Lucio Castrese Schiano risponde ad Antonella Orefice
Qualche giorno l’ottimo sito internet Historia Regni ha intervistato Antonella Orefice e Lucio Castrese Schiano gli ha risposto come si evince dall’articolo di seguito.
STORIOGRAFIA E MITOPOIESI
Volendo dare un’idea di quegli avvenimenti che danno origine a quel fenomeno umano che va sotto il nome di “storia”, potremmo raffigurarli come una barricata – sia in senso letterale che figurato – al di qua e al di là della quale si fronteggiano due gruppi antagonisti che hanno opinioni diverse sia sul momento storico e sulla situazione socio-politica che stanno vivendo sia sul modo di affrontarli e di risolverne i problemi. E fin qui nulla da obiettare, perché il primo e più elementare criterio alla base della logica umana è stato sicuramente quello di considerare il mondo e le sue vicende in maniera dicotomica: bianco e nero, buono e cattivo, giorno e notte, caldo e freddo. Una tale divisione non è per niente impegnativa perché non richiede giudizi di merito. Se è scuro e in cielo splende la luna, chi pretendesse di affermare il contrario avrebbe sicuramente dei problemi a livello intellettivo. La cosa diventa già un poco più difficile quando, come per il classico bicchiere d’acqua riempito a metà, può aver ragione sia chi sostiene che esso è mezzo pieno sia chi lo vede mezzo vuoto. Figurarsi poi quando il giudizio viene influenzato da convinzioni ideologiche o da calcoli interessati. Per questo motivo, dovendo esprimere giudizi sullo stesso fenomeno al quale hanno partecipato entrambe, ognuna delle due fazioni “interpreta” l’evento secondo il proprio punto di vista, e difficilmente sarà disposta a concordare con la parte avversa e a riconoscerne eventualmente le ragioni.
Diciamo che un tale comportamento, secondo la logica umana, può rientrare ancora nella “normalità”. L’anormalità, o, peggio, la disonestà intellettuale comincia a palesarsi quando a fine contesa, quella delle due fazioni che è riuscita a prevalere sull’ altra e si accinge a consegnare le gesta alla storia o ad affidare il compito di divulgarla ai propri “operatori culturali” (docenti, intellettuali, mass media, ecc.) , scientemente e a titolo completamente gratuito, mettono il proprio sapere a servizio del mendacio per sminuire, denigrare o umiliare i vinti, sostenendo che gli eroi e i martiri stanno solo da una parte: la loro, mentre gli altri non sono che un’amorfa ed eterogenea accozzaglia di criminali o di poco di buono.
Comportandosi in tal modo, nella scala dei valori, dimostrano non solo di essere poca cosa da un punto di vista morale, ma sminuiscono addirittura anche la loro vittoria, perché altro è aver ragione di un nemico agguerrito e combattivo, altro di uno codardo e pusillanime. Peggio ancora se, per giustificare la propria vittoria, costoro non solo alterano la realtà, ma mettono in atto anche una massiccia campagna diffamatoria intesa a consegnare alle generazioni future un’immagine falsamente umiliante, truce e poco edificante del nemico.
Se una persona viene uccisa, è stato commesso un omicidio : crimine che rimane tale sia se commesso da un “bianco”, che da un “nero”, da un “repubblicano” o da un “realista”. E se si teorizza l’omicidio ad oltranza per conquistare e mantenere la propria “libertà” ci troviamo o no di fronte al reato di “istigazione al delitto”, da chiunque formulato? Difficilmente, però, “interpretando” la storia si riesce a raggiungere una tale serenità di giudizio.
Ecco alcuni esempi.
Il 23 gennaio 2012, in occasione del 213° anniversario della Repubblica Napoletana uno dei relatori chiede a gran voce << giustizia per i martiri (giacobini), i cui resti stanno marcendo nel fango dei sacelli al Carmine Maggiore, mentre l’assassino Ferdinando IV ancora troneggia a cavallo in piazza del Plebiscito>> e più avanti un ‘altra voce afferma che il grido di “giustizia” lanciato dal precedente relatore << Ha squarciato il silenzio dell’omertà imposta dal sanguinario regime borbonico che ancora oggi sembra esercitare la sua forza oscura, facendo sì che, ora come allora, gli intellettuali siano ridotti ad un numero esiguo di persone, inascoltate e facilmente sopprimibili con letale indifferenza.>>
Le due affermazioni, che, come tante altre simili, hanno lentamente formato la coscienza storica delle generazioni succedutesi dai tempi della Repubblica Napoletana ai nostri giorni,tengono poco conto della realtà. E, senza far ricorso ad alchimie o a sofismi, cerco di dimostrare.
Definire “assassino” Ferdinando IV non risponde a verità, in quanto, per usare un modo di dire caro allo stile dei relatori, mi sembra che sia “storicamente documentato” che egli non si sia macchiato personalmente di alcun omicidio, perché le pene di morte eseguite contro gli ex regnicoli, che, mentre mangiavano alla sua tavola, tramavano contro di lui, furono comminate da un tribunale dopo un regolare processo. Se Ferdinando fosse stato davvero la belva assetata di sangue come vogliono farla passare i filo-giacobini odierni avrebbe avuto tutto il potere o di adottare soluzioni più sbrigative o di influenzare i tribunali affinché decidessero per la condanna a morte di tutti gli ottomila processati e non limitarsi a farne condannare “appena” centoventiquattro. Inoltre, per quanto riguarda l’ingombro che la sua figura a cavallo farebbe nella piazza ex Largo di Palazzo non gli si può muovere alcuna accusa di usurpazione in quanto, fino a prova contraria, quella era casa sua.
Per quanto riguarda, poi, l’egemonia esercitata dalla dinastia borbonica sulla cultura l’affermazione si contraddice da sé. Anche qui, fino a prova contraria, il “sanguinario” regime borbonico non ha mai avuto voce nelle vicende e nella storia del Paese. Esso non è stato semplicemente relegato nell’oblio. E’ stato fatto di più. Lo si infangato, dipingendolo per omnia saecula saeculorum come il regno del male assoluto al cui cospetto l’inferno appare come un luogo di delizie.
Non è storia ma cronaca. Vorrei chiedere a chi diffonde queste notizie se possono indicarmi, su tutto il territorio che fu interessato dagli eventi della Repubblica Napoletana e del Risorgimento, in quale luogo esiste da vecchia data un monumento, una piazza o una strada a ricordo di “realisti” o di “borbonici” che si sacrificarono, essi veramente, per difendere la propria patria. I movimenti neoborbonici, tradizionalisti, identitari impegnati da decenni per ottenere una tale “concessione” non hanno mai avuto vita facile e sono stati costretti a scrivere una controstoria per gli anni che vanno dal 1799 al 1860, ricorrendo a ricercatori specializzati in altri campi, perché il mondo accademico, la classe politica e quella militare gli sono stati sempre ostili, mentre contributi a profusione e aiuti di Stato venivano e vengono elargiti a istituti di storia patria inseriti nel sistema. Questi, sì, che “ancora oggi” esercitano “la loro forza oscura” per impedire ad altri ricercatori – a cui non vien elargito alcun contributo o alcun aiuto statale – di far luce anche sull’altra faccia della medaglia. Non è un caso, infatti, che alcuni coraggiosi e contrastati editori abbiano assunto come ragione sociale quella di “Controcorrente” . Se non ci fosse stata una corrente che da più di due secoli, col suo scorrere,aveva scavato un alveo abbastanza profondo, “contro” chi avrebbero dovuto andare costoro?
Così è avvenuto che l’ideologia della Repubblica Napoletana che, stranamente, non è scomparsa, come sarebbe stato ovvio, visto come sono andate le cose, avendo in comune con gli eventi successivi una matrice di natura massonica, sia riuscita a sopravvivere fino ad influenzare l’epoca risorgimentale per arrivare addirittura fino ai nostri giorni ed avere, insieme agli artefici del Risorgimento (che, però, si è affermato come vincitore), i suoi eroi e i suoi martiri, con relative strade e piazze dedicate, perché, trasformando alcune azioni in mito, si sono elevati al rango di eroi e martiri soggetti che hanno fatto invadere il sacro suolo della patria da eserciti stranieri: nel 1799 da quello francese, che nel solo Regno di Napoli procurò un numero di circa 80.000 vittime ed una spoliazione economica di un valore impossibile da quantificare, e nel 1860 da quello piemontese, che desertificò , spopolò e dissanguò del tutto il Regno delle Due Sicilie, lasciandolo proprio nelle condizioni di non più intraprendere.
Ora, tornando all’esempio della barricata, i due momenti storici che più ci interessano (la Repubblica Napoletana e l’unificazione dell’Italia) sono stati determinati da due schieramenti contrapposti. Il primo dai “liberali” filo-giacobini contro il potere costituito e la parte di popolo ad esso fedele; il secondo dai “liberali” filo- piemontesi contro (anche questa volta) il potere costituito e la parte di popolo ad esso fedele.
Ognuna della due parti, opponendosi all’altra, lo avrà fatto con l’intima convinzione di essere nel giusto. Ma poiché quella di matrice giacobina fronteggiava l’altra ispirandosi a principi di “libertà – uguaglianza e fraternità”, non è un controsenso considerare martire o eroe un “giacobino” che teorizzava e giustificava l’omicidio e ritener, invece, assassino, criminale e sanguinario un “realista” che sostiene la stessa cosa? Possibile che martiri ed eroi siano solo da una parte? Dove va a finire a questo punto la ostentata professione di uguaglianza?
Se i giacobini “liberali” e i “risorgimentalisti” anche odierni possono considerare la Sanfelice, la Fonseca Pimentel, il Natale, il Pagano, il Cavour, il Cialdini, il Garibaldi eroi e martiri a cui dedicare anche monumenti, strade, piazze e perfino un giorno della memoria e ciò non produce né prese di posizione contrarie né scandalo né stupore, perché invece (smentendo clamorosamente l’affermazione che il regime borbonico abbia orientato ed orienti la cultura) si grida subito allo scandalo appena una parte della popolazione attuale che simpatizza per la parte che si trovava dall’altro lato della barricata intende onorare e ricordare anch’essa i propri eroi i propri martiri, dedicando anche a loro una giornata della memoria?
Io penso che continuando non a nascondere la verità, ma – cosa più colpevole – a falsarla, si dimostra anche poco rispetto e poco amore per il proprio paese, indipendentemente dai tentativi esperiti per giustificare le proprie affermazioni. E il fatto acquista maggiore gravità in quanto messo in atto da persone che hanno buona conoscenza e piena coscienza dell’argomento.
Il poco rispetto e il poco amore per il proprio Paese lo si riscontra anche in altre affermazioni fatte sempre dalle stesse persone.
<< … Dire che i lazzari combatterono per il loro re è strumentale. I lazzari combatterono per difendere la loro anarchia, per assicurarsi il libero saccheggio, per soddisfare odi e violenze.>>
( Un po’ come verrà detto per i “briganti” nel 1860).
Sostenere, però, che i lazzari, non essendo “popolo”, non potevano avere una coscienza politica non è un’affermazione gratuita? Certamente quella massa amorfa – solo istinto, come viene definita – non penso che si sia fatta massacrare “per difendere la propria anarchia”. Forse, dei lazzari tutto si potrebbe dire tranne che fossero dei “fessi”. Se non avessero avuto coscienza di quello che stavano facendo e fossero stati spinti solo dall’istinto, non sarebbe stato più facile per loro fraternizzare con le truppe francesi, che, per quanto riguardava saccheggi e devastazioni non avevano bisogno di alcun maestro? L’insorgenza dopo l’armistizio di Sparanise firmato l’11 gennaio 1799 dal conte Pignatelli non è stata, certo, motivata da calcoli utilitaristici, altrimenti non avrebbero opposto quella forte resistenza all’ avanzata delle truppe francesi che destò addirittura l’ ammirazione non solo dello Championnet, ma anche del generale Capo di Stato Maggiore Bonnamy, il quale dovette onestamente esclamare:<< … l’azione dei lazzari farà epoca nella Storia!>> )
<< … E’ vero che nei fatti del ’99 fu coinvolta tutta, o quasi, l’intellighenzia napoletana, ma ci fu anche l’adesione del popolo “ragionevole”, altrimenti non si spiegano le migliaia di condanne che furono emanate con la restaurazione … Ma in ogni caso, dopo l’ecatombe del ’99 …>>
La reazione di Ferdinando IV viene descritta come un’ecatombe. E’ storicamente accertato – questo, sì – che su circa 8000 prigionieri, solo 124 vennero mandati a morte; 6 graziati; 222 condannati all’ ergastolo; 322 condannati a pene minori; 288 alla deportazione e 67 all’esilio. La somma dei giustiziati, dei graziati, dei condannati all’ergastolo, a pene minori, alla deportazione e all’esilio ascende a 1029 persone. I circa 7000 che mancano, visto che dal “sanguinario” regime borbonico furono fatte giustiziare solo 124 persone, che fine hanno fatto? Secondo i calcoli, invece, sembra che le vittime causate dai giacobini (ovviamente, non sanguinari) ascendessero ad alcune decine di migliaia. Ma, per la storiografia del sistema (non certo filo-borbonica), debbono fare testo le 124 esecuzioni capitali comminate, tra l’altro, da un tribunale dopo un regolare processo.
Ancora.
<< … I francesi erano odiati non solo perché il clero, quello reazionario, aveva plagiato le masse dipingendo i “conquistatori” come degli atei, dei violentatori e, fatta eccezione per lo Championnet, va detto che i francesi coi loro saccheggi e le tasse imposte dal Direttorio non si smentirono.>>
Penso che per quanto riguarda l’ateismo, la rapacità e la violenza – come poi, alla fine, ammette la stessa direttrice della testata – l’azione dei preti non possa definirsi proprio “plagio”. Bastino per tutti l’eccidio di Isola del Liri (537 vittime – 12 maggio 1799), e quelli di Casamari e di Porrino del 13 maggio con oltre 700 vittime e la profanazione di luoghi sacri.
“ Scappando” verso Palermo << Ferdinando aveva caricato sulle navi inglesi tutti i beni della corona.>>
E’, questo, un delitto o un’azione che debba essere presentata come un furto? Quei beni erano o non erano suoi? Doveva forse lasciarli a Napoli in modo che i francesi, come fecero i garibaldini nel 1860 con Francesco II, se ne impadronissero?
<< … La stagione repubblicana è stata un’epoca poco o meno che ignorata durante tutto il periodo in cui i Borbone continuarono a regnare nel Meridione.>>
Di che ci si meraviglia? Si pretendeva forse che Ferdinando e Maria Carolina che avevano rischiato di fare la fine di Luigi XVI e di Maria Antonietta organizzassero un comitato di festeggiamenti per quelli che avevano attentato alla loro vita?
Si levano ancora critiche contro l’ordine di Ferdinando di incendiare la flotta e far saltare i depositi di munizioni. Ma, oltre all’applicazione di una regola di guerra che impone di non lasciare a disposizione del nemico armi o vettovaglie, con le truppe francesi in arrivo e i traditori in casa, Ferdinando poteva mai prendere una decisione diversa? Perché si continua a presentare i fatti in maniera distorta?
Ultima affermazione, quella del Prof. Giuseppe Galasso, secondo il quale << … Non furono i Borbone a rendere grande Napoli agli occhi dell’Europa, bensì quegli illuminati condannati al patibolo. >> .
Di questi “illuminati” torneremo a parlare, mentre l’affermazione me ne richiama alla memoria una analoga fatta dal Croce sulla famosa (ma sarebbe il caso di dire “famigerata” Destra Storica), altro pessimo esempio di scorrettezza morale.
Tutte le affermazioni di cui sopra più che far capire – se ce ne fosse stato bisogno – l’ orientamento politico e culturale delle persone che le hanno fatte, sono un indice di scarso senso di identità e di appartenenza, dimostrato, tra l’altro, dalla preferenza di un tricolore blu – giallo -rosso.
Senza alcuna intenzione di offendere, mi sembra di non divulgare una notizia falsa affermando che, relativamente all’esperienza della Repubblica Napoletana, quando la nobiltà, gli uomini di cultura e l’alta borghesia (anche ammettendo che fossero convinti di essere nel giusto) aprirono le porte alle voraci ed insaziabili truppe francesi essi erano a tutti gli effetti sudditi borbonici, per cui, anche volendo scusare ideologicamente il loro comportamento, lo stesso, però, non può che essere considerato un tradimento, anche perché tutti quelli che vi presero parte vivevano o tiravano avanti, direttamente o indirettamente, grazie alle possibilità che offriva ad essi il loro re, non ultima la “madre della patria” Eleonora de Fonseca Pimentel, che mentre ordiva contro la dinastia, non ricusava il lauto compenso che le veniva corrisposto quale curatrice della biblioteca di Maria Carolina.
Castrese Lucio Schiano
Mi permetto di esprimere gratitudine per l’articolo che avete postato di Lucio Castrese Schiano, e la mia grandissima ammirazione all’Autore, pacato, puntuale e profondo nelle sue argomentazioni, lui sì da vero maestro di comunicazione storica e di verità!… Incuriosita di conoscere la destinataria, trovo in pergamena un “Attestato di Benemerenza” alla Professoressa universitaria firmato dall’Assessore alla Cultura e dal Sindaco di Napoli in data 22 gennaio 2016… e questo è desolante!.. l’asservimento reciproco, la strumentalizzazione, l’impossibilità dei cervelli di essere scevri da condizionamenti ideologici, grave soprattutto quando si dovrebbe fare ricerca vera e insegnare a farla dalle cattedre, come dovrebbe essere il compito dei docenti da cui escono le generazioni future…
Caterina Ossi