Ferdinando II di Borbone: un re statista e padre affettivo del proprio popolo (III)
Ferdinando Nunziante, generale dell’Esercito duosiciliano e discendente di Vito Nunziante, colui che nel 1818 fece bonificare le zone paludose di Rosarno e realizzò le varie opere pubbliche, tra cui ponti e strade, arrivando a fondare e costruire San Ferdinando nel 1831 che lo eresse come villaggio (specie di frazione) del comune di Rosarno.
Il generale Nunziante, oltre di essersi distinto nella repressione del banditismo filo-settario nel luglio del 1848 nelle Calabrie assieme al generale Errigo Statella e seguendo la beneficenza di Vito verso i poveri, nel 1842 supportò i detenuti per reati comuni nell’impegno di volontariato sulla costruzione di altre case per permettere a San Ferdinando e a Rosarno un adeguato sviluppo commerciale, concedendo a quest’ultimi molti salari e l’assoluta riduzione delle pene (stesso metodo fu attuato nelle città lucane colpite dai terremoti del 1851 e del 1857).
Quindi definire il re Ferdinando II un “oppressore” mi pare un’affermazione interamente propagandistica, e poi non ci aspettiamo che i pennaruli usano le due parole diffamatorie, non solo “oppressore” ma anche “Re spergiuro”, per aver “represso nel sangue” le rivolte “patriottiche” del “Risorgimento”. Certamente il decreto regio del 1845 non può essere l’unica prova che mostra l’umanità di Ferdinando II verso i suoi nemici: lo storico Paolo Mencacci afferma con chiarezza che egli fece commutare le condanne a morte agli attentatori del’48: su 42 condannati 19 in pena ergastolo, 11 in 30 anni ai ferri e 12 in pene minori. Prima, dopo e durante il ’48 circa 9.864 condannati, tra cui 2.713 per reati politici e 7.181 per reati comuni, vengono sottoposti alla grazia regia e che l’ha ottennero per consenso del sovrano. Questo si che è solidarietà da parte di un Capo dello Stato e di un governo che non intende infliggere al suo popolo le presunte ingiustizie che, purtroppo, verranno commesse dopo l’instaurazione dello Stato unitario di guida padana. Ma siccome a loro per solidarietà l’ha intendono come una dovere per chi si dedica a “salvare la patria” (senza specificare di quale patria), ovvero i membri delle sette e i Savoia, mentre a chi è dimentico lo fa per superstizione e con arroganza, per cui vengono sempre paragonati i Borbone per cancellare la loro clemenza esistita nei loro cuori e nella loro politica. Ma cerchiamo di dire la verità: Se i detenuti ebbero il diritto alla sopravvivenza e alla rieducazione garantito dalla dinastia borbonica, sotto i Savoia & Co ebbe inizio il terrore identico a quello giacobino dove la pietà verrà sostituita dalla violenza: 111.520 patrioti napolitani saranno fucilati e morti in carcere, mentre altri 1.073 morirono per malattie e ferite. In tutto questo sta a significare l’esercizio della tirannia da parte dei Savoia contro i partigiani napolitani volenterosi di veder tornare il loro re Francesco II al trono e di ripristinare i loro diritti violati dagli invasori. Eppure l’imperatore francese Napoleone III non aveva torto a dire: “i Borboni non commisero in cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di sua Maestà (i Savoia ovviamente) in un anno”. Ormai tutti i politici di vari popoli italici ed europei guardavano e sapevano la brutalità del governo piemontese nella repressione della ribellione partigiana napolitana e siciliana. A causa di tale sentimento che i patrioti della Napolitania e della Sicilia venivano chiamati come briganti e delinquenti comuni per screditare la loro impresa di liberazione che, purtroppo, non fu compiuta con successo e si sa come è andato a finire. Ma ritorniamo nella figura di Ferdinando II, in cui il quale continuava a regnare con efficienza e con serietà anche per essere presente in persona nelle visite e nei dialoghi ufficiali con i suoi sudditi nelle province duosiciliane, in particolare a Napoli, a Bari, a Ischia, a Foggia, a Potenza, a Laureana, a Mongiana e a Palermo. La sua presenza ufficiale non solo puntava sull’intervento dello Stato sui vari problemi ma che doveva svolgere un altro dovere politico e, soprattutto, religioso: l’ascolto per i prossimi e la coscienza professionale. Infatti, secondo il liberale Francesco Saverio Nitti con il suo libro “Scritti sulla questione meridionale”, nelle sue disposizioni regie inviate agli intendenti provinciali, ai sindaci decurioni, ai commissari regi e agli agenti del fisco veniva prevalsa l’importanza dello Stato (la monarchia) sul sostegno dei ceti popolari, tant’è che il re stesso spingeva i funzionari di ascoltare chiunque del popolo e di non farsi colludere con i prepotenti e con i delinquenti comuni, dovendo riconoscere le conseguenze negative in caso contrario. Questo dovere di alto morale è stato fatto dai Savoia e da questa farsa Repubblica? Zero. Poi i politici ascari mettono in atto le loro recite per esibirsi alle varie sceneggiate con l’intenzione di affratellarsi con i popoli italici, compreso il nostro. Peggio dei pagliacci. Soprattutto questo atto osceno non era permesso da Ferdinando II durante i festeggiamenti, la cui organizzazione doveva dipendere dalla volontà e dal sentimento del popolo. Esempio di solidarietà e di assoluta democrazia che non erano nemmeno presenti nel Piemonte. Ferdinando II permise al suo popolo di poter entrare a far parte nelle istituzioni e negli istituti di beneficenza per partecipare nel mondo del lavoro e della solidarietà, evolvendo il concetto di progresso e di associazionismo mosso sui valori morali di San Leucio (invece gli ascari ci impongono a riconoscere le società di mutuo soccorso e le associazioni di origini padane). Voleva che tutti i sudditi fossero nelle condizioni di buona salute e sotto protezione da parte delle scorte di polizia inviate dai commissari regi, dagli intendenti provinciali e dal Ministero della Giustizia, il cui ruolo fu adempiuto da Maniscalco in Sicilia. Grazie alla garantita sicurezza e all’applicazione delle riforme di Ferdinando II, i sudditi vivevano nella pace, potevano lavorare con molti benefici, garantivano ai loro figli il diritto allo studio, ottennero molte terre da coltivare dategli dai loro Comuni ed ebbero le proprie vite totalmente diverse da quelle degli usurpatori e dei delinquenti comuni che, come sempre, turbarono la pubblica sicurezza. Naturalmente Ferdinando II non si stancò di spingere al Ministero della Giustizia di rafforzare le altre unità di polizia duosiciliana, al fianco delle guardie urbane, per impedire qualsiasi azione del disordine volta a danneggiare le attività economiche e la pace delle province napolitane e siciliane. La criminalità rivoluzionaria di Costabile Carducci e di Carlo Pisacane ne sono gli esempi. Entrambi capi tentarono di coinvolgere i contadini e gli abitanti delle città per mettere in atto il loro colpo di Stato ma, ricevendone un volontario rifiuto, decisero di minacciarli attuando il metodo di terrore che potesse spingerli ancor di più a prendere parte alle loro “imprese di liberazione”. Tutt’oggi la storiografia razzista non si è degnata di ammettere tale natura di quei finti rivoluzionari. La popolazione napolitana non si fidava di quei veri banditi del disordine tant’è che implorarono a Ferdinando II di salvarli al più presto possibile, il quale si mosse subito a inviare i militari e la polizia a dargli la caccia. La fine dei due capi si ebbe con la loro morte, mentre altri membri sia moriranno negli scontri a fuoco sia si consegneranno alle autorità regie, ottenendone le pene minori per volontà del sovrano. Inoltre per impedire che tale strategia criminale potesse riprendersi di nuovo, il 26 dicembre 1850 il generale Ferdinando Nunziante emanò una nuova ordinanza regia, riconosciuta dallo stesso re duosiciliano, che proibiva ai grandi proprietari terrieri di possedere dei guardiani armati per infliggere un duro colpo all’arma di difesa del feudalesimo e all’alleanza tra la delinquenza comune e la sovversione politica, di cui prendevano parte gli usurpatori agrari. Altri esempi di vera legalità sono i seguenti: il decreto del 29 settembre 1838 obbliga i comuni a bandire le illegittime usurpazioni dei grandi proprietari sulle terre affidate ai poveri contadini; il decreto del 19 dicembre dello stesso anno auspicava l’assoluto e immediato intervento dei procuratori del Re e degli intendenti provinciali della Sicilia nella difesa dei comuni contro le pretese folli dei baroni; la deposizione di Antonio Presterà, un contabile monteleonese accusato di furto aggravato sui soldi appartenenti alle famiglie dei detenuti con lo scopo di arricchirsi. Oltre la solidarietà e l’umanità, regnava pure la legalità che era stata riconosciuta dalle riforme di Ferdinando II e non quella auspicata dai pennaruli dei Savoia che, prima e dopo l’unità, si basava sull’acquisizione e sul rafforzamento del potere al disprezzo dei bisognosi, come il caso di “Re bomba”. Ferdinando II ricevette tale definizione diffamatoria perché è noto di aver “bombardato Messina” per reprimere la rivoluzione siciliana del 1848. Quel 1848 fu non altro che, come dice giustamente il direttore di Sud e Civiltà Edoardo Vitale, una rivoluzione senza popolo fondata, ovvero, sul potere e sui soldi. Nella Sicilia controllata dagli inglesi i baroni spadroneggiarono l’intera isola e rubarono tutti i soldi delle Casse comunali e del Banco di Sicilia per finanziare quella opposizione armata contro l’intervento del generale Filangieri volto a salvare la Sicilia dall’anarchia baronale. Con quali prove intendono mostrare i pennaruli ascari se l’innocente Ferdinando II fece riaprire a Messina la sua università, fece ridurre le tasse sul sale, mantenne il suo porto franco e fece istituire gli orfanotrofi e il Monte di Pietà. Nel settembre di quel 1848 le forze alleate del baronaggio dovettero posizionare i canoni offerti dagli inglesi per bombardare la Real Cittadella presidiata dalle truppe duosiciliane ma, ad un certo punto, Giuseppe La Masa e Vincenzo Giordano Orsini, due servitori della tirannia baronale e successivamente due ascari antisiciliani al servizio dei Savoia, organizzarono a modo loro per contrastare l’esercito duosiciliano. La Masa fece assalire le biblioteche, i documenti relativi al Porto Franco e tutti gli edifici, considerando tale gesto un estremo sacrificio per una buona causa, mentre Orsini, in qualità di colonnello d’artiglieria, bombardò ripetutamente le case dei messinesi con lo scopo di impedire l’avanzata dei soldati duosiciliani ma fece scatenare molta paura agli abitanti e la loro fuga dalla città sottoposta dai bombardamenti fino al completo ritorno dopo la liberazione della città da parte delle truppe di Filangieri. Secondo il direttore barone Farruggia circa 889 case sono state incendiate e la perdita patrimoniale di Messina arrivò a 7,58%. Il vero colpevole di bombardamento di Messina non è Ferdinando II ma bensì i capi dell’artiglieria e, soprattutto, le bande armate siciliane finanziate dai baroni, dove i picciotti di Mamma (l’attuale Cosa Nostra) nell’elogiare il tricolore della Trinacria avrebbero piccato a fuoco molte case per minacciare gli abitanti di non collaborare con i militari duosiciliani. Per fortuna, la tirannia baronale in Sicilia ebbe fine nel 1849 e Filangieri fece risollevare economicamente e istituzionalmente l’isola, dandone l’assoluta pace che era stata violata precedentemente dai baroni e dagli inglesi. Però entrambi nemici dei Borbone e del suo popolo, assieme agli usurpatori napolitani, decreteranno la condanna a morte delle Due Sicilie con un’invasione illegittima compiuta tra il maggio e il settembre del 1860. Il re Ferdinando II non voleva permettersi al regio esercito di poter bombardare a caso le città soggette del disordine rivoluzionario e di dargli il diritto al saccheggio che verrà compiuto dai temuti generali piemontesi Enrico Cialdini, Pier Eleonoro Negri, Pietro Fumel e Alfonso La Marmora contro il popolo napolitano. Il diffamato re intendeva ripristinare la pace in ogni provincia duosiciliana colpita da un presunto fermento del disordine, condannando maggiormente i capi e gli organizzatori e risparmiò tutti coloro che furono costretti e istigati a prendere parte a quelle azioni pericolose. Egli mostrava tutto il suo amore verso i sudditi non solo promettendo e applicando le riforme attinenti ai loro bisogni e alle loro esigenze ma di controllare la politica del governo, in tal modo che esso possa interessarsi sulle condizioni del popolo. Prima di tutto partiva dai bisogni, poi si interessò sui rinnovamenti moderni nei momenti necessari. Invece negli Stato europei e nel Piemonte dei Savoia i bisogni venivano messi da parte dai governi che si occuparono di soddisfare gli interessi dei pennaruli che non combaciavano con la realtà, portando agli abitanti sabaudi e sardi solo miseria, disoccupazione e schiavitù. Non solo queste ingiustizie avvennero nel Piemonte ma pure nella civilissima e liberale Inghilterra, come affermerà lo scrittore Carlo Alianello. Però gli storici del razzismo unitario vorrebbero imporre ai popoli della Napolitania e della Sicilia di elogiare i giacubbini, i moti rivoluzionari, il 1848, i Savoia, i patrioti, Garibaldi, Mazzini, Vittorio Emanuele, Cavour, lo Statuto albertino, la Resistenza, la Repubblica italiana, la Costituzione del 1948 e le riforme “italiane” di ieri e oggi, costringendoci di dimenticare i nostri progressi e il sacrificio dei nostri antenati nel aver realizzati, a cominciare da Ferdinando II, colui che, con onestà, con fedeltà, con amore e con la coscienza, guidò le Due Sicilie per difendere i sudditi da tutti i mali provenienti dalle potenze europee e dalle sette dominanti. Altro che “se avessimo avuto un Cavour” una frase detta dai ottusi personaggi del programma televisivo “L’eredità della priora” del 1980, ispirato sull’omonimo romanzo dello stesso Alianello, ma fuori senso visto la tanta speculazione fiscale sulle banche e il rafforzamento tirannico della figura del Presidente del Consiglio sui Ministeri compiuti per volontà del politico piemontese, che nelle Due Sicilie con la legge del 12 dicembre 1816 proibisce a ogni dipendente pubblico di candidarsi nelle liste elettorali, giusto per capire quanto sia proibito l’ingerenza su altri affari istituzionali. Noi napolitani possiamo dire con tutto il nostro cuore: “Minomal’ ca avimmo avut’ ‘o papà Ferdinando”.
Antonino Russo
Ferdinando ll, un grande Re, intelligente, aperto e quasi paterno verso il suo popoli…il contrario della ingiuriosa “negazione di Dio”… Si vergognassero quelli che lo pensarono… purtroppo mori’ troppo presto… chi lo sa, forse fatale fu la ferita inferta dell’esaltato o pagato sbucato all’improvviso tra la folla… La medicina a Napoli era all’avanguardia all’epoca, ma la penicillina non era ancora stata scoperta!.. caterina