, Vaglio a sei miglia dalla capitale della provincia; e conchiude così: — «Mi riserbo a suo tempo ili formulare de’ capi di accusa contro il governatore di Basilicata, onorato teste non so di qual croce ce secondo il costume del Governo di accordare decori razioni in ragion diretta degl’insuocessi. Ed allora dice mostrerò, che sotto gli occhi del Prefetto di Basilicata (sig. de’ Holland) in pieno meriggio, a suono di tromba, nella Valle del Sauro, si è organizzata, durante tutto il mese di ottobre la banda di Borjes».
Il deputato S. Donato, nella stessa tornata dice, tra le altre cose: — «Io voto contro il Gabinetto, lo dico altamente, perché esso disgraziatamente non ha capito le vere condizioni delle provincie napoletane, tanto nel fatto di una giusta ed equa ripartizione degli impieghi; quanto in tanti altri singoli atti. Il sig. Menabrea, ministro di marina, ci ha dati, tra i molti, due esempii di un arbitrio unico nella storia costituzionale; egli ha cercato sopprimere un collegio di marina rispettato…» (è interrotto dal presidente che gli dice di limitarsi a parlare contro la chiusura) .. «Io voleva parlare contro la chiusura (continua il deputato) perché ho a dire un mondo di fatti, e di. dettagli, e di miserie, che riguardano le provincie napoletane. Se si chiude la discussione debbo solennemente protestare contro questo fatto, che impedisce ad un rappresentante di mettere al corrente il. Parlamento de’ veri bisogni del mezzogiorno.»
Nella tornata del dimani (20 dicembre) l’anzidetto, deputato S. Donato insiste per aver la parola e continua, tra l’altro, nel seguente tenore. — «lo desiderava, che nella ripartizione ‘degli impieghi civili e militari si fosse tenuto religioso conto delle provincie napoletane, che rappresentano quasi otto milioni di Italiani. Ebbene, o Signori, si sciolsero tutti ì Dicasteri, tutte le amministrazioni centrali; tutto ciò che c’era di burocratico in Napoli, senza per nulla tenere nel debito riguardo quegl’impiegati, che pur è gente onesta, capace, intelligente, e che ardentemente desidera di esser meglio utilizzata. Metteteli all’opera, e lo vedrete. In 10 ministeri, che sono a Torino, permettete che ve lo dica, non ve n’è uno in cui si trovasse per capo di divisione qualche napoletano. Capisco da’ rumori, che le mie parole debbono toccare molte suscettività; ma il dovere mi conforta, à continuare… Tutti gVimpiegati che da Torino si sono mandati a Napoli, non solo sono stati promossi di soldo) ma si è loro accordata, sul tesoro napoletano, due, tre, fino a quattrocento franchi al mese di indennità; mentre a napoletani traslocati in Torino nulla si è dato non solo; ma lo sono stati con gradi e soldi inferiori a quelli che lasciavano in Napoli. La cosa è verissima, diciamola chiaramente… Il deputato Pisanelli vi diceva: «se voi interrogate il popolo napoletano, voi ci trovate del dichiarato scontento e dell’amor proprio offeso. Infatti, non vi è instituzione pubblica, collegio, università, amministrazioni, educandati ecc. ecc., a Napoli, che non sieno stati sciolti, unicamente perché non avevano i regolamenti piemontesi. Il ministro della marina signor Menabrea, con un coraggio unico al mon do, ha invitati 43 nobili padri di famiglia a ritirare dal collegio di marina i loro ragazzi (ch’essi vi tenevano da tre, o quattro anni messi al tempo dei borboni) , unicamente perché gli è piaciuto di dire, che questi erano entrati nel 1858, quando a Napoli non vi erano i regolamenti piemontesi. Citerò l’affare de’ macchinisti, che fra tanti che dovrei narrare, ha anche accresciuto, il malcontento. — L’armata navale aveva, fra le molte cose buone, de’ macchinisti abili e distinti, che, secondo le antiche leggi napoletane, erano assimilati a sottotenenti. Il ministro Menabrea pretendeva assolutamente assimilarli a sottuffiziali; — e perch’essi si opposero alla sua volontà, il sig. Menabrea (sempre con un coraggio che mi piace ammirare) , li sottopose ad un Consiglio di guerra per farli condannare per insubordinazione, che il Consiglio di guerra non vi ha ritrovata. Ebbene, o signori, mettiamoci una mano su la coscienza ed accumuliamo tutti questi fatti insieme: impiegati in disponibilità, impiegati non al loro posto, impiegati mandati via, l’elemento napoletano tolto dall’esercito… e dopo tutto questo volete che il paese sia favorevole all’attuale Governo?
‘In seguito parla il deputato siciliano sig. Crispi, nel cui discorso sono notevoli le seguenti cose: — «Credete voi, o Signori, che in Sicilia si eseguano lo Statuto, le leggi nuove, e gli stessi Codici del cessato governo? Niente affatto. Ascoltate: In una provincia di Sicilia sono saccheggiate alcune case rurali; incendiala una fattoria, ed il padrone minacciato di vita. Egli chiede giustizia, e gli viene negata. Che cosa di più? Questo offeso è tratto dal suo domicilio, e viene confinato in altro comune, con ordine all’autorità amministrativa di non farnelo allontanare.. L’offeso punito economicamente dalla luogotenenza di Vittorio Emmanuele, è il sig. Filippo Pancali: il. comune in cui furono consumati i reati si chiama Vittoria; Comiso è il comune in chi Pancali è confinato: la provincia è Noto. — La notte del 9 al 10 di questo mese, la forza pubblica circonda una casa in Partinico. Il proprietario Angelo Nobile all’annunzio di quella visita, salta sul tetto per fuggire; la moglie và ad aprire la porta: la polizia entra, e si dà ad una severa perquisizione. Un uomo della forza pubblica si accorge dalla finestra, che il fuggitivo era sul tetto, tira il fucile, e lo uccide. Un fatto simile era avvenuto in Bagheria un mese prima. — Un fatto più terribile avvenne pria ch’io partissi da Palermo nelle carceri centrali della provincia: un arrestato entrando venne ucciso sul limitare della prigione. —Più volte si sono sporti reclami al ministro di giustizia contro gli arresti arbitrarii; senza che le autorità locali se ne fossero incaricate. — A’ 16 dello stesso mese essendomi presentato all’Autorità giudiziaria per chiedere di alcuni arresti fattisi in Partinico, ed in altri comuni della provincia, l’Autorità stessa nulla ne conosceva. Rivoltomi al questore del circondario, ed al Segretario della Sicurezza pubblica, venne risposto che essi non avevano spedito niun mandato d’arresto. — Il ministro di giustizia volesse anche i nomi degli arrestati? — Glieli darò. Sono essi Patti, Timpa, Nobile, ed altri. — Ebbene, Signori, il 28 novembre, giorno della nata partenza da Palermo, gl’imputati non erano stati ancora rimessi al Procuratore generale del Re, presso la Gran Corte Criminale.
«Un altro fatto debbo narrarvi. Abbiamo nelle prigioni di Palermo individui assoluti dalla gran Corte Criminale, che l’amministrazione di Sicurezza pubblica tiene ancora in prigione, malgrado là loro assolutoria. — Non vi parlerò della pubblica sicurezza. In Sicilia siamo costretti ad andare sempre armati per tutelare la nostra persona, e le nostre proprietà. Nel corso d’un anno da che vi si è stabilito il governo di Vittorio Emmanuele, nel circondarlo di Palermo più di 200 reati di sangue sono stati commessi. Per cinque sesti i processi furono istruiti contro rei ignoti; dell’altro sesto non tutti hanno avuta la meritata punizione.
«Non so se conoscete, la celebre lettera del prefetto di Catania sig. Tolosano, al commendatore Minghetti, che tutti i giornali han pubblicata. In questa lettera si accusava lo stato infelicissimo di quella provincia (nella quale per altro si commettono meno reati che in tutte le altre della Sicilia) Ebbene il Tolosano accusa d’insipienza e di poca moralità gl’impiegati di sicurezza pubblica, e la magistratura; od aggiunge, che i testimoni non osano deporre per paura de’ facinorosi».
A’ 13 dicembre. — Proseguendo la discussione sullo stesso argomento, parla il deputato Minervini, nel coi discorso sono osservabili i seguenti cenni: — «Ricorderete, che si volle con un decreto luogotenenziale de e’ 17 febbraro di questo anno importare in Napoli i codici piemontesi del 1859… Non trovo però, che vi fosse ragione di portarli nel napoletano, dove ci erano leggi… contenenti disposizioni umanitarie e civili, imperanti colà fin dal 1819… Vi parlerò prima del Codice penale napoletano. Ivi allorché si parla di reati contro l’onore e la pace delle famiglie, non abbiamo mentovato altro, che l’attentato al pudore, e la stupro, ma l’incesto, e tutte le altre cose, che non istanno nel pudore del legislatore a qualificare, furono scongiurate con assai filosofica dizione, senza che potesse derivarne inconveniente, o immunità ne’ casi possibili. È questo il vantaggio, che le provincia napoletane, e siciliane avevano dal 1819, è che con la pubblicazione si trovò giusto di mantenere, con altre cose; e che io vorrei far estendere al Piemonte, alla Lombardia, alla Toscana, a’ ducati, ed a tutte le altre provincie… Nel Codice delle dee Sicilie vi era il gran beneficio, che ogni imputato avesse il diritto alla spontanea presentazione, sotto, un modo, di custodia esteriore fuori carcere» () (L’oratore vorrebbe far comune questo beneficio estendendolo alle legislazioni provvisorie delle provincie annesse; ma tutta la su» proposta è rigettata dalla Camera)
Continuando la stessa discussione nella tornata dei 18 dicembre il deputato Ricciardi comunica un grave sconcio al ministro de’ Lavori pubblici, con le seguenti parole: «È giunto stamane in Torino un dispaccio telegrafico li Sertacapriola, borgo di Capitanata con 2 giorni, e 55 minuti di ritardo; perocché spedito alle 3 antim. del 16, il dispaccio non è arrivato qui che stamane alle 3 antim. 55 minuti. Ma questo è nulla; ché un dispaccio spedito da Napoli il giorno 7, non è giunto qui, che il giorno 12, vale a dire con 5 giorni di ritardo! Or demanderò al Ministero se valga meglio servirsi del telegrafo, o della posta. Mi è forza altresì chiedere due schiarimenti al Governo; e prego là Ca mera ascoltarmi, perché si tratta di cosa molto importante. In un mio recente viaggio, essendo entrato in colloquio con un impiegato a’ telegrafi, domaudai se qualche volta i dispacci telegrafici fossero trattenuti. Mi fu risposto, che per poco i dispacci destassero sospetti negl’impiegati, essi erano costretti riferirne all’Autorità politica del luogo. — Soggiunsi: si restituisce almeno il denaro? — E con mia immensa meraviglia mi fu risposto: — no!
Nella togata del 29 dello stesso mese l’anzidetto deputato Ricciardi fa la seguente interpellanza al ministro dell’interno: — «debbo richiamare l’attenzione sopra uno stranissimo bando pubblicato in Foggia dal Prefetto di Capitanala. — Quel signor Prefetto minaccia gravi pene a coloro fra i proprietarii, i quali avranno ceduto alle minacce de’ briganti, a’ così detti ricatti. — Pochi giorni dopo questa strana pubblicazione, molti proprietarii si presentarono al prefetto per domandare mano forte contro i briganti: dicendo se voi non volete che cediamo alle minacce de’ briganti, dovete proteggerci contro di essi. Il signor prefetto rispose, non avere forza disponibile a ciò. Dimodoché questi poveri proprietarj si trovano in una stranissima situazione da una. parte sono minacciati da’ briganti, i quali se non ricevono i denari richiesti, veggono ucciso il loro bestiame, arsi i magazzini: se poi cedono alle dette minacce, incorrono nelle pene comminate dal signor Prefetto. Io credo, che basterà aver segnalato questo strano procedere ()
Nella tornata de’ 21 dicembre seguono due proposte del ripetuto deputato Ricciardi, nelle quali sono rimarchevoli le seguenti cose: — «Veniamo all’apostrofe al ministro della istruzione pubblica, cui dirò: in che modo riordinaste la Reale Società Borbonica di Napoli? Avete nominati 13 membri sopra i 29 di questa società reale, dando loro facoltà di nominare i rimanenti. Ma è accaduto, che questi 13 riunitisi per procedere all’elezione hanno nominati esattamente tatti i loro antichi colleghi, che erano quelli precisamente, che il governo avrebbe voluti escludere! Non aggiungo altro. — L’altro punto della mia apostrofe si riduce a questo. che non mai la istruzione pubblica è tanto costata allo Stato, e non mai si è veduta in condizioni cosi infelici. Lo stesso, rivolgendomi al ministro dell’interno, potrei dire della pubblica sicurezza. Tutti sanno la ingente spesa costata allo Stato per lo stabilimento nelle provincie meridionali delle così dette guardie di pubblica sicurezza, le quali a tutt’altro vegliano, che alla sicurezza pubblica. È noto altresì quale ingente somma è stata spesa nello arruolare circa 14 mila guardie mobili, le quali, per essere state mai capitanate o male adoprate, non hanno reso verun servigio. Agli onorevoli ministri della guerra, e marina, io non farò che un appunto, quello cioè, di non aver introdotto finora nello esercito, e nella flotta un numero proporzionato di ufficiali napolitani, e questo è un grave torto. Al ministro delle finanze dirò di presentarci que’ benedetti bilanci, tanto più che da quattro anni il Parlamento non ha la soddisfazione di esaminarli. — Ora vengo alla giustizia… Non parlo del torto avuto dalla magistratura delle provincie napoletane nel tollerare durante questi ultimi tempi, i soprusi dell’autorità militare, la quale è la peggiore che io mi conosca.— Per carità patria io tacerò di questi sorprusi: solo ricorderò all’onorevole Guardasigilli, che le prigioni dell’ex-reame di Napoli sono ripiene di detenuti, i quali aspettano invano da lungo tempo il loro giudizio () Citerò questo proposito un solo esempio. Passai ad Avellino il 1 novembre ultimo. Ora il credereste, Signori? Giudicavasi quivi in quel giorno la causa di Ariano, per gli orribili fatti del 4 settembre dell’anno scorso, in cui circa 80 guardie nazionali furono scannate dalla moltitudine sollevata. Sono 14 mesi da che i fatti in discorso sono accaduti, e non ancora è terminato il giudizio. La detenzione di molti altri incolpati continua, contro il voler della legge in modo indefinito. Credo, che tutti conoscano i casi del principe di Ottajano, e del duca di Cajaniello. Nomino questi signori, non perché principi, o duchi, ma perché persone ben note. Certamente se nominassi il contadino A. o il popolano B. nessuno se ne occuperebbe. —Debbe esser noto al ministro guardasigilli, che alcuni cittadini sono stati pregati di esulare, con manifesta violazione della legge. Se il Governo crede, che attesa la situazione eccezionale delle due Sicilie, gli sieno necessarii poteri estesi più di quelli che concede la legge, li chieda al Parlamento: ma violare fa legge è cosa tempre pericolosissima. È d’uopo sapere che molti arresti sono stati fatti con gran leggerezza, vale a dire sopra semplici denunzie. Tutti sanno che il denunziante è l’uomo più vile del mondo. Or bene è accaduto spessissimo, che più onorevoli cittadini sono stati arrestati sopra una semplice denunzia.
Nella tornata di 22 dicembre nella discussione della legge per l’applicazione dell’ordinamento giudiziario sardo alle provincie napoletane, e siciliane, parla il deputato D’Ondes-Reggio, nel suo discorso sono notevoli le seguenti cose. «Ora, perché veramente si è fatta questa innovazione? lo non trovo altro motivo, se non perché in Piemonte l’ordinamento era in questo modo. Ma è venuto mai in mente ad un napoletano, ad un Siciliano di dire: in Piemonte abbracciate per forza questo sistema, perché in Sicilia, ed in Napoli è desso in vigore? Credo, che non lo abbinino detto mai. Ma dunque, perché si vuol fare queste innovazione senza nessun altro motivo? E pure il sistema piemontese che or si vuole introdurre in Napoli, ed in Sicilia è d’indole peggiorata perocché i giudici d’appello da 7 sono ridotti a 5, con gradi minori di probabilità per la giustizia… E questo, o Signori, è il sistema vantato come il migliore, che vorreste far abbracciare a tutti i popoli civili del mondo, io credo,. ché nella patria di Beccaria, di Filangieri, di Pagano, di Romagnosi, e di Carmignani, si possa fare qualche cosa di meglio…
«In breve le condizioni io coi si trova la Sicilia sono le seguenti: Leva, che travaglia e addolora, ma è necessità. Abolizione di tutte le amministrazioni, che travaglia e addolora, ed è in parte necessità pel sistema di concentramento, ma in parte è voluttà di distruggere. Abolizione della luogotenenza, che travaglia, e addolora, non necessità, ma voluttà di distruzione. Occupazione delle case religiose, ciò che travaglia e addolora; non necessità, ma voluttà di distruzione. Ed ora anche voluttà di distruggere l’amministrazione della giustizia!…
«E di questa distruzione l’effetto, o signori, sarà, e che infine la gente vedendosi impossibilitata ad ottenere subito giustizia per torti sofferti, e che manchi l’autorità efficace a conciliare gli animi, ognuno, si fare giustizia colle proprie mani.
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