L’Eremita del Castello, nobile fiorentino giudicò il nuovo Governo piemontese e……..
Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona nacque a Firenze il 10 Marzo 1813, da Leopoldo Panciatichi e Margherita Rosselmini, di famiglia pisana. Nel 1840 la famiglia poteva annoverarsi come quarta casata fiorentina più ricca dopo i Corsini, i Rinuccini e i Torrigiani.
Il Marchese fu Architetto, Ingegnere, Botanico (nel 1864 acquista la prima sequoia pagandola ben 224 Lire) e Bibliofilo, Imprenditore, Politico, scienziato, appassionato di fotografia e intellettuale poliedrico; ha operato e aiutato con donazioni le più importanti istituzioni culturali di Firenze: Accademia di Belle Arti, Museo del Bargello, Uffizi, Accademia dei Georgofili, Società Toscana di Orticultura.
Nel 1859 vendette al granduca Leopoldo II di Toscana, poco prima dell’esilio volontario di quest’ultimo dovuta all’imminente guerra franco-piemontese contro l’Austria, parte del suo patrimonio librario a quella che era ancora definita Biblioteca Palatina e che successivamente con la Biblioteca Magliabechiana pochi anni dopo costituiranno la Biblioteca Nazionale di Firenze.
Grande intellettuale, amante dell’arte e collezionista di oltre 500 quadri di pregio, parte dei quali oggi sono ospitati nei maggiori musei di tutto il mondo, possedeva una Galleria e Museo (in parte nel suo palazzo in Borgo Pinti e in parte al Castello di Sammezzano) di eccezionale valore che metteva a disposizione di chi voleva visitarla dietro pagamento di un regolare biglietto. Profondo conoscitore di Dante fu nel 1865, tra gli altri, anche Presidente del Comitato per le celebrazioni del centenario, occasione nella quale fu decisa anche l’istituzione del Museo del Bargello, dove Ferdinando Panciatichi partecipò sia come prestatore di armi orientali sia come esperto nella scelta degli acquisti, la direzione e amministrazione dell’istituzione.
Durante gli anni di Firenze Capitale ci fu la necessità di costruire nuove abitazioni e uffici per i funzionari, questo portò alla realizzazione di nuovi quartieri residenziali come ad esempio l’odierno La mattonaia nell’area compresa tra piazza d’Azeglio e via Giusti, zona in cui Panciatichi possedeva diversi terreni e case tra cui lo stesso palazzo Ximenes che da questa operazione ne uscì in parte mutilato nella sezione dello splendido giardino. Il Marchese, allora nel Consiglio Generale del Comune di Firenze, si oppose dapprima all’espropriazione dei terreni ai possidenti più abbienti, e poi invece rivendette gli stessi lotti all’ingegnere Vincenzo Stefano Breda che si era aggiudicato la costruzione e al vendita degli immobili.
Tra i suoi possedimenti (ampliati con l’unione delle due casate dei Panciatichi e degli Ximenes nel 1816) vi erano il Palazzo Panciatichi (oggi di proprietà della Regione Toscana), il Palazzo Ximenes da Sangallo in Borgo Pinti (ancora di proprietà dei discendenti), villa Torre degli Agli (oggi di proprietà demaniale nel quartiere di Novoli, dove vi veniva coltivato il famoso agrume chiamato Bizzarria, che incrocia arancia, cedro e limone), Villa La Loggia sulla via Bolognese (oggi sede di una nota casa editrice), Villa L’Apparita (venduta al suo amico architetto Niccolò Matas (famoso per aver progettato il Cimitero delle Porte Sante e la facciata della Basilica di Santa Croce a Firenze), poi inoltre la tenuta di Saturnia, in Maremma, nell’attuale area delle terme.
Ma il Marchese tra tutte le sue proprietà amò sempre su tutti il Castello di Sammezzano, uno straordinario Castello in stile arabo. In oltre quaranta anni della propria vita il Marchese Ferdinando aveva direttamente pensato, progettato, finanziato e realizzato (in senso fisico dal momento che tutti i mattoni, gli stucchi, le piastrelle venivano realizzate “in loco”) questo luogo a pochi chilometri di distanza da Firenze
Tutto bene?No!Quando vide cosa era veramente stato il Risorgimento rimase profondamente deluso, anche dai suoi contemporanei e dalla vita politica di allora, e come Dante prese una sua personale via dell’esilio: preferì rifugiarsi nel Castello lontano dalle voci, dagli scandali e dalle delusioni di partito e di ideali liberali quali lui aveva. Infatti aveva addirittura finanziato le Guerre d’Indipendenza che portarono all’Unità d’Italia, appassionato combattente durante i moti del ’48 ed un fedele sostenitore della causa nazionale, Consigliere comunale a Firenze a Reggello e (probabilmente) a Rignano sull’Arno, membro del Consiglio Compartimentale (poi Consiglio Provinciale) dal 1860 al 1864 e Deputato del Regno nella IX e X Legislatura.
Ma dalla carica si dimise nel 1867, dopo una vera crisi esistenziale che lo vide deluso a tal punto della retorica risorgimentale che aveva scoperto del tutto falsa, che nella “Sala delle stalattiti” del Castello, nascosta tra stucchi e colori, fece scrivere una frase in latino: Pudet dicere sed verum est publicani scorta – latrones et proxenetae italiam capiunt vorantque nec de hoc doleo sed quia mala – omnia nos meruisse censeo (“Mi vergogno a dirlo, ma è vero, l’Italia è in mano a ladri, “meretrici” e sensali, ma non di questo mi dolgo, ma del fatto che ce lo siamo meritato”).
Infatti da allora si pentì di avere partecipato all’Unità, fu considerato quindi una specie di traditore, ma come si è detto lui stesso non volle più saperne e di Firenze Capitale e degli ex suoi colleghi e si chiuse nel Castello dove trascorse i suoi ultimi anni sovrintendendo egli stesso alla messa in opera del suo Sogno d’Oriente, leggendo sui libri, disegnando egli stessi i racemi e i disegni che tuttora sono visibili nelle stanze del Castello. Non viaggiò mai in Oriente eppure camminando nelle sale del Castello al Piano Nobile non si può fare a meno di pensare a quei luoghi lontani: Spagna e India in primis.
Annesso alla villa c’è anche il secolare Parco famoso per gli esemplari di sequoia gigante che il Marchese si fece arrivare direttamente dall’America del Nord.
Morì nel 1897 lasciando incompiuto il Castello. La proprietà, amministrata dalla figlia Marianna Panciatichi Ximenes, nota ornitologa ed esperta di malacologia, passò ai nipoti Ferdinando, Alessandro e Marianna Di San Giorgio.
Marina Alberghini