Alta Terra di Lavoro

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IL PRIMO GRANDE RESET FU L’UNITÀ D’ITALIA

Posted by on Nov 8, 2022

IL PRIMO GRANDE RESET FU L’UNITÀ D’ITALIA

In Occidente, con l’impronta del World Economic Forum, detto anche “Forum di Davos”, si sta cercando di attuare quello che il suo fondatore Klaus Schwab ha chiamato “Great Reset” , ossia un cambiamento epocale, un nuovo ordine: politico e geopolitico, economico, sociale e demografico.

Non è la prima volta che ciò accade, e soprattutto l’Italia lo sa bene. Ce lo dimostra il suo, il nostro, passato.

Buona lettura.

Alle origini dell’Unità italiana tutti i governi liberali che via via si alternarono usarono misure di governo molto simili a quelle dei governi attuali. Identici scopi, identici risultati delle politiche liberiste di oggi: condizioni e soggetti coinvolti ovviamente diversi, ma azioni ed effetti praticamente speculari che quindi rimarcano un precedente storico fondamentale da approfondire e comprendere al meglio al fine di poter poi affrontare i temi legati all’attualità odierna con più consapevolezza e capacità di orientamento.

Nel 2022 dobbiamo sottostare a leggi emanate da istituzioni sovranazionali conseguenza dei trattati europei a suo tempo contratti che, pur in totale assenza di conflitto bellico interno, impongono di uniformarsi a norme comuni azzerando le specificità delle singole nazioni e, allo stesso tempo, trasformano i cittadini in sudditi di un sistema fondato sul potere dei mercati finanziari.

Dopo 160 anni, in scala più ampia, ritroviamo tra gli Stati europei equilibri già visti e vissuti, risultati inclusi: liberismo coattamente applicato nei cinque Stati della penisola uniti da plebisciti truccati (1), nonchè annessione manu militari del Regno delle due Sicilie. Parliamo di uno Stato sovrano riconosciuto tale dagli altri partner europei, invaso militarmente e ridotto alla guerra civile senza neanche una dichiarazione bellica.

Solo recentemente e molto lentamente sembrano sollevarsi, dalla classe sociale con elevato livello di cultura, interrogativi sulla retorica e la propaganda del cosiddetto “Risorgimento”. La sola guerra civile al Sud procurò non meno di 250.000 vittime (stimate per difetto); le immediate conseguenze della demolizione dell’economia e dello stato sociale furono talmente gravi che quella spaccatura tra Nord e Sud – allora creata e voluta – ancora oggi persiste aumentando progressivamente, e sedimenta lo stato di colonia interna per il Mezzogiorno. Eppure la situazione preunitaria presentava uno Stato finanziariamente sano e ricco, con titoli solidi e ben quotati nelle borse europee, che coniava moneta corrente in oro e argento, che aveva attivi trattati commerciali con tutta Europa (compreso la Svizzera), con i paesi della sponda sud del Mediterraneo (compreso Turchia, Marocco, Egitto) fino alla Russia.

Il “Risorgimento” raccontato finora nelle scuole e nelle Università è una finzione, una narrazione retorica imposta a partire dal regime massonico-sabaudo e quindi non rispondente ai fatti storici: perché è documentato che l’Unità italiana fu voluta e finanziata dalle èlite massonico-finanziarie di Francia, Inghilterra e Stati Uniti.

Dopo oltre 160 anni, molto è cambiato, tuttavia gli squilibri interni sono ancora immutati e il Mezzogiorno, ridotto da allora a colonia interna, è stato fatto scivolare da tutti i governi postunitari in una crisi sempre più grave, dilaniato dalle politiche liberali dei Savoia così come da quelle neoliberiste odierne indotte dall’Unione Europea, frutto delle relazioni di subalternità translatlantiche.

Perdita dello stato di diritto e sostituzione forzosa delle leggi

A partire dal 1860, con l’annessione del Regno delle due Sicilie, le gravi conseguenze politiche ed economiche ebbero ricadute drammatiche sull’intero apparato industriale e sullo stato sociale che, di fatto, vennero distrutti. Con la perdita dell’isonomia (uguali diritti) sancita dalla repressione, varata dalle leggi “speciali” e dal “mandato in bianco” conferito a Lamarmora, furono implementate fucilazione e deportazione dei civili, ancor prima dell’entrata in vigore della Legge 15 agosto 1863, n. 1409, art. 2 e art. 5.

A sancire ulteriormente la dittatura fu l’imposizione di taglie sulla testa dei numerosi partigiani resistenti ufficializzata nel 1863 con l’approvazione della legge Giorgini (genero di Alessandro Manzoni). Tutti i cittadini liberi maschi degli Stati che all’epoca si opposero e combatterono contro l’invasore piemontese (comprese le donne di famiglia e i loro figli vittime della ritorsione) furono sottoposti alla stessa feroce, sanguinaria repressione politica. Dopo il 1860, per i territori annessi, venne meno il precedente equilibrio sociale di comunità meridionale ricca di patrimonio pubblico, e amministrata secondo una più che equilibrata ripartizione fiscale.

Nel parlamento del Regno d’Italia si dibatté del venire meno delle guarentigie e si votarono leggi e regolamenti che le violavano, ovvero si negavano quei diritti che erano universalmente sanciti dallo stesso Statuto Albertino, applicato fino ad allora per gli Stati Sardi.

L’unificazione amministrativa avvenne con l’estensione delle leggi del Parlamento Subalpino all’ex Regno due Sicilie, senza alcuna considerazione del corpus di leggi precedenti, mentre infuriava la guerra civile con scontri armati che coinvolgevano tutte le ex province del Sud. Vennero persino violati i diritti dei nuovi sudditi – art. 24 al 27 dello Statuto Albertino – ma soprattutto il principio dell’art. 71: “Niuno può essere distolto dai suoi giudici naturali”.

È altrettanto falsa la costruzione ideologica e culturale dell’arretratezza economica e sociale del Sud:

…più a Sud c’era un Regno che aveva fatto del rigore dei bilanci un imperativo categorico”.

Anche Vittorio Sacchi, piemontese mandato a dirigere le finanze napoletane dopo l’Unità d’Italia, trovò grande competenza: “Nei diversi rami dell’amministrazione delle finanze napoletane scrisse nel 1861 si trovano tali capacità di cui si sarebbe onorato ogni più illuminato governo”.

Che queste parole corrispondessero al vero è dimostrato dal fatto che il povero Sacchi, dopo averle scritte, cadde in disgrazia. E anche i numeri lo confermano: il Regno delle due Sicilie, dopo la Restaurazione del 1815, aveva un sistema che prevedeva soltanto cinque forme di imposizione fiscale.

Le rendite pubbliche – calcola Giacomo Savarese – salirono da 16 milioni di ducati a 30 “per effetto del crescere della ricchezza generale”.

Soltanto a causa del dover fronteggiare i vari moti rivoluzionari (a partire da quelli del 1820) i debiti iniziarono ad accumularsi e le casse del Regno caddero in disavanzo, ma di volta in volta, e in breve tempo, il “buco” veniva ripianato. Dal 1847 al 1859 il Regno delle due Sicilie non introdusse alcuna nuova tassa e non vendette alcun bene demaniale. Anzi: già dopo i moti del 1821, il Regno vantava 40 chilometri di rete ferroviaria ed un apparato navale molto ben fornito. E non vi era traccia di “autocensura” sui bilanci pubblici.

Nel 1861 cambiò tutto. L’Italia diventò unita e il debito pubblico venne scaricato anche sui pluriderubati neocolonizzati meridionali.

Il Regno d’Italia scrive Savarese s’inaugurava a Torino con un alto debito”. (2)

La questione meridionale fu causata dalle politiche ordinate da una “troika” ante litteram, formata da ministri che rappresentavano gli interessi delle forze di occupazione straniera

Fallita l’azione dei governi dittatoriali e le luogotenenze, a Torino, fu messa in azione una sorta di “troika” di ministri filosabaudi che demolì l’economia e lo stato sociale del Regno delle due Sicilie:

  • Eliminò la moneta nazionale e chiuse la zecca di Stato; soppresse il precedente sistema fiscale detto “registro e bollo”
  • Smontò i vertici della direzione d’Agricoltura – l’industria maggiore dell’epoca – ottenendo lo smantellamento delle politiche agricole esistenti
  • Bloccò i lavori pubblici salvo poi riaffidarli a investitori stranieri e società del nord
  • Decretò la chiusura del collegio medico con il pretesto della riforma, privando del sostegno finanziario medici ed ospedali
  • Chiuse industrie ed opifici, con licenziamenti di massa di maestranze e addetti
  • Introdusse nuove tasse e alzò molte di quelle esistenti causando enorme povertà e miseria

Riportiamo un estratto da “Lo Zenzero”, giornale politico popolare, edizione del 4 luglio 1862:

“Da una lunga corrispondenza da Napoli al Diritto togliamo quanto segue. Sembra che il malessere cominci a fare – profonda impressione è minaccia di porre radice in queste provincie – dopo la partenza del Re i mali che incominciava si a lamentare hanno aumentato – ora non resta più niente tranne lo scoraggiamento – Il ministero ha fatto tutta la sua forza per dare l’ultimo colpo a quei popoli: Sella ha disciolto la direzione del Registro e Bollo.”

“Il Pepoli ha soppresso la direzione d’Agricoltura, e quanto prima la Zecca la più bella Zecca d’Italia se ne andrá.

De Pretis ha preparato lo scioglimento della Direzione dei lavori pubblici; il collegio medico sotto scusa di riforma sembra che abbia a subire la stessa sorte un nuovo regolamento del ministro di Marina altera e diminuisce il numero degli operai; a tabacchi furono licenziate molte lavoratrici. Alla via ferrata da Capua a Salamanca tutti gli impiegati regi sono stati mandati a spasso.

1. aumento delle tasse.

2. decime di guerra, aumento di pigioni.

3. dazi sull’olio che prima non avevamo, dice il corrispondente aumento del sale, ecco quali sono le cause del malcontento che esaspera i buoni napoletani.

Il calcolo della gente licenziata o fuori d’impiego si fa ascendere a 12.000 e più nei diversi rami e dicasteri soppressi. (3)”

A cui andranno aggiunte le loro famiglie e si vedrà quale enorme numero raggiungeranno. Di pari passo al dramma della demolizione dello stato sociale attuato dai ministeri sabaudi, si implementò, come già accennato, il Grande Reset economico: lo smantellamento dell’industria dei filati (sete, lane, cotone), delle pelli, delle cartiere, della siderurgia (miniere, ghise e metalli per usi militari e civili) e della nascente industria chimica.

Dalla distruzione dello stato sociale e delle sue fondamenta, nacque la cosiddetta questione meridionale; dalla distruzione industriale di quel tempo deriva la riduzione a colonia permanente dei territori dell’ex Regno delle due Sicilie, oggi Sud dell’Italia unita.

Un risultato frutto della convergenza di multiformi interessi e volontà politiche variegate, dal basso all’alto: il nuovo ceto politico dominante; la nascente industria del nord Italia con l’esercito di riserva dell’emigrazione interna; il capitale industriale straniero per via dell’emigrazione italiana ormai diffusa in tutti i continenti; il sistema finanziario e creditizio nazionale e sovranazionale imperante.

Finanziatori esteri

A partire dal 1861 i principali finanziatori del Regno d’Italia furono stranieri, tre i soggetti che finanziarono il nuovo regime post unitario e tre i conti correnti esteri su cui la Direzione Generale del Tesoro eseguiva i pagamenti:

“Per cura della Direzione generale del Tesoro si tengono pure conti correnti speciali con le Case bancarie all’estero pei pagamenti del Debito pubblico, che, a termini delle relative convenzioni, devonsi eseguire all’estero, e per altre spese che sulla richiesta delle diverse Amministrazioni dello Stato sono fatti operare all’estero.

I conti principali sono i seguenti:

a) Con la Casa fratelli de Rothschild, di Parigi;

b) Colla Casa C. I. Hambro e fratelli, di Londra, pel pagamento dei semestri del prestito Anglo Sardo, della Maremmana e anche per altri pagamenti ordinati pure a cura della stessa Direzione generale per conto delle diverse Amministrazioni;

c) Colla Casa N. M. Rothschild e figlio, di Londra, pei pagamenti richiesti dalle diverse Amministrazioni. (4)”

Il drammatico debito rimborsato nel 1872 alle banche Rothschild e C. J. Hambro, in solo 12 anni, superò 1 miliardo e 343 milioni di lire piemontesi ad esclusione del tasso di cambio. (5)

Perdita della sovranità monetaria

L’onda lunga dei danni della distruzione militare, politica, economica e sociale dell’ex Regno delle due Sicilie, è un crimine impunito rimasto vagante nel dna del non paese Italia, mai realmente unificato e a due velocità al suo interno. Le conseguenze del mega trasferimento coatto della ricchezza dai molti ai pochi sono rimaste i mali endemici del sud, che ad oggi non hanno trovato alcuna soluzione.

Sopprimere la precedente moneta ed imporne una nuova ad oltre 9 milioni di sudditi, fu causa di un arretramento spaventoso e di migliaia di morti per danni conseguenti; un impoverimento stratosferico in cui, dalla sera alla mattina, fu scaraventato il florido Stato sovrano del Regno due Sicilie.

Azzerate tutte le monete

L’azione attuata allora si è ripetuta prima con la creazione dell’Eurozona e poi con l’attuale forsennata eliminazione del contante e l’imposizione – via via sempre più rapida – della moneta elettronica che forse diventerà valuta digitale di Banca Centrale.

Correva l’anno: “È il 20 agosto del 1862. Il Senato del Regno d’Italia vara la legge sull’unità monetaria. È la legge Pepoli, Gioacchino Napoleone Pepoli… il nipote di Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte”. (6)

La legge 24 agosto 1862 n. 788 norme fondamentali del nuovo sistema metallico e dell’ordinamento monetario del paese, essa fece della lira italiana l’unità monetaria legale per i pagamenti e di conto per le contabilità pubbliche e private, stabilisce il titolo legale, cioè la quantità di metallo fino che dee contenere ciascuna moneta, e la tolleranza in più o in meno; le quantità obbligatorie delle rispettive monete da riceversi nei pagamenti; l’esclusione delle monete calanti, il ritiro delle vecchie monete, e la fabbricazione delle nuove”. (7)

Pauperismo all’Unità

Il rapace liberismo economico delle classi dominanti tenacemente attive nel designare il nuovo assetto socio-economico generò un enorme scompenso nel nuovo assetto sociale, generando condizioni di profonda miseria in larghi strati di popolazione di intere aree geografiche:

Vogliamo solo oggi accomunare ad una delle tante conseguenze che derivano, e che più di tutto ci sembra dover richiamare su di essa l’attenzione del governo, scongiurandolo a provvedere prontamente e seriamente perché questione di pubblica moralità. Noi vediamo per le vie di Firenze, aggirarsi oziosi, fanciulli d’ogni sesso, d’ogni età fino ha 10:12 anni: noi li vediamo nei caffè, nei pubblici luoghi (…)

Osservate per il momento una giovanetta di otto o 10 anni dal fare svelto e di cui labbri sono sfiorati di un malizioso sorriso che si avvicina ad alcuni al quale è in grado conoscere ciò che è proprio dell’uomo, ciò che è proprio alla bestia. Avvicinatevi, e voi udirete facilmente ciò che egli dice, Quello che essa farà perché con lui non si sarà dato nemmeno pensiero di abbassare alcun po’ con la voce, né di celare i propri atti, senza pensare che i piccoli compagni della tradita fanciulla sono lì presso che odono le di lui scellerate proposte. (8)

Così è nata la disunità d’Italia che tante false narrazioni del cosiddetto “Risorgimento” hanno coperto con costruzioni retoriche e menzognere: è giunta l’ora di chiedersi perché il Potere sia arrivato a tanto, ma soprattutto perché in troppi si siano compiaciuti nel credere alla falsa Storia.

Il primo Grande Reset fu l’Unità d’Italia.

Di Loreto Giovannone per ComeDonChisciotte.org

26.10.2022

Loreto Giovannone per ComeDonChisciotte.org
Studioso di storia alla ricerca dell’identità culturale e geografica delle origini. Studioso dei documenti amministrativi e ufficiali dell’Unità d’Italia conservati negli Archivi di Stato. Scopritore della prima deportazione di Stato di civili del Sud Italia nei lager del centro nord. La prima deportazione in Europa attuata dallo Stato italiano dal 1863, circa settanta anni prima del nazismo. Scrittore, articolista di argomenti storici con la predilezione della multidisciplinarietà di scuola francese. Convinto assertore che la Storia è la politica del passato.

NOTE

  1. https://www.unisalento.it/documents/20152/274727/Martucci+La+classe+idiota.pdf/23544165-ae48-3474-bd87-0c5e1d9bf3a6?version=1.0
  2. Affermazione riportata nell’articolo del Sole 24 ore: https://www.ilsole-24ore.com/ 17.03.2011 attualmente introvabile ma citato da diversi siti web https://www.imgpress.it/politica/73476/
  3. Lo Zenzero, 11.07.1862.
  4. Atti parlamentari 1866 – Volume 2 – Pagina 84
  5. CAMERA DEI DEPUTATI RELAZIONE SULL’AMMINISTRAZIONE DEL TESORO – Seconda della XI Legislatura, sessione 1870-71
  6. https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-03-21/moneta-italia-unita-lira-140450.shtml 
  7. Federico Persico. Principii di diritto amministrativo, Volume 2, 1874, pag 30.
  8. Pauperismo“, Lo Zenzero, 4 luglio 1862.

fonte

Il primo Grande Reset fu l’Unità d’Italia – Come Don Chisciotte

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