Michele Pezza e Salvatore Giuliano, due patrioti spinti dal coraggio e dalla dignità
Ogni popolo detiene una propria terra di cui vive e appartiene per secoli, evolvendo e traendone dalla sua tradizione dei certi valori morali che naturalmente influenzano, interessano e educano quello stesso popolo nella conoscenza della civiltà.
La civiltà dei popoli che attualmente viene messa da parte dagli incoscienti tiranni elitari proviene direttamente dalle loro tradizioni morali, per cui sarebbe morale e oneroso che le politiche degli Stati continentali ne prendessero spunta anziché imporre i modelli stranieri al loro interno, tra cui quello occidentale basato sulla falsa democrazia e sulla libertà astratta. Dal Medioevo alla seconda metà dell’Ottocento, molti intellettuali e sovrani sensibili si impegnarono a far rinascere i loro popoli con lo sviluppo delle prime dottrine giuridiche legate alla civiltà greco-romana: la democrazia partecipativa, l’interventismo del potere centrale, il diritto di rappresentanza nazionale, la spartizione dei beni, la fondazione di organi rappresentativi e delle corporazioni, il costituzionalismo moderno, l’associazionismo di volontariato (condotto sia dai civili laici sia dagli ordini religiosi), la collaborazione laica-religiosa sull’educazione scolastica e universitaria, il montismo dei bisognosi, il diritto all’indipendenza nazionale (durante il periodo dell’universalismo imperiale-papato), l’umanità statale, l’apertura del commercio (adempiuto con i trattati tra gli Stati e con le imprese coloniali) e, soprattutto, il diritto di ribellione (nei confronti dei presunti tiranni e degli invasori stranieri). Su quest’ultimo concetto avvolte i sovrani più tiranneggianti non li concessero ai popoli intenti di combattere una o più ingiustizie inflittegli dal sovrano stesso ma viene tutelato dal giusnaturalismo di Locke, in cui si afferma che se lo Stato non garantisce ai suoi individui che lo hanno fatto nascere attraverso un accordo i diritti e le libertà sarà considerato illegittimo. Inoltre un altro scopo fondamentale di uno Stato è di proteggerli dal ritorno dello stato di natura, visto da Hobbes un aspetto positivo e da Locke un aspetto negativo, se in tal caso esso seppe garantire i diritti naturali di quei individui. Proprio su quest’ultimo punto ci dobbiamo domandare il motivo dei governi elitari di cancellare il passato morale dei popoli sottomessi e colonizzati. Naturalmente dobbiamo riconoscere che il passato può essere vissuto nei momenti non solo positivi ma anche negativi, per cui sta all’individuo di ricordarlo o di dimenticarlo per non vivere nel totale incubo. Però molti popoli colonizzati (non dite che il colonialismo non esiste più) vissero nei passati morali, condizionati dai secoli dei progressi e di benessere. Per es. Corsica, un’isola colonizzata della Francia repubblicana, ebbe il privilegio di aver avuto la sua indipendenza sotto la guida di Pasquale Paoli tra il 1755 e il 1769, sviluppando la sua prima Costituzione, i suoi istituti sociali, la sua Università, le sue monete, il suo Parlamento nazionale e la sua rinascita economica. Ben presto altri popoli ottennero questi privilegi nel proprio passato ma, successivamente, non gli verranno garantiti dai governi dei corrotti, golpisti o degli invasori. Allora cosa dovranno fare i popoli colonizzati: vivere nello status di colonia o hanno intenzione di riprendersi i loro diritti e la loro indipendenza usurpata? Non si tratta solamente questione di indipendenza ma anche quella della totale mancanza del buon governo che gli elitari non si attingono a esso e lo hanno sepolto per prevalere la loro tirannia sui popoli che non condivideranno mai, conoscendone le conseguenze. Anche in Italia regge tale problema ma qui il colonialismo ha origini storiche e domina sul sistema statale e istituzionale con l’obiettivo di espandere i modelli della Grande Padania su tutti i popoli colonizzati, compreso la Napolitania e la Sicilia. Questi due territori, circondati dai mari e detentori delle proprie culture, ebbero la propria indipendenza nazionale e un ordinamento giuridico in attinenza alle tradizioni morali invece alle ideologie politiche delle élite, in particolare in Sicilia con il suo parlamento fondato nel 1130 da Ruggero II dei Normanni e nella Napolitania con i famosi sedili parlamentari, avendo pure l’esercizio del potere consultivo nei confronti del Re e del Viceré. Sicuramente il diritto di ribellione è stato indubbiamente esercitato da entrambi popoli per opporsi ai vicereami spagnoli con due eventi storici: la rivolta masanielliana del 1647-1648 che istituì una Repubblica popolare guidata da Gennaro Agnese e le rivolte siciliane prima dell’agosto del 1647 di Giuseppe d’Alesi a Palermo e poi di Messina del 1674-1678, nei confronti della quale gli fece costare la chiusura forzata della sua Università che sarà aperta solo nel 1838 per volontà di Ferdinando II di Borbone. Nei primi inizi del Settecento si tentò all’instaurazione di quei valori della civiltà citati prima sui popoli che ottennero e difesero la propria indipendenza ma tale periodo storico diverrà anche l’epoca buia per l’avvento di un fatto drammatico e che condizionerà negativamente la vita dei popoli europei: la Rivoluzione Francese del 1789 guidata su istigazione di una minoranza di intellettuali che cominciava a dettare la Costituzione e una serie di leggi per salvaguardare i loro interessi. Quindi la tirannia non si è mai conclusa poiché da quella feudale sarà sostituita a quella dei sapienti. In altre parole la Rivoluzione Francese non fu altro che una minaccia diplomatica per tutti i legittimi Stati europei e poteva evitare di esserla se non fosse condizionata da quel gruppo di persone dimentichi della coscienza. I monarchi europei e i popoli non si trovarono impreparati di fronte a quella minaccia che verrà affrontata per ben sette volte con le seguenti coalizioni: la prima tra 1792-1797, la seconda tra 1798-1802, la terza tra 1803-1805, la quarta tra 1806-1807, la quinta nel 1809, la sesta tra 1812-1814 e la settima nel 1815. La tirannia elitaria cominciò ad evolversi in se stessa mediante la strumentalizzazione della politica e della cultura e trovandosi i propri alleati, infatti prima con gli individui legati al feudalesimo e alla delinquenza comune e poi con l’Occidente americano in seguito alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e tutt’oggi continua a sopravvivere senza essere frenata dalle politiche dei governi, anch’essi fedeli dell’Occidente. A causa di tale forma di ingiustizia che molti popoli di oggi cominciano a ribellarsi per andare alla ricerca di un valore tanto oscurato dai tiranni elitari: il diritto alla verità. Una volta la ribellione dei popoli si fondava sulla difesa della loro indipendenza e sulla realizzazione dei loro diritti e della giustizia se, di fatto, gli viene mancata dai loro governanti. Oggi si può dire che tale obiettivo dello spirito di ribellione rimane presente in tutti popoli mediante le loro organizzazioni socio-politiche in opposizione alle politiche dei loro nemici tiranni elitari. Tutti i popoli che conducono le ribellioni si battono per una causa da sempre condivisa e attinente alla realtà e ottengono vari risultati ma solo nei momenti brevi poiché dovettero subire molte sconfitte e sarà un onore coloro che gli avranno aiutati, nella speranza che essi non si erano messi nei panni di certe personalità invise e di presunti dittatori. Ebbene i popoli della Napolitania e della Sicilia hanno il sacro diritto di ricordare i loro patrioti caduti nella lotta per l’indipendenza contro le invasioni coloniali della Francia e del Piemonte dei Savoia, tra cui anche questi due personaggi noti in quell’impresa militare: Michele Pezza e Salvatore Giuliano. Queste due persone nascevano nelle condizioni familiari diverse e affrontarono molte situazioni particolari, rimanendone coinvolti ma partecipi per libera convinzione con la volontà di difendere il proprio popolo di appartenenza da ogni violenza degli invasori, arrivando a una brutta e ingiusta fine. Cominciamo da Michele Pezza, il quale nacque ad Itri, nella provincia di Terra di Lavoro, il 7 aprile 1771 da una famiglia di contadini dediti al trasporto di olio, e quando ebbe quattordici anni si ammalò di una malattia che la madre, pregando a San Francesco di Paola, lo fece salvare. Viene inviato in un collegio religioso che non sopportava la maleducazione di Michele che ricevette il nome di “Fra’ Diavolo” per il suo atteggiamento di irrequietezza e non per simpatia di satanismo. Una volta liberatesi dello studio, Michele aiutò il padre nella sua bottega e lavorò, per alcuni anni, in una bottega di cavalli gestita da Eleuterio Agresti. Nel 1796, durante una partita di carte, Pezza viene ferito da un avversario per questioni d’amore e d’onore all’insaputa della vittima che, in tutta la risposta, lo uccise e si rifugiò sotto la protezione del barone De Felice di Roccaguglielma ma si consegnò alla giustizia, domandando al re Ferdinando IV di Napoli di commutare la sua pena in servizio militare presso il Corpo dei Fucilieri di Montagna per tredici anni che gli sarà accettata e garantita dal Ministro della Giustizia Ruffo di Castelcicala. Sotto l’educazione militare Pezza si dimostrò di possedere il coraggio, la risolutezza e l’onestà di intraprendere tale carriera ma il suo servizio viene ridotto in otto anni, decidendo di prendere parte ad uno degli eventi drammatici del Regno di Napoli: il generale Jean Etienne Championnet e il suo esercito straniero spacciato come “rivoluzionario” stavano entrando nei confini del Regno e tutto questo comportò la pubblicazione del proclama del dicembre del 1798, in cui il re avvisava alla popolazione di armarsi per arrestare e contrastare l’avanzata dei francesi e dei loro collaborazionisti giacobini (di maggioranza nobiliare e borghese). Pezza non perse altro tempo di poter tornare nella sua città natale, dove molti abitanti si uniranno a lui per costituire le masse, ovvero un unità di partigiani irregolari. Inizialmente si sperava che le truppe di Pezza riuscissero a opporsi agli invasori francesi con le armi e munizioni necessarie ma, in seguito all’occupazione della capitale Napoli del 23 gennaio del 1799 dopo le tre giornate di lotta, subirono una sconfitta nel fortino di Sant’Andrea preso in assalto dai francesi che commisero altri massacri sulle popolazioni napolitane accusate di aver appoggiato i partigiani fedeli dei Borbone. Pezza, a causa della sua ribellione, perse il padre durante il saccheggio della sua città natale e quella brutale perdita spinse a Michele di non arrendersi di fronte ad un regime di occupazione militare finché non avrà liberato la sua terra da quei invasori portatori di idee destabilizzatrici. Pezza riprese il ruolo di colonnello delle truppe di massa e si alleò con l’esercito sanfedista del cardinale Fabrizio Ruffo, costituitosi nelle Calabrie nel febbraio del 1799, ricevendone appoggio sia della popolazione sia degli inglesi sia della Corte borbonica, in particolare dalla regina Maria Carolina. Le tattiche militari del guerrigliero Fra’ Diavolo permise l’avanzata dell’esercito di liberazione di Ruffo, dalle Calabrie fino a Napoli e inflisse una pesante sconfitta delle truppe francesi e collaborazionista dell’élite giacobina che non si attese di diffamarlo in modo ripetitivo, per es. gli articoli del Monitore Napoletano gestito dalla poetessa portoghese Eleonora Pimentel Fonseca gli infliggono la definizione di “sanguinario bandito intento a saccheggiare molte città e a uccidere le persone innocenti” anche se egli aveva giurato vendetta contro i francesi, il cardinale Ruffo impedì il spargimento di sangue da parte dei suoi soldati sanfedisti, di cui faceva parte il guerrigliero itrano……continua
Antonino Russo