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Michele Pezza e Salvatore Giuliano, due patrioti spinti dal coraggio e dalla dignità (III)

Posted by on Apr 12, 2023

Michele Pezza e Salvatore Giuliano, due patrioti spinti dal coraggio e dalla dignità (III)

Dopo lo scioglimento dell’EVIS, Giuliano e sua sorella Marianna decisero di supportare l’avvocato Nino Varvaro e il suo nuovo MISRD (Movimento per l’Indipendenza della Sicilia repubblicano e democratico) nelle elezioni regionali del 20 aprile 1947 ma non raggiunse il seggio a causa del tradimento di Li Causi di un patto consistente del suo impegno di dare un contributo elettorale a Varvaro, sebbene la maggior parte dei comunisti erano favorevoli all’indipendenza isolana.

Giuliano, capendo che Li Causi lo avrebbe fatto apposta per interessi ideologici che del popolo isolano, lo vuole punire durante la festa della vittoria della sinistra ascara a Portella della Ginestra stabilitasi il 1° maggio. Il suo piano consisteva lo sparo di un solo colpo in aria e la sua cattura, con lo scopo di costringerlo di ammettere, davanti alla folla, le sue intenzioni nei confronti dei siciliani. Purtroppo nel suo gruppo c’era Salvatore Ferreri, un venduto confidente dell’Ispettore Ettore Messana, il quale è stato il responsabile della Strage degli operai di Riesi dell’8 novembre 1919, che informano il boss Calogero Vizzini, il politico Girolamo Li Causi e i democristiani l’iniziativa di Giuliano, pronti a diffamare l’innocente patriota con un altro piano. Durante la festa dei contadini a Portella della Ginestra dal monte Cumeta partono i primi colpi causando 11 morti e 27 feriti. Immediatamente Messana punta la responsabilità a Giuliano, favorendo la campagna diffamatoria per disprezzare la solidarietà indipendentista del fuorilegge. In verità le pallottole delle armi del gruppo ribelle di Giuliano erano di calibro 6.5, mentre il resto dei bossoli buttati in quel monte erano di calibro 9. Come poteva Giuliano e i suoi uomini a sparare dalla Cumeta in distanza se il loro calibro non riusciva a raggiungere i contadini? Quindi la responsabilità va attribuita ad una squadra di mafiosi provenienti di San Giuseppe Jato, inviati dal boss Giuseppe Troia, detto “don Peppino”, armati di mitra e di dategli da Messana e aiutati dagli ex-componenti della Decima Mas di Julio Valerio Borghese divenuti agenti dei servizi segreti americani con il loro lanciagranate, per frenare l’ascesa del comunismo. Giuliano non se l’aspettava di questa azione indegna e mentre interroga Ferri e Passatempo, colui che usò il mitragliatore americano, che fecero i nomi dei mandanti della strage (i quali furono Bernardo Mattarella e Mario Scelba) giurò vendetta in nome della Sicilia. Il 17 luglio del 1948 a Partinico, Giuliano e i suoi uomini uccidono il boss Santo Flores e altri 6 mafiosi e il 19 agosto 1949 assaltò la caserma dei carabinieri a Bellolampo, in risposta all’uccisione degli 11 contadini di Portella della Ginestra e che lui, di cuore, lo ha fatto per dimostrare la sua volontà di difendere il suo popolo. Purtroppo tale giustizia gli costò molto cara e nella notte del 5 luglio 1950 viene ucciso da un sonnifero messo nel vino e portato fuori da 5 uomini borghesi, guidati da Antonio Perenze mandato a sua volta da Ugo Luca e dal mafioso di Monreale Nitto Minasola, nel prato dell’avvocato de Maria a Castelvetrano, finendolo con alcuni colpi. La sua morte viene considerata una vittoria dello Stato che non fu e non l’ha ottenne, perché fu una condanna a morte nei suoi confronti per essersi permesso di opporsi alle ingiustizie dello Stato coloniale e della Mafia. Giuliano stava nella parte del suo popolo da quando mantenne la sua fede verso l’indipendentismo isolano e non voleva spargergli nessun sangue, continuando ad adempiere il suo dovere di volontariato e di difesa della sua terra. Durante il processo di Viterbo del 1950 Gaspare Pisciotta, amico di Giuliano, ammette di essere stato costretto sia da Messana sia da Minasola di aver indicato il luogo di domicilio del suo amico, per permettere agli agenti di polizia di farlo fuori. Però a Pisciotta non gli era permesso di dire i nomi di quegli stessi mandati della Strage del’47, così fu messo da parte e anch’egli viene condannato a morte con la stricnina versata nel caffè, decisa dallo Stato coloniale e dalla Mafia. Salvatore Giuliano sarà considerato uno dei casi di banditismo sociale del dopoguerra ma agli occhi dei siciliani è stato un patriota della Sicilia, per amore della sua terra.

Dai racconti dei due personaggi oscurati dalla propaganda razzista unitaria ma ricordati dai loro popoli si percepisce di una certa spontaneità del patriottismo ispirandosi agli eroismi dei propri popoli: Pezza alla resistenza dei lazzari di Napoli contro l’esercito di Championnet del 21-23 gennaio 1799 e Giuliano ai Vespri siciliani del 1282. Pezza credette che le masse dei popolani dovrebbero essere dei facenti parte del regio esercito del Regno di Napoli come un adeguato sostegno nella lotta contro l’invasione francese di Napoleone, mentre Giuliano unisce la sua generosità verso i poveri alla lotta per l’indipendenza siciliana, come lo dimostra dalla prima parte del suo discorso pubblico in una riunione indetta a Montelepre nel settembre del 1945: “Fratelli Siciliani! Miei compaesani! Se in questo momento siete qui è perché condividete con me l’amore per la nostra amata e martoriata Madre Sicilia! Ed è proprio perché condividete con me questo amore e questa voglia di libertà dalla schiavitù, vi dico che è arrivata l’ora della riscossa per liberarci da questa tirannia!”. Entrambi patrioti giurarono davanti alle loro bandiere nazionali e ai loro santi protettori di non voler tradire la loro terra ma dovettero affrontare molti nemici e traditori che fecero di tutto per ingannarli e diffamarli. Quel che è certo è che Pezza e Giuliano erano persone che non rinunciarono la loro causa adempiendo doveri morali, in particolare Pezza sulla salvaguardia dell’ordine pubblico e Giuliano sulla pratica della solidarietà. Per quanto riguarda la diffamazione, gli invasori non persero tempo a venire in mente le parole che da una parte servirono a screditare le imprese di liberazione dei due personaggi all’altra tendeva a favorire i regimi di occupazione, per es. oltre a quelle citate false accuse della Fonseca nei confronti di Pezza, Giuliano fu accusato di essere stato un uomo d’onore, trasformista e fortemente anticomunista, volendo unire la Sicilia agli USA come 49° Stato federale. Tutte queste “dichiarazioni” derivano dalle informazioni delle forze dell’ordine coloniali, della mafia e delle riviste quotidiane dei partiti ascari, tra cui il Partito comunista, ma si legano alla propaganda razzista unitaria, pronta a infangare con disprezzo i sacrifici dei popoli sottomessi e dei suoi antenati. Però a Pezza e a Giuliano va riconosciuto non solo il loro eroismo anche i vizi, poiché il primo voleva vendicarsi con durezza contro i francesi per aver ucciso suo padre e il secondo, invece, non ebbe il tempo di esercitare il controllo nel suo gruppo ribelle per poter impedire quella ingiusta strage di contadini. Oggi la storiografia ufficiale del razzismo unitario rinnega il patriottismo popolare di Pezza e di Giuliano, associandoli alla delinquenza comune e alla servitù dei personaggi più scuri della “Storia italiana”, senza permettere ai napolitani e ai siciliani il loro totale recupero dell’identità etnica e territoriale sepolta, con violenza militare, dai piemontesi sabaudi. Questi popoli hanno l’inviolabile diritto e dovranno ricordare non solo quegli entrambi patrioti ma molti altri sia nel loro cuore sia con le vie nelle strade, nelle piazze e nelle istituzioni per sostituire quelle che inneggiano gli assassini, i complici e i criminali di quei due popoli. Ai membri della Libera contro le mafie e ai certi e ottusi professionisti d’Antimafia non si dimenticano che Antonio Canepa, Francesco Ilardi, Salvatore Schifani, Salvatore Giuliano e Gaspare Pisciotta sono realmente vittime non della sola mafia pure dello Stato, ovvero della famosa Trattativa Stato-Mafia, con la colpa di aver difeso la Sicilia dal ritorno delle leggi filo-sabaude della nascente Repubblica. Inoltre si ricordano tutti i sostenitori della ingiustificata propaganda razzista unitaria (compreso i professionisti d’Antimafia) che, oltre a Pezza e a Giuliano, anche Masaniello, Fabrizio Ruffo, Antonio Capece Minutolo, Francesca La Gamba, Cesare Balsamo, Carmine Crocco, Ninco Nanco, Pasquale Romano, Giuseppe Tardio, Jose Borjes, Ferdinando Mittiga, Michelina de Cesare, Maria Oliverio, Filomena Pennacchio, Giuseppe Schiavone, Lugi Alonzi, Gaetano Baldassarre, Basilio Pagliuca, Giuseppe Musolino, Giuditta Levato, Pasquale Cavallaro, Gennarino Capuozzo, Francesco Vinci dalla parte napolitana e Giuseppe d’Alessi, Nino La Pelosa, Pietro Lombardo, Nicolò Lombardo, Calogero Gasparazzo, Giovanni Boncoraggio, Francesco Bonafede, Francesco Paolo Varsalona, Giuseppe de Felice Giuffrida, Giacomo Petrotta, Maria Occhipinti, Calogero Petrolino, Antonio Canepa, Marianna Giuliano, Concetto Gallo dalla parte siciliana non erano solo vittime della repressione ma tutti entrambi dei due popoli furono patrioti di buona volontà e di coscienza, ovviamente non per vantaggio culturale e sociale, com’era successo e succede nelle rivoluzioni senza popolo, ma per il totale rispetto del popolo individuandone i bisogni e le esigenze e raggiungendoli con un’ideale condiviso dai loro connazionali, nella speranza di instaurare nella propria nazione tutto ciò che i popoli hanno accettato e riconosciuto come vere e proprie civiltà. (fine)  

Antonino Russo  

1 Comment

  1. I Popoli alla fine sono sempre stati manipolati e sopraffatti da protagonisti di ideologie abbracciate per ambizioni personali non importa se tradivano i propri fratelli… Chissà se si arriverà un giorno a riconoscerlo e a stabilire rapporti su riconoscimento reciproco… Un’utopia o una speranza?caterina

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