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IL BRIGANTAGGIO LUCANO

Posted by on Giu 10, 2024

IL BRIGANTAGGIO LUCANO

Da quella che è stata la storiografia ufficiale, fino a non molti anni fa, abbiamo appreso che il brigantaggio lucano fu un movimento delinquenziale, che, attraverso l’esercizio del latrocinio rapine ed uccisioni, sconvolse, all’indomani dell’unità d’Italia e per diversi anni, la nostra Basilicata.

Questa definizione, in verità molto frettolosa, ignora sistematicamente che il brigantaggio, almeno inizialmente, è alimentato da un movimento di resistenza contro i Piemontesi, i quali, presentatisi come liberatori, si rivelano ben presto come oppressori ed aguzzini.

L’annessione militare del regno delle Due Sicilie, da parte del Piemonte, favorisce le speranze, presto deluse, di migliori e più umane condizioni di vita in uno scenario di estrema povertà e stenti. La mancata ripartizione dei terreni demaniali usurpati, tante volte promessa e mai mantenuta, e le prepotenze esercitate su una popolazione inerme e sbigottita, innescano una violenta reazione, che, per cinque anni, insanguina la Basilicata e l’intero Mezzogiorno.

È l’atteggiamento assunto dalla ricca borghesia terriera, che, rifiutando le richieste dei contadini di restituire le terre demaniali usurpate, diventa il lievito del malcontento popolare che sfocia, poi, in aperta rivolta nell’aprile del 1861.

Il malcontento, che già serpeggia tra le popolazioni rurali, non turba affatto il sonno dei “galantuomini” liberali, nonostante tale stato d’animo sia già conosciuto presso le autorità della provincia. Infatti già il 13 Settembre 1860, con un articolo pubblicato dal Corriere Lucano di Potenza, si invita la popolazione a non lasciarsi trascinare come nel 1848 nelle occupazioni delle terre demaniali, destinate -secondo l’estensore dell’articolo- ad essere quotizzate e distribuite tra la popolazione, nel più breve tempo possibile.

Al governo del Piemonte, che considera antiliberale chi non abbia condiviso la sua politica, interessa, però, solamente legittimare quanto prima, al cospetto di alcune potenze europee, il nuovo assetto politico; dato che esse non ne condividono la conquista militare.

L’aspetto demaniale diventa perciò secondario, di nessuna importanza, crea solo il fastidio della gestione, volutamente tesa a non irritare la classe dei proprietari, che ha sostenuto e sostiene il nuovo governo piemontese contro quello borbonico.

L’aperta ribellione della classe più bisognosa, fatta passare come preconcetto rifiuto al nuovo ordine politico, è perciò da stroncare con ogni mezzo e l’unico modo è di farla passare come movimento di reazione -cioè brigantaggio- anche perché non può rimanere senza una convincente giustificazione l’eccezionale rigore, anzi ferocia, che viene posto in atto dalle truppe piemontesi.

Sfrondata, dunque, da fondamenti di rivendicazioni e di giustizia sociale, richieste a gran voce dalla popolazione, la rivolta diventa semplice brigantaggio per il cui annientamento si inviano in Basilicata fino a centoventimila uomini.

Incomincia, da questo momento, a scorrere molto sangue; alla luce delle nuove conoscenze, il Risorgimento Meridionale (dei nostri banchi di scuola), privo di retorica e celebrazione, ci appare, come veramente dev’essere: una grande tragedia fatta di lutti, ferocia e tradimenti, ai quali non si sottraggono nè i perdenti briganti, nè i vincitori piemontesi.

Migliala di morti e tanta distruzione, aggravano le già precarie condizioni economiche della nostra regione ed inizia così per la Basilicata la piaga dolorosa dell’emigrazione, che dissanguerà i nostri paesi.

È fuori dubbio che ogni rivolta agraria trae le sue origini e motivazioni da un profondo desiderio di giustizia che un tessuto sociale, lacerato ed ingiusto, non è in grado di soddisfare.

Fatti del passato e anche quelli della storia più recente dimostrano che le ribellioni di massa, anche le più violente, nascono e si sviluppano quando diventa più difficile frenare la volontà di doversi affrancare da miserrime condizioni di vita, specialmente se esse sono rese più gravose da soprusi ed angherie di ogni genere. Quali sono le condizioni della Basilicata agli inizi del 1860? È possibile rilevarle da un’inchiesta promossa, sul finire del 1859, dall’Intendente di Potenza, Leonardo Morelli, il quale invia nei paesi della provincia funzionari con il compito di sentire e raccogliere le lamentele della popolazione.

I dati raccolti mostrano una situazione economica e sociale spaventosa, e il problema maggiormente sentito dalla popolazione risulta quello della terra che i vari decurionati (consigli comunali) si guardano bene dal risolvere.

Afferma il Pedio: “il problema che assilla la popolazione non viene però adeguatamente sollevato dai vari Decurionati i cui componenti, interessati a lasciarlo insoluto, non nascondono le loro preoccupazioni di fronte al pericolo di una eventuale verifica dei beni demaniali usurpati.

Anziché prospettare l’opportunità di reintegrare i comuni nel possesso dei beni usurpati, i vari Decurionati, sollecitati a soffermarsi sull’argomento, prospettano una soluzione che, legittimando le avvenute usurpazioni dovrebbe, ad un tempo, evitare il ripetersi di quelle manifestazioni popolari che, già nel 1848, hanno minacciato la ricca borghesia nel possesso dei beni usurpati. Poiché in Basilicata vi sono ancora vaste estensioni di terreno di proprietà comunale, che rimangono abbandonate ed incolte, in attesa delle verifiche da tempo iniziate e non ancora portate a termine; per calmare l’odio degli indigenti contro la classe dei galantuomini, dato che i miserabili temono che anche tali terreni possano venire usurpati dai soliti grossi proprietari terrieri, si chiede l’autorizzazione a mettere a coltura tali terreni, il che solleverebbe… la classe degli indigenti dallo squallore della miseria e consentirebbe ai comuni di abolire alcuni dazi che, come quello sul macinato, generano nelle classi popolari un vivo malcontento, che potrebbe degenerare in violente manifestazioni contro la proprietà.

Tale soluzione, prospettata per risolvere la questione demaniale, sarà fatta propria da coloro che avranno il governo della provincia immediatamente dopo i moti insurrezionali, (denota la mentalità della ricca borghesia lucana e fa intendere la reale posizione assunta da questa classe sociale in Basilicata nel 1860).

Di fronte al pericolo di essere privati, sia pure solo in parte, della propria ricchezza, che consente loro di mantenere una posizione di preminenza nei propri paesi, gli esponenti della ricca borghesia, che non si sono mai preoccupati dei bisogni e delle legittime aspirazioni delle classi più povere, si serviranno del movimento liberale per conservare le proprie ricchezze e mantenere le maggiori cariche cittadine, strumento di prepotenza e di angherie e mezzo per accrescere le proprie fortune.

Infatti, rinunziando ad ogni eventuale trasformazione sociale ed economica e prospettando soltanto una trasformazione politica che non leda gli interessi di coloro che in Basilicata detengono la ricchezza, Giacinto Albini, facendosi interprete di quella mentalità, riuscirà ad ottenere l’adesione al movimento insurrezionale anche della borghesia conservatrice ed antiliberale che, nella immediata annessione del mezzogiorno al Piemonte vedrà, nel 1860, la sola possibilità di mantenere sostanzialmente la preesistente situazione economica e sociale”.

Fin qui le parole del Pedìo che chiariscono, come meglio non si potrebbe, le vere ragioni del profondo malcontento della popolazione che, lungi dal voler esprimere un rifiuto al nuovo ordine politico, manifesta e denuncia, invece, un grave disagio sociale, reso ancora più intollerabile dalle continue usurpazioni dei territori demaniali, che gettano nella povertà e nello squallore la quasi totalità della popolazione.

Non desta, perciò, meraviglia che, qualche anno dopo, tale rabbia sia espressa, in maniera lapidaria, da Vito Vincenzo Di Gianni detto Totaro, brigante di San Fele che, arrendendosi al generale Pallavicini, dice: “fummo calpestati, noi ci vendicammo, ecco tutto!”.

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(*) Principale fonte di riferimento per i testi: 

V. Guglielmucci, Annuario Celebrativo 1979/1999, ed. Tipolito 2 EMME, Genzano di L., 2000

Altre fonti bibliografiche utilizzate:

A. De Jaco, Il brigantaggio meridionale, Editori Riuniti, Roma, 1979

F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Feltrinelli, 1976

R. Scazzariello, Canti popolari e altri testi …, Appia 2 Editrice, Venosa, 1982

fonte

http://www.archeopolis.it/Pubblica/genzano/brigantaggio/index.htm?premesse.htm&2

continua…….

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