Giudizio di Buonarroti su Robespierre
Il giudizio di Filippo Buonarroti su Robespierre (tratto da A. Saitta, Filippo Buonarroti, Roma 1951) è ricavato da una breve biografia che l’italiano scrisse dopo il 1830.
Gli scritti che Robespierre ci ha lasciato, insieme ai suoi costumi pubblici e privati, attestano che egli fu costantemente preoccupato dal pensiero della rigenerazione sociale, alla quale aveva consacrato la propria vita: Popolo, Eguaglianza, Virtù, erano le grandi idee, alle quali riportava tutti i doveri del legislatore…
La più grande sciagura fu che la cancrena divorava le viscere della convenzione, in seno alla quale Danton professava, tra gli applausi di numerosi discepoli, l’amore del denaro, la sete del potere, l’indifferenza politica e il disprezzo della virtù. Il comitato di salute pubblica diceva che fosse pagato dall’Inghilterra. Robespierre scorse, nei vizi e nei tentativi di questi faziosi, l’ultimo ostacolo che restava da vincere per arrivare al regno pacifico dell’eguaglianza e del popolo. Decise di combattere e con ciò firmò il proprio decreto a morte. Quando la probità e la virtù furono messe all’ordine del giorno, quando l’immoralità fu dichiarata controrivoluzionaria, quando dall’alto della tribuna si proscrisse l’egoismo e l’intrigo, quando dei deputati concussionari furono tradotti davanti al tribunale che condannava i traditori, le fazioni immorali impallidirono e concepirono atroci progetti. Una riforma, così come la concepivano Robespierre e i suoi amici, è così contraria alle idee di ordine sociale comunemente ricevute, che non è da stupirsi che a fianco di coloro che la contrastavano, perché minacciosa del loro interesse e delle loro passioni, vi fossero degli uomini che non la favorivano, non riuscendo a comprenderla e non potendo conciliarla con le loro massime e con le loro antiche abitudini; ed è forse a questa fatale disposizione degli spiriti che fu dovuto il rigetto delle due grandi
misure, l’educazione comune e l’allocazione dei beni nazionali al popolo…
Robespierre morì povero ed amato da tutti coloro che avevano avuto la possibilità di conoscere ed apprezzare la sua virtù. Fu la vittima dell’immoralità. Il popolo non ebbe mai amico più sincero e più devoto. Si sono fatti dei grandi sforzi per infangare la sua memoria: ora lo si è rimproverato di aver voluto impadronirsi della dittatura; ora gli vengono imputati a delitto i rigori necessari esercitati dal governo rivoluzionario. Fortunata, diciamo noi, la Francia, fortunata l’umanità se Robespierre fosse stato il dittatore e il riformatore! Egli non esercitò mai il diritto di proscrivere e di giudicare; non ebbe altra autorità se non quella della parola; egli si era allontanato dal comitato di salute pubblica mentre che il tribunale rivoluzionario pronunciava un grande numero di pene di cui, in certe crisi, la virtù più pura riconosce l’urgenza ed approva la severità.
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