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Ferdinando II di Borbone: un re statista e padre affettivo del proprio popolo (II)

Posted by on Apr 2, 2023

Ferdinando II di Borbone: un re statista e padre affettivo del proprio popolo (II)

il 19 ottobre 1846 riformò la legge sulla naturalizzazione degli stranieri del 17 dicembre 1817 emanato da Ferdinando I, permettendo ad ogni straniero di poter acquisire la cittadinanza in caso del suo contributo al progresso della collettività o al di fuori dello Stato duosiciliano;

il 10 febbraio 1848 approva la Costituzione, il primo fra tutti i sovrani dei legittimi Stati preunitari, scritta da Francesco Paolo Bozzelli che sanciva i reali principi di fatto attinenti allo Statuto di San Leucio e democratici (Meritocrazia, Segreto delle lettere, Copertura del passato, Qualità del cittadino, Proprietà letteraria) assenti nello Statuto albertino; l’11 maggio 1855 istituisce l’Amministrazione generale delle bonifiche volte alla pulizia delle zone paludose con lo scopo di dare proprietà ai contadini poveri o effettuare le opere pubbliche con l’Amministrazione di Ponti e Strade e con il Consiglio edilizio di una determinata provincia. Tali citati anni ci mostrano che non solo l’impegno ma anche la bontà esiste nell’anima di Ferdinando II nel voler dare un adeguato e promesso cambiamento all’interno del sistema duosiciliano, arrivando a ottenere dei migliori risultati: rimasero scomparsi l’emigrazione e la disoccupazione; i ceti popolari venivano messi al centro dell’attenzione politica; permise ai figli delle famiglie di poter studiare senza interruzioni; i bisognosi non venivano lasciati da soli e avvisava ai ricchi e ai sovversivi più impopolari di non esercitare la prepotenza nei loro confronti. L’obiettivo principale di Ferdinando II è quello di favorire il dialogo tra lo Stato e i suoi individui per mettere in atto le esigenze e i bisogni di quest’ultimi, ossia l’instaurazione della pace e giustizia sociale e divina nella società civile. A non mancargli di subire le pesanti critiche si occupavano indubbiamente i pennaruli, quel gruppo di persone con mentalità e intellettualità egoistica che, abbracciando le varie ideologie politiche, si mossero a scrivere gli articoli e a commettere gli atti del disordine pur di sottomettere i duosiciliani alle loro idee realmente estranee e inconciliabili con i principi civili di quest’ultimi. Il giovane re, considerandola una minaccia non solo al sistema monarchico ma ai bisogni dei sudditi, prese le distanze, impegnandosi a rendere le Due Sicilie uno Stato interamente ed esternamente neutrale da ogni influenza continentale, in particolare dall’Austria e dall’Inghilterra. Con quest’ultima, però, affrontò uno dei problemi che portarono successivamente all’attacco culturale e alla decadenza del Regno: la questione dei zolfi siciliani. Inizialmente il suo discendente Ferdinando VI stipulò il 26 settembre 1816 il trattato commerciale con gli inglesi per la gestione dei zolfi in Sicilia, una delle materie prevalenti dell’isola. Gli inglesi, a differenza dei Borbone, si erano sempre puntati sull’ampliamento del loro Stato condotto con lo sfruttamento delle risorse economiche e dei lavoratori in modo selvaggio e con una serie di ingerenze alquanto ingiustificate. Proprio a causa di tale condotta che lo zolfo ebbe conseguenze negative, determinando il superamento dell’offerta sulla domanda e l’esistenza delle condizioni disumane dei minatori. Nel 1838 Ferdinando II visitò la Sicilia ma quando notò la miseria degli abbandonati minatori, fece ridurre la tassa sulla farina e incolpò coraggiosamente gli inglesi di aver sfruttato quei lavoratori senza dignità. In risposta di tale ingiustizia, il re interruppe il trattato del 1816 e stipulò un nuovo contratto con la compagnia francese Taix-Aycard con sede Marsiglia, in cui spingeva l’impresa stessa di ricostruire l’industria del zolfato a spese proprie anche per aiutare i lavoratori mediante la Casa della Povertà gestita da Francesco Gravina. Tale gesto di carità di Ferdinando II veniva fin da subito ostacolato dagli inglesi, in particolare dal Lord Palmerston, che il 17 aprile 1840 invieranno le loro navi militari con il preciso scopo di attaccare le navi duosiciliane, ma Ferdinando II non si trovò impreparato di fronte ad una ingiusta guerra che fece richiamare 12.000 soldati regi per difendere sia la Sicilia sia la Napolitania. Per fortuna la guerra non avvenne con l’intervento del “Re cittadino” Luigi d’Orleans che spinse Ferdinando II il tentativo di bloccare il contratto franco-duosiciliano ma il giovane re rafforzò il carattere neutrale nella diplomazia e nell’economia per combattere ogni imperialismo di ciascuna potenza europea, a cominciare da quello inglese su istigazione di Palmerston. L’Inghilterra decise di vendicarsi contro la dinastia promuovendo una spietata campagna diffamatoria con l’aiuto delle congiure elitarie presenti negli Stati europei. Sia gli inglesi sia i pennaruli d’élite rappresentavano insieme non solo un problema diplomatico per il governo duosiciliano ma soprattutto una totale minaccia per l’assicurata pace e la sicurezza garantita per il popolo duosiciliano. A pensare che nel 1844 gli stessi fratelli Bandiera e la maggioranza dei pennaruli liberali gli pretesero di ottenere la Corona d’Italia vista la sua apertura verso il modernismo. In risposta Ferdinando II l’ha rifiutò perché se le avesse accettata avrebbe subito il torto di aver violato le antiche e legittime indipendenze degli Stati preunitari, tra cui lo Stato Pontificio, di cui era un devoto cristiano. Naturalmente i pennaruli non risparmiarono la neutralità di Ferdinando II puntata sul rispetto dei diritti dei popoli che sulla iniziativa di conquista militare, scegliendo di appoggiare Carlo Alberto, ignorando il fatto che egli tra il 1840-44 fece fucilare 113 liberali e che diverrà, ben presto, un re corrotto della tirannide elitaria. Invece Ferdinando II dimostrò di essere un re per sempre vicino al suo popolo per non abbandonarlo e mai trattarlo come schiavo e ci sono stati momenti in cui il re, nei confronti degli attentatori alla sicurezza pubblica condannati dalle Gran Corti Criminali, voleva applicare l’umanità che la durezza, poiché è stato sancito dal decreto regio del 1845 che intende puntare sulla rieducazione del detenuto, facendoci capire che, su ispirazione dei valori morali del Vangelo e delle tesi roussoiane, “il suo male non deriva dalla sua nascita ma dalla società che lo circonda a condizionarlo negativamente”. A causa di questo esempio di clemenza che il nostro Regno viene etichettato, a caso e per ingiustizia, nel 1851 dal Lord Gladstone, su incarico di Lord Palmerston, come la “negazione di Dio”, ma l’intrepido Ferdinando II non si fece intimorire da quella impietosa risposta, consigliandoli di dare visione alle condizioni disumane dei popoli dell’Irlanda e dell’India causate dalla loro politica colonialista. L’umanità duosiciliana si opponeva al totalitarismo anglo-elitario perché non condivideva l’esaltazione di una sola ideologia classista presente in tutte le componenti politiche che dominarono la vita sociale e istituzionale degli Stati europei, i quali portavano al loro interno tante crisi e vari tentativi di presa di potere anche con le finte rivoluzioni. Ai certi “difensori della libertà” può essere un fastidio nell’assistere la presenza dei “regimi assolutistici” senza comprendere le realtà dei popoli che vivono in quei regimi. Quell’assolutismo così odiato dai liberi pensatori si atteneva ai valori morali delle tradizioni dei vari popoli e ai concetti del dispotismo illuminato, dovendo mettere da parte le varie organizzazioni politiche guidate da intellettuali e politici coinvolti in logge massoniche e nelle sette terroristiche spacciate come rivoluzionarie. I sovrani, i popoli minuti e la nobiltà benefattrice erano i protagonisti sociali dei loro antichi Stati legittimi e storicamente esistiti prima che essi subiscano un improvviso cambiamento istituzionale con l’avvento della Prima guerra mondiale e della tirannia occidentale. Il Regno delle Due Sicilie è tra gli Stati legittimi che conosceva al meglio il concetto di buon governo nel gestire l’economia, la società civile, le istituzioni e la cultura e il re Ferdinando II favorì il modernismo in eredità dei suoi discendenti e si impegnò a emanare le altre riforme, ottenendo tanta soddisfazione dal popolo duosiciliano e miglioramenti nel sistema monarchico. Dove nessun invasore straniero non è riuscito a portare modernizzazioni nella Napolitania e nella Sicilia se ne occupò i Borbone, a cominciare da Carlo III. Quella dinastia che voleva dare al popolo tutto ciò che desiderava per il suo bene impedì, ad ogni costo, la prepotenza dei vecchi e nuovi padroni, in particolare quelli terrieri che venivano perseguiti dagli usi civici del 1792. Gli inglesi e i provocatori d’élite giudicarono a caso e con assai diffamazione l’operato politico di Ferdinando II con le seguenti parole: “oppressore dei liberali”, “Re spergiuro” e “Re Bomba”. Hanno avuto tanta passione e follia a mettere in atto quelle parole che nulla avevano a che fare con la realtà e non convinsero per niente i sudditi duosiciliani che furono protetti dalla loro Corona. Con quale coraggio potevano definirlo un “oppressore” se sotto il suo illuminato governo fece affidare ruoli e compiti specifici a personaggi legati al dispotismo illuminato:

. Giustino Fortunato senior per il ruolo di Presidente del Consiglio dei Ministri tra il 1849-1852, un ex-giacobino della Repubblica Partenopea filo-francese del 1799 di cui fu arrestato ma ottenne incarichi di procuratore generale sotto Murat e di consigliere delle finanze sotto i Borbone, arrivando a contribuire all’applicazione delle riforme di Ferdinando II, tra cui l’indizione del referendum sulla sospensione della Costituzione che di fatto avvenne con il maggior consenso popolare;

. Carlo Filangieri Principe di Satriano per il ruolo di generale dell’Esercito delle Due Sicilie, noto di essere stato il figlio di Gaetano Filangieri, autore de “La Scienza della Legislazione” (1784) da cui prende spunto lo Statuto di San Leucio, ma come Fortunato si legò alle riforme ferdinandee applicandole in Sicilia per stroncare la tirannia del baronaggio che si era impossessato dell’isola sotto la cieca protezione degli inglesi durante i fatti del 1848. Filangieri, sotto l’autorizzazione di Ferdinando II, risanò il debito pubblico e tutelò l’autonomia isolana in qualità di Luogotenente generale di Sicilia tra il 1849 e il 1855;

. Lodovico Bianchini per i due ruoli istituzionali: come Segretario per gli Affari Interni in Sicilia tra il 1837 e il 1847 sotto la luogotenenza di Onorato Gaetani (1837-1840), di Josef Anton Tschudi (gennaio 1840-novembre 1840) e di Luigi Nicola de Majo (1840-1848), condividendo al pieno il riformismo borbonico arrivando a istituire nell’isola vari istituti: l’Istituto d’Incoraggiamento, la Direzione centrale di Statistica, la Commissione consultiva di Governo, l’Ufficio del Catasto, i Collegi Militari e il Deposito de Mendici. Inoltre inaugurava le nuove vie, bonifiche e altre opere pubbliche desiderate dal popolo isolano, ereditando i sacrifici di modernizzazione dei due viceré Domenico Caracciolo e Francesco d’Aquino, i quali si dedicarono non solo a permettere la Sicilia il suo avvicinamento al periodo di rinnovamento ma di liberarla dall’ossequiente e ingiusto baronaggio. Come Ministro dell’Interno durante il governo di Ferdinando Troya, fratello di Carlo, tra il 1853 e il 1859, dando il suo contributo alle riforme di Ferdinando II.

. Pietro Calà Ulloa, magistrato ordinario e un convinto federalista, nel 1838 è stato il primo a denunciare l’esistenza delle sette criminali in Sicilia che, ben presto, favoriranno la nascita della famosa Mafia. Mediante questa denuncia si capisce che Ulloa tendeva a favorire la lotta contro la delinquenza comune capeggiata dai baroni e che sarà adempiuta dai suoi successori: dal commissario Salvatore Maniscalco e dal procuratore del Re Giuseppe Mario Arpino.

Antonino Russo

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