Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Le brioches di Maria Antonietta? Non sono mai esistite

Posted by on Mar 20, 2019

Le brioches di Maria Antonietta? Non sono mai esistite

Maria Antonietta e le sue brioches… un panettiere particolarmente fantasioso potrebbe ricavarci un ottimo prodotto. Peccato che Maria Antonietta non abbia mai risposto al popolo affamato che, in assenza di pane, oteva ricorrere alle brioches. Si tratta di un altro luogo comune storico duro a morire: una leggenda nata nella Rivoluzione per screditare la regina di Francia.

«La Rivoluzione ha capito, dai primi giorni, che per essa c’è un solo pericolo: la Regina. La sua intelligenza, la sua fermezza, la sua testa, il suo cuore, ecco il pericolo»[1], spiegavano i fratelli de Goncourt. In effetti, re Luigi XVI non aveva le capacità per spegnere l’incendio in atto in Francia; debole, timido, incapace politicamente, avrebbe però potuto contare sull’appoggio della moglie. I rivoluzionari lo capirono perfettamente, impedendo a Maria Antonietta qualunque margine di intervento politico: i libelli, le immagini diffamatorie, i giornali, le pubblicazioni di ogni tipo… tutti la vedevano protagonista delle più assurde sconcezze, condannando il suo modo di vivere, il lusso, le frivolezze. Lusso che c’era, è vero, ma che non era diverso da quello degli altri sovrani europei; mentre in merito alle accuse di immoralità e di depravazione, la storia ha lentamente contribuito, già negli anni della Restaurazione, ad una riabilitazione della regina. E Luigi XVI? Il re passava in secondo piano: per i rivoluzionari, il vero nemico da sconfiggere era lei, l’Austriaca.

Continuiamo a sfogliare l’essenziale Storia di Maria Antonietta dei fratelli de Goncourt, perché essi dicono bene quando affermano: «Di tutti questi nomi, di tutti questi pettegolezzi, degli aneddoti, delle cronache, dei discorsi, delle canzoni, dei libelli, di questa congiura della calunnia contro Maria Antonietta, cosa è restato? Un pregiudizio»[2]. È il pregiudizio che, duecento anni dopo, ci porta ad immaginare questa regina come una stolta viziosa, come una frivola civetta, come una maniaca del lusso e una dea della moda. È in virtù di questo pregiudizio che la modernità crede ciecamente alla frase: «Se il popolo ha fame, che mangi le brioches!». Si tratta, in verità, di un  falso storico: la frase «S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche», attribuita a Maria Antonietta, è in realtà già citata nelle Confessioni di Rousseau; il filosofo ginevrino narra un aneddoto di una principessa, che raccomandò ai contadini di mangiare brioches al posto del pane ormai finito. La principessa non poteva essere Maria Antonietta, che all’epoca non era ancora nata. A qualcuno, questa storia piacque; forse era una freddura che già girava di bocca in bocca da tempo; forse, qualcuno, aprendo le Confessioni di Rousseau, decise di sfruttarla contro l’odiata regina. Et voilà: già nel 1792, giravano libelli in cui si riportavano queste parole di Maria Antonietta. Ne parlò per primo, sembra, Le Père Duchesne, di Hébert[3]; sorpresa: egli fu anche uno dei più accaniti sostenitori della pena capitale per Maria Antonietta. Fu proprio Hébert che accusò Maria Antonietta di pratiche incestuose con il figlio, il delfino Luigi Carlo. Se Hébert arrivò a tal punto, possiamo credere alla sua buona fede, quando scrisse per la prima volta l’innocente battuta delle brioches? La domanda è puramente retorica: basta sfogliare Le Père Duchesne per rendersi conto che è letteralmente imbevuto di insulti gratuiti. «Foutre», “cazzo”, è l’intercalare più usato dal raffinato giornalista. Lessico banale, frasi brevi e concise, adatte al popolo, ma ancor più: al ventre del popolo. Hébert è prodigo di epiteti vergognosi nei confronti della regina e del re. Le famose brioches nascono probabilmente da questo autore; che, in tema di moralità e di rettezza d’animo, non poteva certamente dare lezioni.

Fonti:

[1] E. e J. De Goncourt, Storia di Maria Antonietta, Sellerio, Palermo, 2017, p. 266.

[2] Ivi, p. 204

Enrico Cavallo

http://www.altrastoria.it/2018/02/18/136/ s

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.