La memoria degli sconfitti
Lo scorso 4 luglio, su proposta 5Stelle, il Consiglio Regionale della Puglia ha approvato una mozione relativa all’ “Istituzione di una giornata della memoria atta a commemorare i meridionali morti in occasione dell’unificazione italiana”. Una giornata indicata nel 13 febbraio, che ricorda la caduta della fortezza di Gaeta (1861) e il conseguente crollo del Regno delle Due Sicilie (resistenze ulteriori ebbero solo il valore di testimonianza nobile e purissima).
Contro questa mozione si sono espressi con forza gruppi di docenti, politici, giornalisti … In questo intervento terrò conto di quanto espresso dall’AIPH (Associazione Italiana di Public History) in un suo comunicato del 29 luglio nonché di due articoli apparsi oggi (6 agosto 2017). Il primo è a firma di Alessandro Laterza e reca il titolo “Non ha senso la giornata della memoria sudista”, (Corriere della Sera, 6 agosto 2017). Il secondo, ospitato presso il Corriere del Mezzogiorno-Campania è di Paolo Macry: “Revisionismo sudista dei 5Stelle”.
I tre testi hanno in comune anche qualche punto che non rende il dovuto onore alla correttezza del dibattito storiografico. Ritorna la solita spocchia secondo cui il revisionismo è opera di persone che sono al di fuori dell’Accademia e/o, falsificano i dati e/o hanno bisogno di maggiori informazioni. Quali siano poi queste informazioni in più, non è dato sapere. O, per parlare –a titolo di esempio- dei fatti di Casalduni e Pontelandolfo, come fa Laterza, si tratta dello studio di Panella, che riduce a tredici il numero dei morti procurati dall’esercito sabaudo? E’ questo, per esempio? Se è così, allora credo proprio che debba essere Laterza a documentarsi , esaminando i documenti addotti e valutandone la parzialità. D’altra parte, non mi si costringa, per favore, a valutare criticamente una frase come questa: “In particolare nelle scuole superiori si promuove spesso una storia risorgimentale distorta a tal punto che molti giovani oggi utilizzano termini decontestualizzati e risemantizzati, quali ‘genocidio’ e ‘guerra partigiana’ per parlare del periodo precedente l’Unità del paese” (comunicato ANPH).
Tutti e tre gli interventi di cui mi occupo evidenziano che i Meridionali “in esso {i.e., “nel processo di unificazione nazionale”] hanno potuto usufruire di importanti opportunità di crescita economica, sociale e politica” (comunicato ANPH).Il che è senz’altro vero e lo condivido.,Tuttavia, tanto per dire, qualcuno dovrà provare a convincermi che, quando partivano, i nostri emigrati non erano assillati dalle difficoltà economiche, ma erano solo avventurieri benestanti in cerca di emozioni forti da vivere in terre lontane. In realtà, “l’unificazione pose in intimo contatto le due parti della penisola. L’accentramento bestiale ne confuse i bisogni e le necessità, e l’effetto fu l’emigrazione di ogni denaro liquido dal Mezzogiorno nel Settentrione per trovare maggiori e piú immediati utili nell’industria, e l’emigrazione degli uomini all’estero per trovare quel lavoro che veniva a mancare nel proprio paese. Il protezionismo industriale rialzava il costo della vita al contadino calabrese, senza che il protezionismo agrario, inutile per lui che produceva, e non sempre neppure, solo quel poco che era necessario al suo consumo, riuscisse a ristabilire l’equilibrio. La politica estera degli ultimi trent’anni rese quasi sterili i benefici effetti dell’emigrazione” (Gramsci, 1916).
Rimane il problema: perché opporsi ad una giornata della memoria delle vittime dell’unità? Sarebbe per Laterza un provvedimento esiziale per la nostra storia comune, poiché la si accosterebbe al genocidio nazista o alle foibe. Insomma,mostrerebbe “lo Stato unitario come il frutto di un crimine contro l’umanità”. Una ridefinizione “concettualmente infondata e politicamente irresponsabile”.
Ecco, leggendo queste parole non posso negare che un pensiero è sorto spontaneo nella mia mente. Io non conosco, va da sé, le posizioni dei singoli contestatori del processo di revisione storiografica in atto. Estendendo questo pensiero alla generalità di quanti contestano il processo di revisione risorgimentale, noto che gente, per convinzione personale o altro, del tutto indifferente ai valori nazionali, si ritrova a difenderne almeno l’essenza dinanzi alla richiesta sempre più forte di verità storiografica. Dall’altra parte, tanti come me, cresciuti nell’esaltazione della nazione italiana, ora sentono il bisogno di vedere più chiaro e rivalutano sempre più l’appartenenza regionale. Le perversioni associative della mia mente mi portano a certe figure che, dopo aver lottato a lungo contro la cosiddetta legalità borghese (negli anni Settanta Dario Fo ruttava all’indirizzo dei giudici), improvvisamente ne sono diventate paladini (tutti contro l’”illegalità” berlusconiana). Perché? Per intima maturazione? Consentitemi di dubitarne così come chiedo di poter dubitare della sincerità nazionale di tanti di questi oppositori dei nuovi indirizzi della storiografia risorgimentale.
Tornando al nostro argomento, si rende conto, il buon Laterza, che siamo sul piano nazionale al punto in cui siamo un po’ anche perché i morti e tutto ciò che fa parte delle identità regionali sono stati ignorati o colpevolizzati? Ben venga, dunque, la decisione del parlamentino pugliese. Ben venga, perché, magari in una sagra godereccia (come irriverentemente afferma lo stesso Laterza) o in un serioso convegno, si possa discutere delle tante tragedie, risorgimentali e no.
D’altro canto, se abbiamo ancora oggi il problema del “ ‘lungimirante’ referendum autonomista lombardo-veneto”, verrà il pensiero che qualcosa non è andata per il verso giusto?
Dunque, è necessario che anche gli sconfitti di allora abbiano il dovuto riconoscimento. Altrimenti, non si arriverà mai a niente di buono. Non è per fini “auto-assolutori”, inventati per giustificare i mali del presente, bensì per capire un crollo, trarne utili lezioni per l’avvenire, sapere che il Mezzogiorno non merita criminalizzazioni.
Fernando Di Mieri
L’articolo di Laterzadi mi appare contradditorio ed anche un po’ ipocrita: Che senso ha invocare studi e convegni da parte di chi è talmente “pieno” delle sue verità da usare gli argomenti più falsi e grossolani per denigrare la resistenza Borbonica? E, soprattutto, ritiene che il” mito fondante” della nascita della nazione italiana non può essere messo in alcun modo in discussione ?
C’è una contraddizione evidente nello scritto di Laterza:Ben vengano studi e convegni sula storia patria, ma chi promuove questi studi non deve avere alcun timore che il risultato possa portare ad “una criminalizzazione della nostra storia ” .Non si possono invocare maggiori studi e,al tempo stesso, mettere le mani avanti su quelli che potrebbero essere i risultati.Lucio Pezza