Alta Terra di Lavoro

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Gli intrighi, le menzogne ed il brigantaggio piemontese in Italia (II)

Posted by on Gen 30, 2023

di Hercule de Sauclieres – Prima versione italiana di Giulio B.G.N.E Venezia: Tip. Emiliana, 1863

CAPITOLO SECONDO
La propaganda e la menzogna dei liberali intriganti

Frattanto il Principe Schwarzenberg avendo formalmen-te ed energicamente dichiarato in nome del Gabinetto Austriaco1 che il Governo di S. M.

l’Imperatore era irrevo­cabilmente deciso a non accettare alcuna mediazione che avesse per oggetto un’alterazione qualunque de’ suoi posse­dimenti in Italia, e che consentirebbe meno ancora a distac­care la Lombardia dall’Impero, proposizione che non ema­nava dal Gabinetto imperiale, e non era mai stata da esso sanzionata; il Gabinetto di Torino perdendo allora ogni spe­ranza d’aver la Lombardia con intrighi diplomatici, ruppe slealmente l’armistizio col suo famoso Manifesto alle nazioni dell’Europa civilizzata, e cercò nell’azzardo delle battaglie quel­lo che gl’intrighi non gli avevano potuto far ottenere. Già Roma, Napoli, Firenze, Venezia e Parma erano in rivolta ed obbedivano a Governi provvisorii di società segrete o a ridi­cole Repubbliche create dalla Giovine Italia. Si sa ciò che avvenne; il re vinto a Novara, abbandonato, tradito dalla setta2, se ne andò ad espiare nella solitudine dell’esigilo i funesti effetti della sua ambizione; ma quello che non si sa mai abbastanza, si è la grave ragione allegata dal Governo sardo per giustificare questa sleale rottura dell’armistizio Arrestiamoci dunque un momento su questo strano Manifesto, capo di opera di menzogna e di mala fede rivo­luzionaria.

Il Governo sardo, si dice dapprincipio “costretto, dal seguito degli avvenimenti, a rientrare in quella carriera ove lo chiamarono i voti degl’Italiani determinati di ricon­quistare la loro nazionalità”. Ma poiché gl’Italiani erano allora così determinati a riconquistare la loro nazionalità, come avviene che nell’armata di Carlo Alberto a Novara non v’erano che Piemontesi? Donde viene che le bande di Garibaldi a Roma non erano composte per la massima parte se non che di stranieri di tutti i paesi? Il Governo sardo del resto riconosce anch’egli nel suo Manifesto alle nazioni dell’Europa civilizzata, che egli fu lasciato solo sul campo della battaglia ove passioni poco nobili avevano già spar­so semi di discordia. E difatti l’Austria avrebbe avuto essa un’armata forte abbastanza per vincere la rivoluzione, dal momento che le popolazioni tutte d’Italia fossero marciate di conserva coi ribelli? Ben si sa, per esempio, che i popo­li della campagna in tutta la penisola sono devoti ai loro legittimi Sovrani. Se il Piemonte se ne vuoi convincere, ritiri le sue numerose truppe dai paesi che gli ha conqui­stati la Francia, o che si è annessi con intrighi e tradimen­ti, e che oggi tiene sotto il suo giogo colla violenza ed il terrore delle armi, e vedrà ovunque richiamati ed accla­mati i Sovrani legittimi. Il Piemonte sarebbe forse il solo ad ignorare che il suo nome in oggi è esecrato da un’estremità all’altra della Penisola?

Il Manifesto pretende inoltre che la rivoluzione italiana sia un effetto del progresso della civilizzazione! Sarebbe stato più giusto il dire, che le ambizioni di qualche uomo l’han­no prodotta, che le società segrete l’hanno preparata, organizzata, disciplinata, e che i facili tradimenti hanno ovunque assecondato il suo movimento; la balordaggine poi dei popoli, e la turbolenza del sangue italiano fecero il rimanente. Se i progressi della civilizzazione fossero stati capaci di produrre quest’opera d’iniquità che si chiama la rivoluzione italiana, sarebbe stato necessario per l’interes­se dei popoli medesimi di consigliare i re a sterminare ogni civilizzazione.

“Era naturale che la rivoluzione italiana vedesse nell’Austria il suo principale nemico, e contro questo diri­gesse tutti i suoi sforzi”, naturalissimo; i faziosi della peni­sola sono stati così spesso e severamente puniti dall’Austria, che essi dovevano detestarla con tutta la forza dell’animo loro. Ma quello che meno si capisce è come il Piemonte si sia fatto il campione della rivoluzione italia­na, ed abbia prese le armi contro una Potenza che più volte protesse la corona dei re di Sardegna messa in peri­colo dai faziosi medesimi. L’interesse, se non la ricono­scenza, doveva fargli un dovere di non offendere un simile alleato. E chi lo proteggerà quando la democrazia italiana in rivolta rovescerà il suo trono come già gli altri? Chi proteggerà uno scomunicato contro il terribile giudizio di Dio???

Che se è permesso di cercare l’origine dei diritti che si fondato sui possedimenti anche secolari e sui trattati, con molta maggior ragione si deve permettere di discutere quei precisi diritti che altra origine non hanno in fuori dagl’intrighi, dalle perfidie, dai tradimenti, e che non sono che attentati contro la morale, la civilizzazione, la libertà contro il diritto medesimo. Non sappiamo forse noi come si fece quest’odiosa iniquità che si chiama il Regno d’Italia?… Non abbiamo noi assistito alla sua creazione?… Il Piemonte dice, è vero, nel suo linguaggio subalpino: Io sono l’Italia, io cedo ai voti dell’Italia! Ma giacché tu sei l’Italia, perché da fratello barbaro e snaturato massacri i tuoi fratelli? E chi ti ha dato il diritto di opprimerli col tuo giogo? Dove sono i trattati che hanno esteso il tuo pic­colo regno dalle Alpi fino al mar Jonio?… Che diritti hai a questi possedimenti?… Il tuo diritto, il tuo unico diritto, io non lo vedo inscritto che su una carta d’ammissione ai clubs della Giovine Italia, fra il diritto dell’assassino, del rivoltoso, fra una bomba fulminante, un cannone ed un pugnale! Veramente ti si addice bene di “Considerare diversissima l’origine di possedimento che l’Austria ha sui varii territorii di cui si compone il Regno Lombardo-Veneto!”.

“Il diritto dell’Austria sulla Repubblica di Venezia non è fondato sopra altro che su quegli atti arbitrarii che la coscien­za pubblica ha sempre condannati come contrarii a tutte le regole della giustizia e dell’equità”. Ma con qual diritto il Piemonte possiede gli stati della Repubblica genovese?… Non è in virtù dei trattati del 1815?… Con qual diritto pos­siede egli la Lombardia conquistata all’Austria dall’armata francese?… Non è in virtù dell’atto di donazione che gliene fece Napoleone III e del trattato di Zurigo sì dolosamente osservato fino a tutt’oggi?… Quando si vuoi fare il moralista bisogna prima praticare le regole della morale. Che se l’Italia è stata costretta a subire i trattati del 1815, il Piemonte non ha il diritto di lagnarsene, giacché senza questi trattati egli non esisterebbe di certo.

Ma vedete singolar maniera di ragionare. “Se i trattati, dice il Manifesto, decidono delle questioni fra i popoli, essi però non possono decidere dell’esistenza dei popoli medesimi, perché non possono cancellare la lingua e la storia, e fare che un atto passeggero, risultato della forza brutale, prevalga perpetuamente contro le leggi stabilite dalla natura e dalla provvidenza. L’Italia deve esistere da sé stessa, non nella geografia o nelle statistiche, ma nei Congressi delle nazioni civilizzate”. Ed infatti trovasi forse un’epoca nella storia, nella quale l’Italia abbia esistito da sé stessa come regno, come impero, o come repubblica? Io la vedo da ben duemila anni vinta e sottomessa ai conqui­statori del mondo, soggetta al giogo dei Romani; io non la vedo mai formare una nazione indipendente. All’incontro io la scorgo da dodici secoli circa formare diverse nazionalità presso a poco come prima della fonda­zione di Roma, benché con un diverso sistema politico.

L’Italia una, repubblica, impero, regno, teocrazia anco­ra, oggi non si può comprendere che coll’idea d’uno scon­volgimento dell’equilibrio europeo. Però si comprende l’i­dea d’una Confederazione italiana formata di concerto coll’Austria, la Francia e la Spagna, l’avanguardo della civilizzazione cristiana nella sua marcia verso l’Oriente. Là vi era una nobile e grande intrapresa che avrebbe ricolmo il Piemonte di gloria; ma egli preferì avvilire la sua corona nei miserabili intrighi delle società segrete. L’egoismo rivoluzionario l’ha dominato, od ora la logica del male lo conduce fino a scorrere nel sangue della sua fatale Unità.

I trattati, dite voi, non possono decidere dell’esistenza dei popoli, né fare che un fatto passeggero, risultato della forza brutale, prevalga in perpetuo!”. Ma le vostre conqui­ste e le vostre annessioni non sono forse il risultato della forza brutale, e la più brutale?… E non è ancora colla forza brutale che ne conservate il vostro dominio?… Speriamo dunque che questo fatto passeggero di forza brutale non prevalerà perpetuamente. Quanto poi a questa espressione “che i trattati non possono decidere dell’esistenza dei popoli” dessa mi sembra uno schiaffo umiliante dato in anticipazione dal Governo sardo al suo re, che cedeva nel 1860 con un trattato la italiana contea di Nizza ed il suo antico ducato di Savoia all’imperatore Napoleone.

“Il Governo sardo, prosegue il Manifesto, non rinnega la responsabilità d’aver cominciata la guerra dell’indipen­denza italiana, anzi al contrario si vanta d’aver cominciata un’opera così perigliosa. Egli sapeva che ciò facendo rispondeva ai voti dei popoli e combatteva pel trionfo della più santa causa dell’ordine sociale e dell’umanità. Tutti i Governi della penisola erano allora seco lui d’ac­cordo, tutti avevano fornito il loro contingente alla guer­ra, e tutti così provarono che l’indipendenza d’Italia era il voto di tutti i popoli italiani”. Qui l’iniquità si fa audace menzognera ed impudente: e come non bastasse commet­tere gli attentati, il Piemonte se ne vanta in nome della santa causa dell’umanità. Veramente c’è molta umanità a far massacrare i popoli per conseguire un vano titolo di re d’Italia! Attila, questo flagello di Dio, massacrò i popoli egli pure, ma non se ne vantava.

“Tutti i Governi della penisola, dite voi, erano d’accor­do col Piemonte, e tutti fornirono i loro contingenti alla guerra, provando così che l’indipendenza d’Italia era il voto di tutti i popoli italiani!” Quando si mentì mai così impudentemente? Ma quali sono i Governi della penisola che hanno aderito alla vostra politica, e forniti i loro con­tingenti alla guerra? E il Papa? La rivoluzione dopo aver assassinato il suo primo ministro, lo condannò ad andare in cerca d’un rifugio su quella rocca di Gaeta, che poi una gloriosa difesa doveva immortalare. È il re delle Due Sicilie? La rivolta sorgeva quasi padrona nei suoi stati, egli aveva dovuto abbandonare la sua capitale. Forse il Duca di

Parma, o il Granduca di Toscana? Essi avevano dovuto egualmente abbandonare i loro stati. La più atroce tiran­nia regnava in tutta la penisola. Le società segrete aveva­no ovunque stabiliti Governi provvisori d’intriganti, e dal­l’una all’altra delle due estremità la penisola gemeva sotto il giogo della più atroce tirannide. Quanto al duca di Modena, egli non solo non fornì i suoi contingenti alla guer­ra, ma anzi, messosi alla testa delle sue truppe, ruppe più volte gli amici e gli alleati del Piemonte, e fra gli altri luo­ghi a Livorno, ultimo baluardo della rivoluzione in quel­l’epoca. Io non vedo dunque col Piemonte alcun governo regolare in questa ingiusta guerra; io non vedo che il solo partito della distruzione, il quale certamente avrà fornito il suo contingente e la sua approvazione in una guerra di tal sorta.

Il Manifesto sembra poi voglia fare un rimprovero al Governo francese per non avere offerto al vinto re di Sardegna che una semplice mediazione in comune coll’Inghilterra, mentre gli venivano domandati dei soccorsi che erano stati promessi a popoli che desideravano conquistare la loro nazionalità. Ma prima del 1848 la Francia non ha mai né promessi né offerti soccorsi ai rivoluzionarii d’Italia perché potessero acquistare la loro pretesa nazionalità, e gli altri diplomatici ne fanno fede. Però nel 1848 la Repubblica francese gli offrì un generoso e fors’anche imprudente soccorso che il Piemonte rifiutò, dicendo orgogliosamente quelle famose parole che poi divennero popolari “L’Italia farà da sé”. E queste parole confermano dispaccio del 21 agosto 1848 diretto dal cittadino lio Bastide, ministro degli affari esteri, al cittadino D’Harcourt ambasciatore della Repubblica francese a Roma. “Non è colpa della Francia, dice il cittadino mini-stro, così chiamavasi al felice tempo della libertà, dell’e­guaglianza e della fratellanza, se l’Italia non è stata da lei soccorsa. La Repubblica le ha sin dal principio offerta una generosa assistenza, ma l’Italia l’ha rifiutata pretendendo d’essere in grado di bastare a sé medesima”. Questo rifiu­to si capisce; quando si ha per sé il voto dei popoli si deve poter far tutto senza soccorsi stranieri. Dunque la Francia nulla aveva promesso, essa aveva offerto generosamente la sua assistenza che fu sdegnosamente rifiutata. L’Italia farà da sé! E si è dovuto conquistarle la Lombardia, chiudere gli occhi sulle annessioni, e turarsi gli orecchi per non udire le grida delle vittime massacrate a Castelfidardo, ed infine darle un aiuto a rovesciare il trono di Napoli.

Quanto all’accusa data all’Austria, che questa potenza voleva solamente approfittarsi dell’armistizio del 9 agosto per rinvigorire le sue forze e farsi giuoco della buona fede della Sardegna, si potrebbe domandare al Piemonte se egli è stato colle mani alla cintola nei 7 mesi che durò l’armisti­zio. E poi chi aveva domandato quest’armistizio? Non fu Carlo Alberto tradito dalla fortuna, e costretto a piegare il capo sotto il capriccio delle circostanze? S’ignora forse che dipen­deva solamente dalla volontà dell’Austria ad inseguire il nemico, mentre si ritirava, e dettargli la pace sul suo pro­prio territorio? E l’armistizio medesimo non fu egli domandato come un’introduzione allo stabilimento d’una pace definitiva?3 Quanto poi all’espressione volersi far giuoco della buona fede della Sardegna, questa è una figura retorica che ogni giorno perde molto del suo valore, soprattutto  uno che il Piemonte ne fece un uso sì frequente; non vi presteremo dunque una grande attenzione.

Noi non parleremo delle viene perfide dell’Austria, né delle flagranti violazioni dell’armistizio commesse da questa Potenza, e di cui il Manifesto fa con dolore una lunga enumerazione, né dei diritti eterni che regolano tutte le Società calpestate dalla forza brutale d’un vincitore, né delle manifestazioni spontanee delle popolazioni italiane che domandavano fervorosamente al Piemonte l’unione dei popoli lombardo-veneti e dei ducati alla Sardegna, né del rispetto del Governo sardo per una convenzione subita, né della sua pazienza e longanimità, né infine della nobiltà della generosità del popolo subalpino mentre andava a versare il suo sangue per la santa causa dell’umanità; le nazio­ni civilizzate che il Governo sardo chiama a testimonii della giu­stizia della sua causa, sono da molto tempo edificate della verità e della sincerità piemontese. Ma quello che noi non sapremmo passare sotto silenzio è l’appello alla guerra ed alla rivolta contro l’Austria fatto in questo Manifesto alle popolazioni della penisola italiana e della Germania ancora. Qui il Governo sardo, reso cieco dall’ambizione, non s’ac­corge che questo appello alle passioni rivoluzionarie, è un incendio attaccato ai quattro angoli dell’Europa, è una vio­lenza sostituita alla giustizia ed al diritto, è il dispotismo bru­tale, o l’anarchia più brutale ancora della moltitudine. E che cosa guadagnerebbe il Piemonte sollevando le nazioni con­tro l’Austria?… La riprovazione universale e la caduta del suo trono; non si agitano impunemente gli ultimi gradi della società! Carlo Alberto vinto a Novara ha cessato di esser re; Vittorio Emmanuele coronato Re d’Italia sul Campidoglio dalla rivoluzione potrebbe quel giorno finire di tenere lo scettro in mano. L’avvenire ci mostrerà se sono saggi e veri amici dei popoli quelli che si fanno uno sgabello delle rivo­luzioni.

Tale fu il Manifesto del Governo sardo che denunziava l’armistizio alle nazioni dell’Europa civilizzata. Capo d’o­pera di menzogna e di mala fede, ricevette la sua punizio­ne con una famosa sconfitta. Il Gabinetto austriaco con una risposta nobile, piena di moderazione, ma energica, l’aveva già qualificato come insigne opera di perfidia. L’Europa sa già da lungo tempo ove sia la frode, ed ove parimente sieno la giustizia ed il diritto.

https://www.eleaml.org/sud/borbone/brigantaggio_piemontese.html#secondo

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1 Comment

  1. Non mi è mai capitato di leggere un’analisi così profonda e argomentata che suona come condanna della sopraffazione ingiusta e fatale dell’unità d’Italia ad opera, o vantaggio direi, del Piemonte! Sappiamo che il disegno maturo’ altrove!…(nella perfida Albione)…Se fosse fatto circolare potrebbe essere il manifesto giusto per fare dell’Italia finalmente una Confederazione, nel rispetto della storia di tutti gli antichi popoli che l’abitavano…e ancora l’abitano con orgoglio e non se ne sono andati…e non sanno forse quanto sono stati oggetto di trame di potere su cui si fonda la subdola omologazione che ci umilia tutti dalla Sicilia al Brennero! caterina

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