IL PECCATO DIMENTICATO DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE IN VANDEA
La storia politically correct descritta sui libri di testo scolastici è, ormai spero di averlo ampiamente dimostrato attraverso i miei articoli, nel migliore dei casi un insieme di pie generalizzazioni.
La Rivoluzione Francese non fa eccezione, e questo al di là delle considerazioni soggettive che ognuno di noi può dare relativamente ai cambiamenti che ha portato nel mondo. Prima di proseguire mi permetto però un poco di ironia, affermando senza tema di smentita che i suoi principi più longevi attecchirono nelle borghesie liberali del resto d’Europa non grazie ai rivoluzionari, bensì alle baionette dei soldati che marciavano sotto le insegne del primo console (modo gentile per definire un dittatore) e poi imperatore dei francesi, Napoleone Bonaparte.
Scherzi a parte, non tutti i francesi furono così convinti dalle innovative proposte rivoluzionarie espresse dalla Convenzione di Parigi. Il maggiore esempio in tal senso fu quello che avvenne tra il 1792 e il 1795 tra la Vandea e la Bretagna, dove decine di migliaia di insorti combatterono strenuamente in nome di Dio e del Re.
I motivi cardine della rivolta furono almeno tre:
1) la religione: la Vandea aveva una popolazione contadina dotata di grande fervore, dovuta anche alla predicazione del sacerdote san Louis-Marie Grignion de Montfort, vissuto circa un secolo prima, che aveva incentivato nella regione il culto mariano e quello del Sacré-Cœur di Gesù;
2) l’ostilità della nobiltà e dei contadini locali verso le nuove tasse imposte da Parigi per sostenere le iniziative rivoluzionarie;
3) il decreto di leva obbligatoria stabilito dal governo per radunare delle potenti armate da inviare contro la coalizione di potenze straniere che minacciava di stritolare la repubblica.
Va detto che al momento della prima sollevazione nel 1789, quando il sovrano Louis XVI era stato costretto a trasferirsi da Versailles a Parigi, diventando virtualmente prigioniero del governo rivoluzionario cui dovette concedere la Costituzione, i vandeani si limitarono a protestare per quanto stava avvenendo.
La Vandea era lontana da Parigi e nelle prime fasi le idee e le azioni dei rivoluzionari erano ancora abbastanza moderate. Tra il novembre del 1789 e il luglio del 1790 l’Assemblea Nazionale confiscò tutti i beni ecclesiastici e trasformò gli ecclesiastici in funzionari dello Stato, da quest’ultimo stipendiati. In più, vero pomo della discordia, dovevano giurare fedeltà alla Costituzione. Questo spaccò in due il clero francese, dividendo i religiosi in “refrattari” e “costituzionali”.
Se questa cosa, in principio, fu tollerata da Parigi nel rispetto della libertà di culto, ben presto le misure si inasprirono e, con la decisa virata in senso repubblicano che si concretizzò nel processo e nell’esecuzione dello stesso re Louis XVI il 21 gennaio del 1793, i religiosi “refrattari” vennero considerati nemici della Nazione e perciò perseguitati, arrestati, giustiziati o spediti ai lavori forzati nella Cayenna (faceva più o meno lo stesso visto l’aspettativa di vita nel luogo).
Il papa Pio VI, a Roma, non contribuì di certo a raffreddare gli animi. Con le encicliche “Quod aliquandum” e “Charitas quae” sospese a divinis tutti i sacerdoti e vescovi “costituzionali” e tutti quei vescovi consacrati dagli stessi.
Questo irrigidimento da entrambe le parti portò, tra il 1791 e il 1792, alla definitiva rottura tra il governo di Parigi e il clero dell’ovest, che in massa sostenne posizioni “refrattarie”, spingendo con i suoi sermoni la popolazione contadina alla contro-rivoluzione in sostegno degli eredi del sovrano giustiziato.
A questa alleanza tra popolo e clero si unirono gli aristocratici, che in molti casi provenivano da esperienze militari, aspetto che ne aumentava il prestigio e la capacità di attirare uomini, oltre che di addestrarli a dovere.
Ma fu la condanna a morte di Louis XVI e la seguente dichiarazione di guerra ad Austria, Prussia, Gran Bretagna e Olanda, che fece precipitare gli eventi. La guerra, i tribunali rivoluzionari, l’incertezza economica e legale, la necessità di cibo e vettovaglie per il governo parigino crearono una situazione di crisi nel resto del paese ben peggiore di quella della monarchia appena scomparsa, ingenerando in molte parti rivolte a stampo realista.
La goccia che fece traboccare il vaso fu la coscrizione di massa per mettere in campo 300.000 nuovi soldati per far fronte alla politica aggressiva della neonata repubblica. La scelta tra il disertare la leva per un governo da cui si sentivano sempre più lontani e l’aperta ribellione fu facile e nei villaggi di Vandea e Bretagna i contadini bruciarono i tricolori per innalzare la bandiera con i gigli borbonici o quella con il Sacré-Cœur di Gesù, che divenne uno degli emblemi della cosiddetta “Armata cattolica e reale”.
Nella primavera del 1793 molti villaggi e cittadine cacciarono i repubblicani, che si vendicarono commettendo le prime esecuzioni sommarie o i processi farsa dove si condannavano a morte in blocco dozzine di persone.
Jacques Cathelineau divenne il primo comandante dei rivoltosi. Nonostante avesse una provenienza contadina, fu colui che animò i vandeani e causò le prime sconfitte ai repubblicani. In quel momento Parigi aveva in loco solo le Guardie Nazionali, una sorta di milizia non addestrata o equipaggiata secondo il livello dell’esercito regolare. Fu per questo che, anche se spesso si trovavano in parità e alcune volte perfino in vantaggio numerico e di armamento, i soldati repubblicani vennero sconfitti, lasciando nelle mani dei ribelli moschetti, munizioni, viveri e perfino cannoni.
In breve tempo gli insorti invasero i dipartimenti del Maine e della Loira, cacciando le truppe repubblicane, oltre che occupare la zona della Marais Breton, o palude bretone. Questi successi fecero imbufalire il governo parigino che inviò in fretta e furia colonne e reparti non sufficientemente preparati, in genere agli ordini di generali che sottostimavano la bellicosità e il coraggio dei vandeani.
Questo fatto portò ad altre piccole sconfitte locali dei repubblicani, aspetto che si aggravò quando i comandanti vennero giustiziati per sospetta connivenza con i ribelli, cosa che non aumentava lo spirito di chi veniva nominato a sostituirli.
I vandeani combattevano con metodi da guerriglia, sfruttando la conoscenza delle loro foreste, valli e paludi per preparare imboscate e ostacolare l’avanzata delle colonne militari inviate da Parigi. A questo si univa la connivenza e il sostegno della popolazione locale, a loro favorevole, che garantiva cibo, rifugio e una rete di intelligence sul territorio. Fu la conoscenza di questo binomio simbiotico che scatenò l’orrore.
La Convenzione, soprattutto quando cadde in mano al Comitato di Salute Pubblica istituito da Robespierre, passò a misure drastiche verso i civili, considerando ogni abitante della regione come un potenziale ribelle. Come recitava un decreto emanato in quel periodo: “Qualsiasi città della Repubblica che cadrà in mano ai briganti o che darà loro aiuto, sarà punita come città ribelle. Di conseguenza, sarà incendiata e i beni degli abitanti saranno confiscati a profitto della Repubblica”. Purtroppo per tanta gente le disposizioni come questa vennero rispettate ben oltre la lettera.
Ad ogni modo, tra la primavera e l’estate del 1793 l’esercito cattolico e reale giunse a contare circa 65.000 uomini, e iniziò ad essere ordinato in reparti più o meno organizzati di fanteria, cavalleria e perfino artiglieria. I capi vandeani elessero tra loro un generalissimo, un comandante supremo che orchestrasse le loro operazioni su tutto il territorio. Il primo che emerse fu proprio Jacques Cathelineau, il primo leader della rivolta.
Dopo aver battuto ripetutamente i generali repubblicani e aver liberato varie zone limitrofe ai confini della Vandea, i realisti tentarono il colpo grosso, puntando a catturare Nantes. Qui, però, la popolazione era per la maggior parte fedele alla repubblica e decise di resistere fino all’arrivo dei rinforzi da Parigi. La città era difesa dagli uomini del generale Canclaux, che riunì 3.000 soldati tra fanti e cavalieri, ai quali si aggiunsero 2.000 volontari, 5.000 guardie nazionali e 2.000 operai.
Queste forze, per quanto non di poco conto, erano circondate da oltre 30.000 vandeani. Questa volta però, la battaglia che infuriò alla fine di giugno del 1793 si tramutò nella prima grande sconfitta degli insorti che, un po’ come Stalingrado per i tedeschi nel 1943, segnò il riflusso della loro azione offensiva. Da quel momento, infatti, lentamente ma inesorabilmente, l’iniziativa tornò nella mani del governo di Parigi.
Dopo Nantes la repubblica inviò i primi reparti dell’esercito regolare, truppe che si erano indurite sul fronte del Reno contro austriaci e prussiani. Fanti, cavalieri e artiglieria vennero affidati al comandante Jean-Baptiste Kléber e a Jean Baptiste de Canclaux, nominato capo dell’intero esercito dell’Ovest dopo la sua vittoria a Nantes.
In due dure battaglie i condottieri riuscirono a piegare i vandeani, portandoli alla ritirata e causando la morte, per le ferite subite sul campo, del valente capo Bonchamps, che in un ultimo atto cavalleresco prima di spirare ordinò ai suoi uomini, avviliti e furiosi per la sconfitta e la sua imminente perdita, di non giustiziare barbaramente 5.000 prigionieri repubblicani per ritorsione.
Il suo nobile gesto non sarà imitato dalla Convenzione Nazionale, che sostituì i generali più moderati con gente senza scrupoli, fedele fino al fanatismo alla causa repubblicana. La ragione, caposaldo del movimento illuminista a cui si ispirava la rivoluzione del 1789, era tanto lontana dalla loro mente quanto ai più intolleranti inquisitori del XVI e XVII secolo.
Tra loro il peggiore fu il commissario Jean-Baptiste Carrier, che potrebbe benissimo aver fatto da esempio ai più cinici e freddi aguzzini delle polizie politiche nelle dittature del XX secolo. Questi, coadiuvato da generali crudeli e sanguinari come François-Joseph Westermann, che tallonava senza pietà o quartiere le truppe vandeane, bruciando e saccheggiando campi, mulini e villaggi, lasciando solo morte e devastazione dietro di sé, si mise all’opera per “normalizzare” la regione.
Per raggiungere questo obiettivo il commissario straordinario istituì un tribunale rivoluzionario (anche questo modello verrà tristemente replicato in varie forme nel secolo appena concluso) che doveva “giudicare” i prigionieri vandeani e gli oppositori della repubblica. Il suo braccio armato divenne la “Compagnia Marat” (un nome e una garanzia sui loro metodi), un accozzaglia di sanculotti e uomini senza arte ne parte reclutati nel porto di Nantes, pagati 10 livres all’ora.
Le modalità d’azione di Jean-Baptiste Carrier e dei suoi sgherri erano di una fredda, logica e brutale inumanità: per prima cosa stiparono nelle piccole carceri della città ben 10.000 vandeani, a cui se ne aggiunsero quasi altrettanti nei mesi successivi alla battaglia di Savenay. In celle anguste, i poveri diavoli morirono a migliaia per denutrizione, asfissia o malattia.
Nel frattempo, chi sopravviveva alle durissime condizioni di prigionia aveva due scelte: la ghigliottina o la fucilazione (si giunse ad una media di 200 fucilazioni al giorno nell’autunno del 1793). Ma neanche questo bastava più, e per evitare che un’epidemia generale passasse dai prigionieri alla popolazione di Nantes Carrier escogitò una misura ancora più estrema: le noyades.
Questo termine francese si può tradurre in italiano con “annegamenti”, ovvero si legavano i condannati per le mani e per i piedi, quindi si caricavano su di una barca e, una volta raggiungo il centro Loira, questa veniva fatta affondare aprendo delle falle sotto la linea di galleggiamento. I condannati che riuscivano a galleggiare, o che riuscivano a liberarsi, venivano uccisi a colpi di lancia dagli uomini della Compagnia Marat.
Le noyades durarono per alcuni terribili mesi, fino alla fine dell’inverno del 1794, senza risparmiare donne, vecchi e bambini tra i familiari dei combattenti vandeani, per un totale, secondo le stime degli storici moderni, di una cifra che oscilla tra le 3.000 e le 5.000 vittime.
Nel frattempo la guerra continuava e Westermann, che era stato più volte sconfitto dai vandeani, si prese la sua cruenta rivincita a Savenay nel dicembre del 1793. Qui sconfisse ben 12.000 insorti, che scamparono in poco più di 2.000 alla battaglia e al successivo inseguimento. Negli otto giorni dopo lo scontro il generale repubblicano sguinzaglio i suoi reparti peggiori, composti da mercenari e tagliagole, che concentrarono chiunque scovassero nelle chiese locali, per poi fucilarli in massa. Oltre ai 6.000 caduti sul campo si aggiunsero quindi circa 4.000 prigionieri passati per le armi.
“Cittadini repubblicani, non c’è più nessuna Vandea! È morta sotto la nostra sciabola libera, con le sue donne e i suoi bambini. L’abbiamo appena sepolta nelle paludi e nei boschi di Savenay. Secondo gli ordini che mi avete dato, ho schiacciato i bambini sotto gli zoccoli dei cavalli e massacrato le donne, così che, almeno quelle, non partoriranno più briganti. Non ho un solo prigioniero da rimproverarmi. Li ho sterminati tutti […] le strade sono seminate di cadaveri. Le fucilazioni continuano incessantemente a Savenay, poiché arrivano sempre dei briganti che pretendono di liberare i prigionieri”
dal rapporto di François-Joseph Westermann al Comitato di Salute Pubblica
In relazione a quanto stava avvenendo in Vandea, tra battaglie, caccie all’uomo ed esecuzioni sommarie di massa, Parigi decretò che l’antico dipartimento della Vendée venisse ribattezzato con Vengé, intendendo così dire che i repubblicani avevano “vendicato” la regione, riconquistandola ai ribelli, oramai sottomessi.
Nonostante la sconfitta di Savenay e i massacri di civili inermi, o forse proprio a causa di quanto stava avvenendo, i vandeani si intestardirono in una resistenza a oltranza, stabilendo una guerriglia endemica nella regione. Per questo il generale Louis Marie Turreau decise di inasprire ancora di più l’operazione militare, ideando le “colonne infernali”, ovvero dei distaccamenti delle truppe a piedi e a cavallo, a cui si aggregavano i peggiori tagliagole e galeotti, che avevano il compito di attraversare la Vandea ed eliminare ogni vandeano e distruggere ogni villaggio. I repubblicani eseguirono gli ordini e la guerra divenne un massacro. Si uccisero i vandeani senza considerare l’età o il sesso delle persone che si trovavano di fronte e a morire non furono solo i soldati dell’armata cattolica e reale, ma anche le loro donne e i loro bambini.
“Compagni, entriamo nel paese insorto. Vi do l’ordine di dare alle fiamme tutto quanto sarà suscettibile di essere bruciato e di passare a filo di baionetta qualsiasi abitante incontrerete sul vostro passaggio. So che può esserci qualche patriota in questo paese. È lo stesso. Dobbiamo sacrificare tutto”
Ordini del Generale Louis Grignon, comandante di una delle colonne infernali
Tra l’aprile e il maggio del 1794 questa opera di sistematico sterminio si concluse. I vandeani, infatti, nonostante le perdite e la morte in battaglia o per cattura e successiva esecuzione di molto dei loro comandanti, divennero sempre più determinati a resistere ad ogni costo. Le misure violente adottate dai repubblicani erano riuscite, paradossalmente, ad aumentare lo spirito combattivo dei realisti, perciò in quei mesi le truppe più indisciplinate e violente vennero sostituite da soldati regolari, incaricati del solo mantenimento dell’ordina pubblico e non più di effettuare repressioni.
Perfino la popolazione fedele alla repubblica iniziava a lamentarsi dell’operato di figure come il commissario Carrier o i comandanti più duri, perciò la Convenzione Nazionale prese atto degli errori commessi e decise di cambiare strategia. Il 17 maggio 1794 mise agli arresti diversi generali tra cui Turreau e Grignon, e lo stesso Carrier, insieme ad altri membri del tribunale rivoluzionario di Nantes e diversi soldati della Compagnia Marat. Per la fine dell’anno vennero annullati tutti i decreti del Comitato di Salute Pubblica che, dopo l’esecuzione di Robespierre, venne privato dei suoi poteri e ufficialmente abolito all’inizio del 1795.
A questo si aggiunse un’amnistia generale per tutti i vandeani ancora nelle carceri e il parziale ritiro delle truppe repubblicane dalla Vandea, che portò ad accordo di pace che venne firmato il 17 febbraio 1795, a La Jaunaye. In linea generale tra i suoi termini si garantiva la libertà di culto, si rimborsavano i vandeani che avevano subito espropri o danni alle proprie proprietà e si riorganizzavano le città con nuovi rappresentanti del popolo.
In tale modo si raggiunse una fragile situazione di compromesso, per quanto la Vandea rimase sempre una spina nel fianco per la repubblica come per il governo di Napoleone, insorgendo tutte le volte che l’autorità di Parigi risultava indebolita, come durante il colpo di Stato del 1799, dopo la catastrofe militare in Russia del 1812 e infine quando Napoleone tornò dall’esilio sull’Elba nel 1815, per essere definitivamente sconfitto a Waterloo. I moti si conclusero del tutto solo quando venne ristabilita la monarchia, in seguito al Congresso di Vienna.
Alberto Massaiu
fonte
https://www.albertomassaiu.it/guerra-di-vandea-e-rivoluzione-francese/