Alta Terra di Lavoro

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Gustavo Benso marchese di Cavour

Posted by on Dic 4, 2022

Gustavo Benso marchese di Cavour

Loreto Giovannone evidenzia aspetti quasi sconosciuti dell’attività del fratello del conte Camillo

Gustavo Cavour

Fratello di Camillo è quasi totalmente oscurato dalla fama del fratello minore Camillo. La storiografia ufficiale lo ha trascurato, di conseguenza ad esclusione delle biografie e carteggi pubblicati a stampa, il personaggio è scarsamente conosciuto, totalmente dimenticato dai libri di storia, sconosciuto dalla maggioranza assoluta del pubblico. Nacque a Torino il 27 giugno 1806 da Michele e Adele de Sellon. Si formò sotto la guida della nonna Filippina de Sales, della madre e dei precettori di famiglia, l’abate Ferrero, il boemo Joseph Marschall, professore di tedesco e di botanica, e, dal 1822, l’abate Giovanni Frézet. A differenza del fratello minore Camillo, dimostrò fin dall’adolescenza indole studiosa e riflessiva, ma pure instabilità di carattere. (http://www.treccani.it/enciclopedia/gustavo-benso-marchese-di-cavour_%28Dizionario-Biografico%29/)

«Les questions d’intérêt»

Gli storici ricordano il poco appoggio dato dalla famiglia a Camillo e Gustavo, con Camillo in vita, condivise il distacco dal fratello: «…ma i suoi rapporti con Gustavo non erano più tali da far rivivere l’atmosfera di un tempo a palazzo Cavour, dove il conte [Camillo] continuò ad abitare fino alla fine. Occupando un suo appartamento ma dividendo ogni giorno i pasti con il fratello e il nipote. Restavano i vecchi dissensi di carattere religioso; e anche sul piano politico l’intesa era ormai svanita». A questi si aggiunsero i contrasti, discussioni e tensioni in casa tra fratelli per la gestione del patrimonio familiare. «Più grave fu poi la crisi determinatasi nei rapporti tra i due fratelli per effetto di una depressione nervosa da cui Gustavo fu colpito verso la fine del giugno 1856… [rapporti] fomentati a giudizio di[Camillo] dal segretario Carlo Rinaldi, si appuntarono sulla presunta rovina patrimoniale… Cavour dovette impegnarsi in un attento lavoro di dimostrazione e giustificazione» (Rosario Romeo, Cavour e il suo tempo 1854-1861, Laterza 2012, Vol. 3).

La vera ragione potrebbe essere stata la divergenza ideologica provocata dalla discussione in parlamento della legge sull’incameramento dei beni ecclesiastici e non la depressione nervosa. Da quanto riportato dai biografi la fama di introverso e riservato è associata a difficoltà, fino alle problematiche di salute, ma forse si maschera la opposta posizione ideologica dei due fratelli, l’amicizia con Antonio Rosmini e la sua filosofia politica non allineata con il pensiero politico di Camillo creò profondi dissidi.

La legge… sull’incameramento dei beni ecclesiastici approvata dalla Camera dei deputati il 2 marzo e del Senato il 27 luglio… creò insanabili dissidi. Nel frattempo Rosmini e Gustavo di Cavour si danno da fare per impedirla… Gustavo di Cavour nella seduta del 9 gennaio [1855] alla Camera dei deputati tiene un discorso contro la legge in discussione. «Eccellente discorso – gli scrive il Rosmini – Ce l’abbiamo letto con gran piacere: e sento il bisogno di congratularmi di cuore con Lei».

Dalla deprecata legge l’Istituto del Rosmini non ebbe danno, poiché, come scrisse Gustavo in una sua lettera, «come corpo non possiede nulla». (http://www.rosmini.it/Resource/CentroStudi/Carteggio%20Cavour%20Rosmini%2002.pdf)

Dopo la morte del fratello, Gustavo: «Nel 1861 venne aggregato alla facoltà di lettere e filosofia dell’università di Torino. Nel 1862 fu presidente del comitato italiano e poi commissario generale del Regno d’Italia presso l’esposizione internazionale di Londra, di cui preparò una relazione al ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio, con la collaborazione di G. Devincenzi (Londra 1862). Nel 1863 fu vicepresidente della Società italiana d’economia politica».

(http://www.treccani.it/enciclopedia/gustavo-benso-marchese-di-cavour_%28Dizionario-Biografico%29/)

Lo sfruttamento economico delle risorse naturali, politica “del carcioffo”

Posto Gustavo alla carica di commissario generale del Regno d’Italia presso l’esposizione internazionale di Londra, la casa reale sabauda lo affidò alla guida diretta di due personaggi molto più importanti per i rapporti con l’Inghilterra. Uno Giuseppe Devincenzi come suo collaboratore (ricco commerciante del teramano, massone vicino ai “fratelli” del governo inglese anche loro associati, vedi articolo AncoraLuigi Settembrini e Silvio Spaventa da cospiratori a massoni” del 18.10.2017).

L’altro che affiancò Gustavo, per volere di casa Savoia, fu sir James Hudson ministro plenipotenziario di sua maestà britannica a Torino. Nell’occasione della esposizione universale londinese, 8 maggio 1862, si stipularono per i commerci minerari una serie di affari e costituzioni societarie, quotate in borsa, di estremo interesse per gli affari del governo inglese e per le finanze di casa Savoia. Di questo enorme e gigantesco commercio di minerali e ritorno di capitali, la più colossale depredazione di materie prime dal suolo italico, Gustavo Cavour stando alla documentazione a stampa, fu spettatore con le cariche di presidente e commissario, testimone vivente e fautore, insieme ad altri, degli accordi per l’enorme sfruttamento delle risorse minerarie del regno d’Italia che andarono in Inghilterra e Francia.

Gli immensi profitti ricavati dalle miniere dello Stato raggiunsero il massimo li dove a scavare in miniera furono impiegati i “domiciliati coatti”, gli schiavi di Stato meridionali, avversari politici dopo l’annessione, colpiti dai provvedimenti dalle Commissioni Consultive Provinciali e determine ministeriali ideate ed attuate da Silvio Spaventa.

Gli affari minerari di Vittorio Emanuele II

La società “Vittorio Emanuele” (Pallanza, Novara) venne organizzata in Londra sotto la legge della “Limited liability”, con 44.000 azioni per £ sterlina cadauna; e proprietaria delle miniere di rame di Miggiandone e Baveno circondario di Pallanza, provincia di Novara». (Catalogo descrittivo del Regio Comitato Italiano, Regno d’Italia esposizione internazionale, Londra 1862. Tipografia Dalmazzo, Torino 1862).

I minerali di queste miniere presero la via per l’estero in cambio di lucro e profitti. Per gli inglesi laLimited liability è «a situation in which the owners or other shareholders of a company are not responsible for all of its debts if the company fails». Casa Savoia proprietaria e i soci investitori inglesi, blindarono gli azionisti interni, dal fallimento della società per l’estrazione ed il commercio di minerali per la produzione del rame provenienti dal sottosuolo italico.

Si garantirono l’estrazione e l’invio dei minerali con emissari inglesi direttamente nei siti a controllare le attività estrattive delle miniere sparse in tutto il territorio del neonato regno d’Italia. Nelle miniere sarde dove fornirono le locomotive, come nel bellunese «2ª miniera di Baveno. Circa 60 persone vi lavorano e fra i minatori vi sono alcuni inglesi» (Catalogo descrittivo del Regio Comitato Italiano, Tipografia Dalmazzo, Torino 1862), come nell’isola d’Elba dove addirittura posero una sede consolare. Oltre il 60% dei minerali di ferro estratti sull’isola videro la via di porti inglesi e francesi.

Incremento oltre il 300% di produzione mineraria dopo l’Unità d’Italia

annoMinatori impiegatiQuantità in quintaliValore in lire
18623.616149.5253.085.400
18699.1711.279.24613.464.780

Totale dal 1851 al 1869 quintali 4.527.887 per un ammontare di £ 62.881.258. (Dati estratti da: Camera dei deputati. Relazione deputato Sella alla commissione d’inchiesta sulle condizioni dell’industria mineraria in Sardegna. Tornata del 3 maggio 1871).

La rapina dei minerali e il monopolio inglese sull’import-export

Essendo le miniere di proprietà dello Stato, a fronte degli enormi positivi incrementi dell’esportazione verrebbe da pensare ad un ritorno positivo della cosiddetta bilancia commerciale del periodo per i virtuosi governi.

Non fu invece così e a testimoniarlo fu il rapporto del Console cav. Cattaneo: «Liverpool, ove pochi anni or sono le importazioni ed esportazioni dirette con l’Italia erano effettuate in gran parte dalla bandiera italiana [si riferisce alla flotta velica della marina commerciale del regno due Sicilie prima dell’Unità] ed ora sono passate quasi interamente sotto la bandiera inglese che li effettua col vapore… omettendo di citare la nostra inferiorità nei trasporti del Mediterraneo e precisamente nei nostri stessi porti, ove due terzi almeno delle importazioni ed esportazioni sono fatte da bandiere estere… dei servizi marittimi inglesi, francesi, austriaci, russi per tenersi in relazione coi centri più importanti del commercio italiano all’estero… la nostra marineria a vela ha dovuto ritirarsi per la concorrenza delle marinerie estere a vapore le quali si sono accaparrati i trasporti che prima erano eseguiti da essa».

(Rapporto del Regio Console cav. Cattaneo, Bollettino Consolare della navigazione italiana nel distretto consolare di Liverpool e di quella inglese fra l’Italia e quel porto, del maggio 1869 pag. 151/153).

Gli eroici padri fondatori della patria avevano portato al collasso il commercio con l’estero, un intero settore del commercio continentale fu abbattuto dai primi governi liberali che fornirono a Francia ed Inghilterra i minerali di ferro, realizzando enormi profitti, ferro con cui costruivano i piroscafi che poi acquistarono. Fu un totale disastro commerciale, 8 anni dopo il 1860 un paese circondato dal mare aveva azzerato le sue marinerie commerciali, era interamente sottomesso al monopolio del commercio inglese e degli altri paesi europei.

Loreto Giovannone

fonte

https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=26498

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