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Ordine, Rivoluzione, Controrivoluzione

Posted by on Set 7, 2023

Ordine, Rivoluzione, Controrivoluzione

Una riflessione

Spesso si parla di “Rivoluzione e Controrivoluzione”, ponendoli sempre in questa sequenza, corretta ma incompleta.

Infatti, cronologicamente (e logicamente) parlando, la Rivoluzione non è uno stadio iniziale, bensì successivo e contrapposto a uno stato preesistente di Ordine (il kosmos). A differenza di quanto suggerivano i miti greci («Nel principio era il Caos»), la nostra cultura fa iniziare la storia con un concetto opposto: «In principio era l’Ordine», il Kosmos o, evangelicamente, il Logos («ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος», recita appunto il prologo o initium Evangelii secundum Ioannem letto quotidianamente nella versione latina al termine di ogni Messa).

L’Ordine, quindi, precede sempre la Rivoluzione (ovvero il disordine). La Controrivoluzione (cioè «il contrario della Rivoluzione e non una Rivoluzione contraria», per citare Joseph de Maistre) segue, cronologicamente (e logicamente) la Rivoluzione, ma non postula altro che un “ritorno all’Ordine”.Quest’ultimo elemento, la Controrivoluzione, è un aspetto quasi naturale della ricerca dell’Ordine e del conseguente rifiuto del Caos. Infatti, pressoché ovunque la Rivoluzione abbia cercato (spesso riuscendovi pienamente) di distruggere l’Ordine, si è comunque avuto un tentativo di ritornare all’Ordine iniziale[1]: dallo schema classico della tragedia greca alle Insorgenze antigiacobine, alla rottura dell’iniziale situazione di (perlomeno maggiore) serenità segue il tentativo di ristabilire il modello primigenio.

Quindi, anziché della dicotomia “Rivoluzione-Controrivoluzione” si dovrebbe parlare di “Ordine-Rivoluzione” o, meglio, della triade “Ordine-Rivoluzione-Controrivoluzione” oppure “Ordine-Rivoluzione-Antirivoluzione”[2].

Non ci troviamo però di fronte alla classica triade hegeliana di tesi-antitesi-sintesi in cui un elemento genera il proprio opposto e trova alfine una conciliazione con esso: non può infatti esistere alcun compromesso (cioè alcuna sintesi) tra Ordine e Rivoluzione[3].

La sintesi hegeliana tende a uno sviluppo (A-B-C), l’antirivoluzione ad un ritorno alle origini (A-B-A).

Un altro termine usato (in generale in maniera dispregiativa da parte dei rivoluzionari) è quello di Reazione. Il termine, etimologicamente parlando, indica però solo un movimento avverso a quello rivoluzionario, non necessariamente in senso di ritorno alle origini (antirivoluzione): può esistere anche una “reazione rivoluzionaria estremista”, antimoderato nel senso di rifiuto del moderarsi della Rivoluzione.

Va constatato che l’antirivoluzione – storicamente parlando – ha quasi sempre (se non sempre) fallito. Questo perché la Rivoluzione si presenta come un esercito altamente specializzato e addestrato, in cui l’ala dell’estrema sinistra (i progressisti) individua gli obiettivi, la sinistra moderata (i riformisti) conquista le prime posizioni e, mentre riparte verso quelle più avanzate, l’ala destra (i conservatori) le consolida, dicendo ai suoi sostenitori che è meglio rimanere dove si è senza cercare di tornare indietro, perché altrimenti si creerebbe un conflitto, e che è meglio preservare la pace sociale e che è un bene accettare un “male minore”.

Dato che continua comunque a procedere in direzione del peggio, il male “maggiore” di oggi sarà il male “minore” del domani.

Insomma, anziché un realizzare il ritorno alla situazione originaria (A-B-A), i movimenti controrivoluzionari (dalla Vandea alla Cruzada) hanno al massimo raggiunto l’obiettivo di moderare gli effetti della rivoluzione e spesso di conservarli (A-B-C, se non A-B-B1). Naturalmente, in questo caso parlo degli effetti della lotta controrivoluzionaria, messa in atto in buona fede al fine di ristabilire l’Ordine, non della politica realizzata in malafede dai partiti moderati e conservatori a cui si riferiva il filosofo carlista Jaime Balmes nel suo celebre aforisma: «Il partito conservatore conserva gli effetti della Rivoluzione, quello moderato si limita a moderarne gli impeti»[4].

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A proposito della teoria del male minore: è invalso l’uso di considerare – soprattutto in ambiente sedicente tradizionalista ma in realtà nostalgico-conservatore – come positivo il ritorno al recente passato, spesso oggettivamente migliore del presente, senza rendersi però conto che quel più o meno recente passato è la causa immediata della situazione attuale. Sicuramente, in una situazione di motus in fine velocior, il passato risulta essere preferibile al presente; ma ci si deve rendere conto che postulare il ritorno all’immediato passato non rappresenta la soluzione. Anzi, rischia di essere un grave errore di calcolo, consistente nel confondere la causa con la soluzione, cioè scambiare come possibile rimedio ciò che in realtà non è altro che la causa immediata della soluzione presente.

Forse il concetto è meglio comprensibile ricorrendo a una metafora.

La Rivoluzione è una lancia. Ciò che ferisce è indubbiamente la cuspide, la punta in metallo; ma questa, in sé, non sarebbe tanto pericolosa – perché meno lunga di una daga o di un semplice pugnale, nonché difficilmente maneggiabile – se non fosse connessa al lungo bastone in legno. E questo è il risultato della concrezione degli errori del passato, dal loro successivo sedimentarsi. Il presente ferisce, ma è il passato che le dà forza.

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La rivoluzione francese (spiego più sotto perché ho deciso di scriverlo con la minuscola) fu lo sbocco di un percorso di cui la parte immediatamente precedente era costituita dall’Illuminismo, dal regalismo e, più a monte, dal protestantesimo.

Il Terrore, la sua fase più acuta, fu sicuramente spaventoso, sconvolgente e terrificante quanto si vuole (tanto da essere appunto definito Terrore, ma fu pur sempre la “naturale” conseguenza delle fasi precedenti. O meglio, fu una delle naturali conseguenze dei presupposti illuministici. Avrebbe potuto essere diversa, avrebbe potuto prendere altre direzioni meno sanguinarie, ma – se rimaniamo nel campo delle ipotesi – avrebbe potuto essere anche peggiore, realizzare una più vasta carneficina, riuscire a imporre più a lungo, se non definitivamente la decimalizzazione del sistema di misurazione – non solo quello spaziale metrico, ma anche quello del computo del tempo dell’anno (con l’imposizione dei decadì al posto dei giorni della settimana) e dell’ora (con ore di 100 minuti e minuti di cento secondi) – e soprattutto la decimazione della popolazione, per estirpare la mala pianta di chi solo osava pesare che si potesse continuare a misurare le settimane in sette giorni, magari chiamando i giorni con il Santo che vi era da secoli celebrato…

In ogni caso, rimanendo al dato storico, non si può negare il Terrore non sia la degenerazione del moto rivoluzionario, bensì la sua diretta e inevitabile conseguenza. Altri “Terrori” si sono succeduti ovunque si sia imposta la rivoluzione: alcuni acclarati e riconosciuti da tutti (ancorché spesso guardati con indulgenza e sostanzialmente accettati come “un male necessario per il bene del popolo”) da quello di Stalin in Unione Sovietica a quello di Pol-Pot in Cambogia; altri sono meno noti e – per quanto possibile, nascosti (come avviene con i massacri compiuti dai repubblicani in Spagna; con le epurazioni volute da Allende in Cile; con le stragi commesse dai partigiani rossi in Italia, da Porzûs al Triangolo della Morte) a meno che la matrice, pur se di fatto rivoluzionaria, non si presenti sotto le apparenti vesti della reazione fascista[5].

[1] Questo è avvenuto soprattutto nelle zone di cultura cristiana ed in particolare cattolica: una maggiore acquiescenza si è avuta nel mondo orientale (si pensi alla Cina), la cui religione tradizionale ha portato ad una accettazione quasi indolore della rivoluzione maoista.

[2] Chi propone il termine Anti-rivoluzione indica con la controrivoluzione non un pensiero assoluto, ma solo un’azione – e un pensiero – che si esprime unicamente in seguito alla Rivoluzione stessa e magari per la sola durata di essa. Il termine Antirivoluzione viene invece a coincidere con il concetto di Ordine.

[3] Si potrebbe eventualmente riscontrare un procedimento hegeliano nella triade storica Rivoluzione-Controrivoluzione-Restaurazione, essendo la pretesa “Restaurazione” del 1815 in realtà una mera conservazione dello status quo imposto dalla Rivoluzione, quindi una effettiva sintesi e non un ritorno alle origini. Peraltro va ammesso che – sempre storicamente parlando – molte cosiddette restaurazioni del XIX secolo, essendo in realtà false restaurazioni, si possono considerare come vere e proprie sintesi (in senso hegeliano).

[4] Il testo originale suona: «Al partido de 1833 le bautizaron sus instintos y se llamó moderado; al partido que nace en 1844, partido cuya vida se reconcentra en la grande idea de gobierno, le bautiza su sistema y se llama conservador: el uno estaba destinado a moderar los ímpetus de una revolución osada en sus fines y violenta en sus medios; el otro está destinado a conservar los intereses creados de una revolución consumada y reconocida». Jaime Balmes, El Pensamiento de la Nación (1844), Escritos políticos, tomo III (volumen XXV de las Obras completas), Barcelona, 1926, p. 241, cit. in Miguel Ayuso, Las murallas de la Ciudad, Nueva Hispanidad, Buenos Aires 2001, p. 124.

[5] È comunque risibile – o meglio, lo sarebbe se non si trattasse di atrocità – lo scandalo a cui si abbandonano le vestali dell’antifascismo che condannano i trenta morti causati dalla cosiddetta “rivoluzione fascista” in Italia  tra il 1919 e il 1924 (delitto Matteotti) quando non battono ciglio di fronte al fatto che nella Russia di Lenin un tal numero di assassini avveniva quotidianamente (basti pensare al massacro della famiglia dello Zar – compresi cuoco, cocchiere, cameriera e medico – avvenuta ad Ekaterinburg solo pochi anni prima).

Gianandrea de Antonellis

fonte

https://ernestoildisingannato.blogspot.com/2023/09/ordine-rivoluzione-controrivoluzione.html

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