Diversi aspetti giuridici: il tradizionalismo contro l’assolutismo (II)
Questi due principi garantiscono ai corpi sociali e al governo una continuità dello Stato basato sul patto tra chi è destinato a governare una nazione e un popolo, tendente al vincolo di protezione del primo verso il secondo e al giuramento di fedeltà del Capo dello Stato (il re giurava verso sugli usi tradizionali e sui principi morali della religione, in particolare verso il Vangelo). In tutto questo il tradizionalismo propone un’utile e necessaria presenza dello Stato nella società civile per restare attaccato e rispettare il popolo, mettendosi al servizio per esso.
Quei due principi identificano il servizio dello Stato al proprio popolo in attinenza ai modelli e alle norme tradizionali perché come diceva il filosofo San Tommaso d’Aquino: “il popolo non è fatto per il principe, ma il principe per il popolo”. Tutti i concetti citati dall’introduzione di questo articolo provengono dal tradizionalismo ma a dare definizioni diverse a quei concetti ci pensarono le élite tiranniche che non fecero altro di violare completamente quei concetti morali delle tradizioni dei loro popoli e, soprattutto, l’esistente diritto internazionale basato sull’uguaglianza tra Stati, d’altronde presente nel Congresso di Vienna nel 1816 oltre al principio di intervento per la repressione dei colpi di stato rivoluzionari. Il tradizionalismo di ieri e di oggi, a differenza dell’Illuminismo di stampo elitario, può presentare un esempio di risveglio e di sviluppo proprio perché se si attiene alla tradizione si può arrivare al progresso e il politico spagnolo Juan Donoso Cortés ammette che “i popoli senza tradizione diventano selvaggi” ed, di fatto e purtroppo, è avvenuto nei regimi di puro assolutismo e di sola guida ideologica costituiti mediante i golpe di stato (spacciate come rivoluzioni) e senza rispettare il patto di protezione sulla nazione. Il pensiero filosofico e politico della dottrina tradizionalista sarebbe capace a far invitare ai popoli sottomessi dai governi elitari o coloniali alla revisione della loro storia, il cui diritto viene attualmente negato dalla storiografia ufficiale della tirannia elitaria e del neocolonialismo che danno spazio ad altri racconti storici sui libri di scuola e delle università. In risposta a tale crimine la dottrina tradizionalista reagisce affermando che lo Stato dovrà detenere al suo interno un certo spirito di paternità verso il suo popolo o più popoli rispettandone tutti i suoi fondamenti che hanno originato e tutelano la loro sovranità territoriale e, in caso contrario, potrebbe causare squilibri tra i popoli che porterà allo scoppio di una ingiusta guerra fratricida fomentata, ripeto, da chi li sottomettevano e li manovrarono al sostegno delle idee estranee. Lo scontro etnico tra serbi e kossovari albanesi, tra polacchi e ucraini prima e poi tra gli stessi ucraini e i russi, tra gli inglesi e gli irlandesi, tra hutu e tutsi sono uno degli esempi di come un’élite dominante vorrebbe porsi al di sopra del suo popolo con l’uso del termine “Padri della Patria” ignorandone le conseguenze negative. Il tradizionalismo rinnega e respinge onerosamente sia la supremazia etnica sia l’assolutismo di qualunque governo e di qualsiasi ideologia. Avvolte il tradizionalismo è soggetto di manipolazione da parte dell’estremismo di destra che usa le parole “paternalismo”, “educazione” e “tradizione” per rafforzare il nazionalismo e lo sciovinismo etnico in modo propagandistico. L’uso della propaganda ha trovato la sua massima efficacia nella tirannia elitaria, il cui scopo è di nascondere la verità per dire certe falsità ai popoli desiderosi del cambiamento. Di fronte a tale gesto dittatoriale che il tradizionalismo ne prende le distanze, per cui possiamo dire che la propaganda, non la religione, è l’oppio dei popoli. Perché la religione non lo è? Essa, facente parte nelle tradizioni dei popoli, garantisce ad essi l’educazione e la coscienza ma senza lo strumento propagandistico. Soprattutto il tradizionalismo fa inserire la religione nei concetti di sovranità nazionale e dei doveri dello Stato perché il capo dello Stato dovrà conoscere i principi morali di certi libri sacri (Vangelo dei cattolici e Corano degli islamici) e conciliarli sia con le norme tradizionali del suo popolo sia con le leggi del governo. Inizialmente il tradizionalismo è stata la guida politica dei governi e dei popoli ma agli inizi del Settecento si concilierà con il modernismo stabilendo i nuovi limiti morali derivanti dalle norme dei popoli. Il Settecento ha avuto questo momento di lumi grazie all’affermazione del dispotismo illuminato svolto per iniziativa dei sovrani ma è stato e rimarrà il periodo buio per la nascita della tirannia elitaria che ereditava direttamente da quella feudale. Infatti possiamo affermare che la maggioranza di borghesi e aristocratici diventeranno i veri nemici dei loro popoli per aver cominciato ad imporre le idee politiche e, mediante ad esse, hanno favorito la nascita dei governi “liberali e democratici” e delle Costituzioni che si opponevano ingiustificatamente alle norme tradizionali pur di tutelare il loro potere legato ai loro interessi personali e ideologici. Il tradizionalismo cerca di prevalere tra gli obiettivi dello Stato di più i doveri che gli interessi privati con questo imperativo latino: “Obliti privatorum, publica curate” (occupatevi degli affari dello Stato, dopo aver dimenticato gli interessi privati). Oggi non possiamo negare che i “governi democratici e costituzionali” dell’Europa si facciano influenzare dall’imperialismo occidentale ponendo sempre in alto del loro sistema statale e sociale la propria ideologia anziché i valori tradizionali del popolo con l’intento di emanare le leggi e le iniziative politiche, senza garantire il diritto ai popoli la loro libera espressione che veniva concessa dalle loro tradizioni. Il citato pensiero e i benefici auspicati dal tradizionalismo sono stati applicati con esempi di nazioni esistenti e non: nella ex-Jugoslavia esisteva il panslavismo affermatosi nella fine della prima metà dell’Ottocento e fu ereditato dal maresciallo Tito sotto forma di federalismo concesso dalle Costituzioni del 1946 e nel 1974 e con il famoso motto “Fratellanza e Unità”, riuscendo a esportare a tutti gli slavi del sud un senso di convivenza del tutto lontana dalla dottrina socialista e contrastando con mezzi soprattutto duri la rinascita dei nazionalismi di tipo sciovinisti (Ustascia croati e cetnici serbi) e, nonostante la sua manipolazione compiuta dall’élite serba e le due guerre del 1940-45 e del 1990-2003, molti abitanti tengono a cuore tale vecchio ricordo senza riconoscere il contributo dei criminali di guerra riconosciuti come Eroi della loro Patria; la Germania, prima dell’avvento dell’unificazione nazionale del 1871, ebbe una Confederazione che ereditava i confini del Sacro Romano Impero ma ampliava più l’autonomia ai piccoli Stati tedeschi attraverso le unioni personali (passate alla storia come il primo esempio del federalismo) e reggeva sotto la mediazione della Presidenza della Confederazione su tutti i Principi e i sudditi. La guida della Confederazione veniva affidata ai sovrani degli Asburgo austriaci ma, visto le ripetute ambizioni di conquista e di egemonia da parte della Prussia per volontà della dinastia degli Hohenzollern e del politico prussiano Otto von Bismark, sarà frantumata a pezzi con il susseguirsi delle guerre contro l’Austria e la nascita dello Stato unitario tedesco così desiderato dall’élite protestante, retto però da un duro assolutismo; in Spagna, oltre al preteso costituzionalismo delle élite, esiste il motto carlista “Dios, Patria, Rey y Fueros” in cui, assieme al dovere del Re nel ruolo di custode e difensore della Tradizione in attinenza alle leggi divine e naturali del popolo, viene prevalso l’autodeterminazione locale dei popoli ispanici nell’affermazione che la Spagna è una nazione di piccole patrie, a cominciare dai Paesi Baschi e dalla Catalogna, e poi passare al socialismo autogestionario, per cui il carlismo tende a rappresentare un’ideologia trasversale che solamente conservatrice; nella penisola italica vive l’impunito razzismo unitario che continua a privilegiare la Padania e a impoverire la nostra Napolitania e la Sicilia ma rimane un obiettivo da contrastare da parte dei movimenti identitari italici dell’indipendentismo e dell’autonomismo. Mettendo da parte gli elogi e i sostegni verso la malaunità italiana, il federalismo è stato il primo ideale di soluzione politica ad un nuovo processo di unificazione anche sotto la guida di una personalità in qualità di reggente di tale unità, in particolare dal papato che seppe mantenere unita l’intera penisola e tutti i suoi popoli soprattutto dalle improvvise invasioni straniere. Inoltre sia la fede religiosa sia gli ideali politici spinsero i popoli italici nel prendere parte alle Insorgenze antifrancesi del 1798-99 e del 1806-09 e non certamente a quella cosiddetta “Resistenza antifascista” che privilegiò solamente la Padania anziché i popoli colonizzati che, ben presto, si opposero alle leggi sabaude della farsa Repubblica. Il motivo? Non li riconoscevano legittime perché ereditavano i crimini del razzismo unitario tant’è che l’atteggiamento dei popoli e dei suoi sostenitori, in particolare le associazioni sociali e i movimenti indipendentisti, rimane sempre lo stesso: più indifferenza meno fiducia. Naturalmente gli ascari diranno che tale scelta deriva dalla loro colpa? No, sono gli stessi politicanti e gli stessi governanti in quanto responsabili di aver danneggiato il loro ambiente, i suoi diritti, le sue libertà e i suoi bisogni. Tutto ciò va contro le loro tradizioni e definire politica una cosa del genere è fuori senso. Traendo dal pensiero della dottrina tradizionalista, si può capire che la tradizione può rappresentare un’alternativa politica di benessere, di uguaglianza e di legalità visto l’incapacità di applicazione della Costituzione dovuta soprattutto alla sua mancata conciliazione con le esigenze di un popolo o dei popoli. La tradizione è utile ai popoli non alla conoscenza dei diritti e dei doveri ma al recupero della civiltà che essi l’ha possiedono e l’ha praticano da secoli, superando la disuguaglianza causata dalle ideologie di odio etnico e razziale. Allora noi napolitani abbiano l’onore, la libertà e la gioia di possedere una serie di civiltà che nemmeno l’élite padana e ascara non sarebbe capace di conoscerli che cerca di sottomettere il suo popolo alle sue idee di supremazia etnica, tentando di denigrare il nostro sacrificio e il nostro impegno di lavoro e di solidarietà che invece tendono a far rinascere il nostro progresso perduto e sottratto dalla Malaunità. Per combattere il razzismo unitario non servono solamente le idee politiche, ma che le idee stesse si attingono alle nostre tradizioni nel rispetto del nostro popolo e nel ripudio totale di ogni sentimento di vendetta, di potere e di supremazia….fine
Antonino Russo