Napoli e Calabria, due luoghi uniti nel cuore d’origine (II)
Le province napolitane assistettero tristemente alle spoliazioni culturali, ai saccheggi e alle ruberie degli invasori francesi e dei collaboratori giacobini e non ebbero altre alternative se non quello di ribellarsi all’occupazione di manu militari violenta, a partire dalla Calabria che, prendendo spunto dall’eroismo patriottico dei lazzari di Napoli compiuto nelle tre giornate del 21-23 gennaio del 1799, si oppose alla tirannia giacobina grazie all’impresa del cardinale riformatore Fabrizio Ruffo, il quale sbarcò a Catona nel febbraio e si mise in marcia con il suo esercito del popolo, composto ovviamente da contadini, borghesi, ex-militari napolitani, ex-delinquenti e tutti gli abitanti che non riconoscevano le idee della Francia e dei collusi giacobini.
Per 114 giorni di marcia, l’intera Napolitania venne liberata e i suoi nemici furono condannati in varie pene, nonostante le suppliche del cardinale Ruffo di esiliarli a Tolone che furono rifiutate dall’ammiraglio Nelson. Tra gli eroi dell’impresa ruffoniana e che saranno gli eredi di Masaniello abbiamo Michele Pezza, detto “Fra Diavolo”, e Francesca La Gamba, una mamma di Palmi che, vedendo perdere il suo legittimo marito a causa della prepotenza di un delinquente napolitano divenuto gendarme napoleonico, divenne patriota a capo di un gruppo di briganti emarginati di sentimento patriottico, unendosi ai tentativi di liberazione della Napolitania ma non ebbe il tempo di vederla libera a causa della sua morte naturale avvenuta nella sua città natale nel 1816. Altri eventi storici delle due province furono la rivolta calabrese del 1806-09 e la rivolta indipendentista filo-napolitana del 1860-1870, anche se in Calabria le sommosse ne furono poche e c’erano dei tentativi ma molti calabresi presero parte alle imprese di Crocco, di Borjes, di Romano e di Schiavone, in particolare Pietro Monaco, Domenico Straface e Maria Oliverio. Dopo la brutale e ingiusta fine della rivolta indipendentista filo-borbonica sapete che la nostra Napolitania divenne una vera e propria colonia di sfruttamento, dove le sue risorse e i suoi mezzi produttivi vengono usati e rubati dai collusi imprenditori napolitani e padani per sostenere economicamente la Padania, alimentando però un divario che tutt’oggi non viene fermato. La nostra terra divenne una colonia non solo per impoverimento ma pure per disoccupazione, per emigrazione, per illegalità forzata (naturalmente imposta dai mafiosi protetti a loro volta dallo stesso governo razzista e dagli ascari) e per un odio ingiustificato (necessario soltanto per favorire la propaganda razzista volta a reggere la malaunità) contro il nostro popolo che non ha l’obbligo di essere maltrattato e offeso da coloro che si definiscono per falsità “Fratelli”. Eppure le due provincie napolitane hanno subito assieme quest’ultima sorte: in particolare la Calabria vive delle stesse situazioni identiche a Napoli, le quali si legano ai casi dell’abbandono dei rifiuti, all’inquinamento, all’illegalità, alle mancate tutele generali, all’inefficienza di scolarizzazione e, quelle che non mancano mai, alle diffamazioni giornalistiche e ascare. Nei confronti delle due province gli ascari che svolgono attività istituzionali, politiche, culturali e giornalistiche, a causa dei momenti di eccezionalità (per es. furti, omicidi, corruzione), lanciano una serie di iniziative (libri, film, cortometraggi) dirette al favoreggiamento della campagna diffamatoria (peggio di un regime dittatoriale) che elogia lo stesso sistema segregazionista di tipo coloniale, ovvero la superiorità dei padani e l’inferiorità dei napolitani. Infatti, dalle frasi diffamatorie come “Non si affitta ai meridionali”, “Oh Vesuvio, lavali con il fuoco” o “I Meridionali? Predisposti a delinquere” si capisce che il desiderio della fratellanza e dell’uguaglianza agli occhi di molti napolitani rappresenta effettivamente un inganno di assoluta utopia, tant’è che la frase più famosa “Te***n” o “Te****e”, detta più volte per disprezzo che per autoironia, viene spacciata come una formula di benvenuto, un segno di amicizia o un atto di comicità da parte dei padani o di certi ascari sia padani sia napolitani nei confronti di altri napolitani innocenti e dei siciliani, nonostante che quest’ultimi non rientrassero in quella frase diffamatoria (come lo dimostra la canzone “Allarga lo Stretto” del gruppo musicale Brigantini). Esempio del genere è la ridicola sceneggiata dell’attore pugliese Checco Zalone durante il Sanremo del 2023 trasmesso tra il 7 e il 12 febbraio che mise in atto la “fiaba calabrese” per prendere in giro l’omofobia ma, in realtà, si permise di usare quella frase citata facendola passare come un semplice scherzo, influenzando l’intero pubblico che assistette alla sua sceneggiata mettendosi a ridere e ad applaudire senza conoscere la vera natura di quell’attore lombrosiano (anzi, nella maggior parte del pubblico c’erano personalità della televisione e della politica di fatto vicini all’ascarismo e al razzismo unitario) ma il giorno successivo, l’8 febbraio, il movimento indipendentista napolitano “Lupi del Sud” protestò tale offesa all’AGCOM che, in risposta, non si è degnata di accusare il Zalone con i reati di incitamento all’odio e di diffamazione aggravata. I complici del razzismo unitario lasciano che i suoi fedeli e i presunti ascari si divertano a offendere sia il nostro popolo sia altri per fare un favore a certi pennaruli e per avere tanti privilegi con lo scopo di non perdere il potere. La tirannia dei “sapienti” non perdona a chi si permette di negare le loro idee di fatto estranee e questa verità va detta più volte in tal modo che un popolo capisca le loro intenzioni se ostacolano o non i suoi bisogni e le sue esigenze. Ormai la parola “Terrone”, in altre parole, non è un reato e si può usarlo in ogni momento, anche per “scherzo”, come se gli americani si divertano a definire un afro-americano come n***o (senza offesa), purtroppo tutto l’esatto contrario. Come fanno i collusi napolitani a non capire che le diffamazioni degli ascari servono solo a infangare e a seppellire i progressi e la bontà del nostro popolo? Infatti non dimentichiamo che le nostre province ricevettero tante parole offensive sempre provenienti dalla peste ascara. Sia Napoli sia la Calabria vengono definiti come terre di senza speranza e senza futuro, dove un individuo vive nell’inferno a causa della esistente criminalità organizzata (che prima dell’unità veniva messa ai margini dalla dinastia borbonica) che comanda sulla comunità che gli obbedisce e diventa omertosa, senza pensare alla loro libertà, soprattutto dei propri figli. Inoltre si tenta di distruggere il loro passato, affermando falsamente e con inganno che desideravano “l’unità del Paese” (cioè l’Italia) per liberarsi dalla tirannide di una dinastia straniera. Ma come, definire i Borbone una dinastia straniera?! La mamma di Carlo III, Elisabetta Farnese parlava l’italiano e la stessa cosa l’hanno fatto i discendenti di suo figlio, anche se tendevano a usare il napoletano per mostrare non solo la propria appartenenza al popolo stesso ma pure l’esistenza della sua indipendenza nazionale. Nonostante ciò, dobbiamo ammettere senza vergogna e senza scopi propagandistici che lo Stato delle Due Sicilie deteneva una certa ricchezza economica grazie alla buona circolazione della moneta fatta di oro/argento e alla tassazione minima (le tasse erano solamente 5) e molti abitanti ebbero il merito di poter lavorare, studiare e prendere la propria terra per far affamare la loro famiglia, le cui garanzie erano state applicate dagli stessi sovrani attraverso le riforme. La situazione sociale delle Due Sicilie non era granché infernale ma bensì ebbe momenti di tranquillità e di pace, nonostante che essa veniva violata ripetutamente dai pennaruli attraverso i loro colpi di Stato nel 1799, nel 1820, nel 1848 e nel 1860. L’impegno di tutela e di rinascita progressiva del popolo napolitano e, soprattutto, siciliano era presente nella politica e negli atteggiamenti dei sovrani borbonici per permettere alle Due Sicilie di essere vicino alla modernizzazione, evitandola di farsi influenzare dalle idee estranee della tirannia elitaria che condizionarono negativamente la vita dei popoli, poiché erano tendenti al potere anziché ai bisogni popolari. Quindi se nel nostro Regno la pace e la libertà divennero leggi dello Stato, allora pure le due province dettero un contributo fondamentale all’economia, al progresso della società civile e al percorso storico della Napolitania: per la realizzazione del Ponte sospeso sul Garigliano gestito dall’ingegnere Luigi Giura nel 1828 e inaugurato dal re Ferdinando II nel 1832 il ferro utilizzato proveniva dall’industria siderurgica di Mongiana, la quale produceva soprattutto i fucili e le carrozze e comprendeva 1.500 operai che vissero in quella città calabrese che ottenne l’autonomia nel 1852; nell’ambito della società civile, Mongiana, Ferdinandea e San Ferdinando di Rosarno sono le tre città principali di attuazione dei principi della dottrina sanleuciana basata sull’uguaglianza e sulla solidarietà tra individui di diverso sesso, classe sociale ed età; nel corso della storia, prima della rivolta del 1860-70 i calabresi divennero partecipi per la lotta per l’indipendenza napolitana nelle imprese di liberazione del 1799 e del 1806-09, sebbene il primo fu raggiunto con successo a differenza del secondo. Però nell’impresa del 1799 va dato un riconoscimento al cardinale Fabrizio Ruffo nell’essersi mosso all’impedire con tutto il coraggio ogni vendetta dei suoi soldati e a emanare le nuove riforme economiche riducendo alcuni dazi dannosi che nemmeno i giacobini della Repubblica satellite della Francia “rivoluzionaria” se ne occupassero visto il loro perdurare del tempo nei salotti intellettuali…..continua
Antonino Russo