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Gli intrighi, le menzogne ed il brigantaggio piemontese in Italia (IX)

Posted by on Feb 8, 2023

Gli intrighi, le menzogne ed il brigantaggio piemontese in Italia (IX)

CAPITOLO NONO
Smascherare il Piemonte

II riconoscimento del regno d’Italia non è solamente uno scandalo per l’Europa ed un’onta per la diplomazia, ma è di più un consacrare il diritto di rivolta: cercheremo provarlo.

Primieramente il riconoscimento del regno d’Italia è uno scandalo ed un’onta. E di fatti non è una vergogna vedere dei re sanzionare una rivoluzione che prima aveva­no caricata d’anatemi e di disprezzi? E non è anche un’on­ta il riconoscere un’opera concepita coll’intrigo, ordita coll’astuzia e consumata colla violenza e coi tradimenti? Ma chi d’or innanzi rispetterà i diritti mentre i Re non li rispettano! E se mai il popolo od un conquistatore toglierà ai Re riconoscitori lo scettro e la corona, in virtù di qual autorità difenderanno essi i loro diritti?…

Il riconoscimento del regno d’Italia è uno scandalo per l’Europa! Questo è il grido di tutti gli uomini onesti. Ed è inoltre un’onta per la diplomazia! Cosa si direbbe d’un tri­bunale che in vece di punire il ladro, lo spergiuro e l’assas­sino, riconoscesse con giudizio solenne il fatto compiuto, accogliesse con simpatie il colpevole e gli rendesse gli onori che solo si devono agli uomini onesti? Sarebbe forse più colpevole il rubare una moneta d’argento che un regno, o l’assassinare un uomo più che il massacrarne delle migliaia?… La coscienza rifugge da tali idee, e la penna non ha espressioni abbastanza energiche per isvergognare tali attentati!

Il riconoscimento del regno d’Italia è un’iniquità. Sovrani deboli ed inoffensivi, in pace con tutte le Potenze d’Europa, sono stati odiosamente attaccati nei loro diritti e nei loro poteri! Sono stati oltraggiati con una perseve­ranza infernale nel loro onore come uomini e come sovra­ni; con tradimenti si è sordamente minato il loro trono, si è insultato e calunniato il loro Governo, si sono invasi i loro stati senza dichiarazione di guerra, si sono date delle battaglie, si sono bombardati nel loro ultimo asilo, infine circondati dalle mine fatte da’ loro nemici, sono stati costretti ad andare a vivere poveri ma gloriosi nell’esiglio! Un prete ed una donna sono stati attaccati e spogliati in eguai modo! E tutto questo fu fatto per creare un regno d’Italia, e sanguinose bande d’assassini hanno prestato il loro concorso a quest’opere d’iniquità! Tutto questo dice la storia, non è né più né meno dell’orribile fatto compiu­to solennemente riconosciuto dall’Europa.

Noi abbiamo dunque ragione di dire: il riconoscimento del regno d’Italia è una profonda iniquità! E se noi volessi­mo essere severi nel nostro giudizio potremmo dire che v’è fino una complicità di delitto.

Il riconoscimento del regno d’Italia è una consecrazione imprudente del diritto di rivolta. E diffatti la rivoluzione italiana non è essa nel suo principio, ne’ suoi mezzi e nel suo scopo una tenebrosa opera d’odio e di disordine, nella quale le mene de’ traditori si uniscono nella rivolta a quel­le degli stranieri tanto per proclamare la repubblica quan­to per acclamare il regno di Piemonte? Ma se gli Italiani hanno il diritto di porre in disordine la loro patria e di detronizzare i loro legittimi sovrani a profìtto della casa di Savoia, se loro è permesso di disfare colle armi quanto hanno fatto i secoli ed i trattati, ov’è il diritto dei re? Ov’è l’ordine e la giustizia, queste due basi fondamentali di tutta la società?… Si guardino bene i sovrani! Se il diritto della rivolta, questo diritto che quasi tutti in Francia ed in Italia hanno riconosciuto, è vero, il loro diritto non è più che una menzogna dalla quale i popoli devono cercare d’affrancarsi, come s’affranca da una servitù o da un giogo: questa è la logica fatale dei riconoscimenti.

È vero che il Principe Gortschakoff dice in una sua cir­colare del 6/18 agosto scorso, ove cerca di spiegare il rico­noscimento, che non intende né di sollevare né di risolvere la questione di diritto. Ma non è un sollevare e risolvere la que­stione, non è un consecrare il diritto della rivolta “il, giudi­car utile di mantenere e di fortificare Torino sul terreno dell’ordi­ne sociale, non rifiutando il suo appoggio morale al Governo ed alla maggioranza illuminata d’un paese pel quale si dichiara avere molta benevolenza e simpatia1?” E poiché si vuoi ricono­scere “che non è solamente una questione di diritto che si combatte oggidì, ma sibbene il principio monarchico e l’ordine sociale che lottano contro l’anarchia rivoluziona­ria” diteci chi fece quest’anarchia rivoluzionaria? Non è il Piemonte, che per soddisfare la sua ambizione, e quella de’ suoi compiici, ha distrutto il principio monarchico e l’ordine sociale in Italia? E con qual mezzo? Con tutto quello che hanno di più vile e di più odioso gli intrighi, i delitti, i tradimenti e gli assassinii.

Il riconoscimento del regno d’Italia, diciamolo dunque altamente, non è solamente una consecrazione impruden­te del diritto di rivolta, non è solamente una iniquità diplomatica: è uno scandalo ed una vergogna per l’Europa: essa ne riceverà tosto o tardi la sua punizione.

Ma per dare più forza al nostro giudizio, diremo qui come si giudicavano or sono appena due anni, a Berlino ed a Pietroburgo la politica rivoluzionaria del Piemonte, i suoi intrighi, le sue conquiste, le annessioni e le sue guerre per­fide ed ingiuste. Ecco una nota diretta da Coblenza il 13 otto­bre 1860 dal Barone Schleinitz ministro degli affari esteri al Conte Brassier di Saint-Simon ministro del re di Prussia pres­so la Corte di Torino. È una protesta nobile ed energica con­tro l’invasione compiuta dalle truppe piemontesi sugli stati pontifici e sul regno di Napoli, contro quel medesimo regno d’Italia che il Gabinetto di Berlino poi riconobbe.

“Signor conte, il Governo di S. M. il Re di Sardegna comunicandoci col mezzo del suo ministro a Berlino il Memorandum del 12 settembre sembra volerci invitare ad esprimere l’impressione che gli ultimi suoi atti hanno pro­dotto nel Gabinetto di S. A. il Principe Reggente.

Vostra Eccellenza saprà ben apprezzare i motivi che ci condussero a ritardare fino ad oggi questa spiegazione. Da una parte si sa bene che noi vogliamo mantenere i buoni rapporti che esistono col Gabinetto di Torino, ma d’altra parte le regole della nostra fondamentale politica ci sono troppo presenti per farci capire la divergenza dei principii che seguiamo noi e quelli della politica di Vittorio Emmanuele. Ma in vista del progresso sempre più rapido degli avvenimenti, noi non possiamo prolungare più a lungo questo silenzio che potrebbe dar luogo a spia­cevoli mal intese. È dunque d’ordine di S. A. R. il Principe Reggente, che per prevenire erronee apprezziazioni, vi espongo senza riserva il modo con cui furono da noi veduti gli ultimi atti del Governo Sardo, ed i principii svi­luppati nel surriferito Memorandum.

Tutti gli argomenti di questo fatto tendono al principio del diritto assoluto delle nazionalità. Noi siamo certa­mente molto lontani dal negare l’alto valore dell’idea nazionale. Questa anzi è in Prussia e in tutta la Germania l’idea più efficace e più possente della forza nazionale. Ma il nostro Governo quantunque attribuisca al principio di nazionalità la massima importanza, non può trovarvi la giustificazione d’una politica che rinuncierebbe al rispetto dovuto al principio del diritto. Al contrario ben lungi dal riguardare come incompatibili questi due principii, pensa che è unicamente nella via legale delle riforme, e rispettando i diritti esistenti, che è permesso ad un Governo regolare di realizzare i voti legittimi delle nazioni.

Dopo il Memorandum sardo tutto dovrebbe cedere alle esigenze delle aspirazioni nazionali, ogni volta che l’opi­nione pubblica si fosse pronunciata in favore di queste aspirazioni, e le autorità esistenti non avrebbero che ad abdicare il loro potere avanti ad una simile manifestazione.

Or bene, una massima così diametralmente opposta alle regole più elementari del diritto delle genti mai non saprebbe trovare la sua applicazione senza i più gravi pericoli per il riposo dell’Italia, per l’equilibrio politico e la pace dell’Europa; sostenendola, si abbandona la via delle rifor­me per gettarsi in quella delle rivoluzioni.

Però, appoggiandosi al diritto assoluto della naziona­lità italiana, senza avere da allegare nessun’altra ragione, il Governo di S. M. il re di Sardegna ha domandato alla Santa Sede il rinvio delle sue truppe non italiane, e senza neanche aspettare il rifiuto di questa ha invasi gli stati pontificii di cui occupa anche al presente la maggior parte. Sotto questo stesso pretesto le insurrezioni che scoppiarono in seguito di questa invasione sono state sostenute; l’armata che il Sovrano Pontefice aveva formata per mantenere l’ordine pub­blico è stata attaccata e dispersa. E lungi dal fermarsi in que­sta via che egli segue col disprezzo del diritto internazionale, il Governo sardo da l’ordine alla sua armata di passare sopra diversi punti le frontiere del regno di Napoli collo scopo dichiarato di venire in soccorso dell’insurrezione ed occupare militarmente il paese.

Nel medesimo tempo le Camere piemontesi sono occu­pate di un nuovo progetto di legge tendente ad effettuare nuove annessioni in virtù del suffragio universale, e ad invi­tare così le popolazioni italiane a dichiarare formalmente il decadimento dei loro principi. E in questo modo che il Governo sardo, invocando i principii del non intervento in favore dell’Italia, non retrocede avanti alle infrazioni del principio medesimo nei rap­porti cogli altri Stati italiani. Chiamati a pronunciare il nostro parere su tali atti e principii, non possiamo che deplorarli profondamente e sinceramente, e crediamo compiere al nostro stretto dovere esprimendo nel modo più esplicito e più for­male la nostra disapprovazione e per questi principii, e per l’ap­plicazione che si credette bene di farne”.

Vediamo intanto se il principe Gortschakoff è meno energico od esplicito nella sua Nota del 28 settembre (10 ottobre) 1860 al principe Gagarin, incaricato d’affari della Corte di Pietroburgo a Torino.

“Mio principe, dopo che i preliminari di Villafranca hanno messo un termine alla guerra d’Italia, una serie d’atti contrarii al diritto è stata compiuta nella Penisola e vi ha creato una situazione anormale di cui ora vediamo svilupparsi le conse­guenze. Dopo che questa situazione ha cominciato a svi­lupparsi, il Governo imperiale ha creduto che fosse suo dovere di chiamare l’attenzione del Governo sardo sulla responsabilità che pigliava sopra di sé correndo per una pericolo­sa carriera.

Noi gli abbiamo diretta una rimostranza amichevole nel momento in cui la rivoluzione di Sicilia cominciò a ricevere dal Piemonte un appoggio morale e materiale che gli permise poi di prendere le proporzioni che prese effettivamente in seguito. A nostro parere la questione esce dalle complicazioni locali. Essa tocca direttamente i principii ammessi come base delle relazioni internazionali, e tende a sfa­sciare le basi sulle quali si fonda l’autorità dei Governi stabiliti.

Noi abbiamo raccolti con profondo rammarico i motivi allegati dal Conte Cavour, che gli hanno impedito d’op­porre ostacoli più efficaci a queste mene, ed abbiamo preso atto de’ suoi discorsi in questo proposito. Il Governo imperiale crede con questa attitudine d’aver dato una prova sincera del suo desiderio di voler stare in buoni rapporti colla Corte di Torino; ma crede ancora averlo abbastanza chia­ramente avvertito delle risoluzioni che Sua Maestà sarà costretto di prendere, qualora il Governo sardo si lasci stra­scinare da queste influenze, che pel sentimento del suo onore nazionale fino ad ora ha ripudiate.

Io  ho il dispiacere di dire che questa risoluzione non è stato possibile di più aggiornarla.

11       Governo sardo ha ordinato alle sue truppe, in mezzo allo stato della più perfetta pace, senza dichiarazione di guerra, e senza provocazione, di passare la frontiera romana, ed ha patteggiato apertamente colla rivoluzione
stabilita a Napoli. Egli ha sanzionato questi atti colla pre­senza delle truppe piemontesi e di altri funzionarii sardi che erano al servizio di S. M. Vittorio Emmanuele. In fine il Governo sardo compì questa serie di violazioni del diritto, annunziando all’Europa la sua intenzione di annettere al Piemonte territorii che appartengono a sovrani che ancora si trovano ne’ loro Stati, e che difendono la loro
autorità contro i violenti attacchi della rivoluzione.

Con questi atti il Piemonte non ci permette più di con­siderarci come estranei ai movimenti che hanno messo in disordine tutta la Penisola. Egli prende sopra di sé la loro responsabilità, e si mette in opposizione coi diritti delle nazioni. La necessità ch’egli allega di combattere l’anarchia non lo giustifica, poiché egli si mette appunto sulla via della rivoluzione, ma non per arrestarne i progressi, bensì per raccoglierne i frutti. Tali pretesti non sono ammissibi­li. Qui non si tratta d’un interesse puramente italiano, ma d’un interesse generale comune a tutti i Governi. Si tratta di quelle leggi eterne, senza le quali non si può aver né pace, né sicurezza in Europa.

S. M. non trova possibile che la sua Legazione resti in un luogo ove può assistere ad atti che la sua coscienza e le sue convinzioni riprovano.

S. M. I. è costretta a mettere un termine alle funzioni che voi disimpegnate presso la Corte di Sardegna. E dun­que volontà del nostro augusto Monarca che, ricevendo queste istruzioni, domandiate i vostri passaporti, e che abbandoniate immediatamente Torino con tutto il perso­nale della Legazione…”.

Che cosa si dovrà pensare della politica versatile di queste due Corti e di quella di Parigi ancora, che non fu meno esplicita e meno energica, e la cui Legazione lasciò pure Torino per ordine del proprio Governo?… Quanto si deve credere si è che in quelle tre Corti v’è come un parti­to politico che fa i suoi giuochi. L’Italia ne è come il tap­peto verde; nessuno però conosce ancora il pensiero dei giuocatori, ma è certo che un pensiero c’è. In caso noi non dobbiamo mai perdere di vista queste frasi d’un dispaccio di Thouvenel ambasciatore delle Tuilleries pres­so la Corte di Russia del 17 ottobre 1860: “Un giorno l’Italia, stanca delle rivolte e dei disordini che la sua imprudenza avrà provocati, accetterà dalle mani dell’Europa come un benefi­zio quello che altra volta le parve una violenza”. Quale è que­sto benefizio che ora pare una violenza? Certo non è l’u­nità italiana, né meno ancora la ristorazione dei sovrani detronizzati. E l’altra frase dello stesso ministro tolta da un dispaccio del 28 settembre del medesimo anno: La sag­gezza consiglia alle Potenze di non mischiarsi attivamente negli affari d’Italia, se non quando la Penisola, stanca delle sue agita­zioni, conoscerà il bisogno di ricorrere all’Europa. Con una sola parola si possono dunque spiegare i riconoscimenti del Nord: questa parola è una commedia! Però questa comme­dia potrebbe volgersi in tragedia, e gli intrighi giovare al pugnale di Mazzini… Non si pigliano mai impunemente a giuoco la giustizia, il diritto e l’onore.

Il nostro compito è finito. Abbiamo voluto smascherare il Piemonte. Per un francese era un diritto, per un cattoli­co un dovere. Ma c’è un uomo ancora di cui noi vorrem­mo smascherare i progetti, prima che la sua ambizione metta in fuoco l’Europa: questo noi lo faremo, se pure gli avvenimenti, precipitandosi, non preverranno la nostra penna; imperocché se tace quegli che deve parlare, allora, come dice il grande Apostolo,  grideranno le pietre!

31 agosto 1862

FINE

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fonte

https://www.eleaml.org/sud/borbone/brigantaggio_piemontese.html#ottavo

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