Alta Terra di Lavoro

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RELAZIONI ISTORICHE DE’ POPOLI CICOLANI IN PROVINCIA DELL’AQUILA 1799 (III)

Posted by on Nov 5, 2022

RELAZIONI ISTORICHE DE’ POPOLI CICOLANI IN PROVINCIA DELL’AQUILA 1799 (III)

Mortalità de Francesi nel Borghetto

Dovendo dunque i Francesi ripassare per la Terra del Borghetto, tutti quei Popoli quasi guidati da una forza ignota spinsero le mani vendicatrici sopra del Nemico. Assalito questo dentro il Paese, inabilitato alla difesa, si vidde intorno la morte, che gli ruotava la sua imperdonabile falce sul capo. Le Donne, i Vecchi, i Fanciulli correvano all’assalto.

Tutti gridavan vendetta; tutti eran avidi di Sangue. I Paesi vicini della Valle di Antrodoco fino a Civita Ducale sciamavano a turme, e gl’inseguivano co’ colpi di fucili, e di pietre. Un terribile Macello fu fatto di esso: e la sola precipitosa fuga poté sottrarne il minor numero. Gli fu ritolto tutto ciò, che si era involato alle Chiese, ed alle Case. Questo esempio di prodezza dato dai Borghettani fu la molla elastica d’attività per le azioni più valorose che quindi seguirono. Tornati in Roma i Francesi pieni di scorno, e dispetto, sebene minacciassero una crudel vendetta, cominciarono a spaventarsi però alle resistenze de Popoli di Abruzzo. L’Aquila in cui era rimasta una potente Truppa faceva resistenza al nuovo ingresso delle Masse, ma era impedita però di stabilire il suo Governo Democratico nel suo Dipartimento; inasprita però di tal resistenza parte della Guarnigione si apriva delle sortite, e portava il foco sterminatore da per tutto. Le continue vittime che s’immolavano dalla lor barbarie sull’are della fedeltà cominciarono a spandere il timore, e lo spavento in tutte le Popolazioni. Le Frontiere eran minacciate dalla parte di Roma, e di Rieti in cui erano numerose forze: Tutto in somma atterriva, tutto pareva che dovesse cedere alla lor potenza. Il Cicolano, che aveva le sue Frontiere dalla parte di Rieti, Tivoli, e Roma pareva, che dovesse più di ogni altro temere. Sotto la direzione di tutti i Capimasse guidati anche dal Sig. Micarelli si ordinò di tirarsi un cordone in tutti quei luoghi, e formarsi una barriera insuperabile al Nemico in quei passi, che la natura, e l’arte avevan fortificati. Ed infatti essendo i Francesi partiti di Roma per distruggere il Vivaro lor paese ribelle, e questo confinando col Cicolano dalla parte di Peschiorochiano, che minacciavano ancora d’invadere, questi popoli avendo ciò perinteso unitisi colle forze de Marsi assalirono il nemico dentro il proprio terreno, e gl’impedirono la minacciata incursione. Prima di questo fatto è anche memorabile come fosse respinta una poderosa Armata Francese, che partendo da Rieti per la parte dell’Abbadia di S.Salvator Maggiore andasse per distruggere il Borgo S.Pietro, nella prima battaglia furono da Cicolani obligati a ritirarsi nel Poggio Vittiano, d’onde avendo subito spedito a Rieti per rinforzi, ed essendo questi venuti, riassalirono l’infelice Terra, e vi portarono i flaggelli della Guerra. I Cicolani, che non poterono soccorrere il Paese per lo svantaggio del sito, essendo piantato in una Valle spogliata da Alberi, che puol essere battuta da tutte le sommità senza poter battere, ed offender gli Nemici postati tra gli Alberi de boschi che gli sovrastano, pensarono di situarsi incontro al Borgo sull’eminenza per distogliere qualunque avanzamento, con cui minacciava non solo l’esterminio di tutto quello Stato di Cicoli, ma di aprirsi l’ingresso alla provincia uniti alla Guarnigione dell’Aquila. Lo spirito deciso de Cicolani, che gli contesero il passo, salvarono il tutto. Essi furono i primi, che colle masse di Petrella, Capradosso, Staffoli & c., scacciarono il Nemico da Antrodoco, e Civita Ducale. Essi piantarono il primo assedio di Rieti, dove fecero portenti, ed essi ebbero la maggior parte nella ricuperazione dell’Aquila. Oltre di ciò non mancarono di sempre tener guarniti i posti di Frontiera senza interessar veruno, senza metter contribuzioni, senza estorquer denaro, e vettovaglie, ma tutto a spese de propri benestanti che provvidero armi, e provisioni da Guerra, e da bocca. Non possiamo qui trattenerci di dare un giusto tributo di lode al nobile, e benemerito difensore della patria D. Tommaso Falconj de Baroni di Torre di Faglia. Questi costretto a fuggir dall’Aquila si ritirò nel Cicolano per assicurarsi dalla persecuzione Francese che lo minacciava, ed aveagli saccheggiata la Casa. Intento sempre con soccorsi pecuniarii ad attirarsi un buon numero di seguaci, si distinse pel suo spirito di Realismo e per l’avversione al sistema democratico, Ajutò, protesse, ingrandì le Masse, e cooperò ai progressi di quelle vittorie, che fecero traballare, e decadere lo stabilimento Repubblicano.

Evacuazione de Francesi dal Regno di Napoli, e
Loro seconda sconfitta per la via di Antrodoco,
e del Borghetto, memorabile ne tempi futuri.

In questo Stato di cose non potendo i Francesi, avverso al publico dissenso, e contrarietà organizzare il lor Governo, non potevano neppure aver speranza di lungamente resistere in una Città circondata da tante forze contrarie; disperati perciò uscivano quai Leoni arrabbiati ne vicini contorni, saccheggiavano, uccidevano, incendiavano, e sottomettevano violentemente alcune sfortunate Popolazioni, che il timore, e la forza non già la volontà faceva piegare. Cicoli non ebbe mai una simile disgrazia, minacciato da tutti i lati, esposto in tutta la Frontiera, poteva soccombere alla forza interna dell’Aquila, e all’esterna di Roma: ma la bravura degli abitanti, la lor fedeltà, il non esservi verun partitante nemico, fu la cagione, che non restò invasa questa contrada. Le sue genti accorrevano ad ogni chiamata. I Tornimpartesi minacciati da una aggressione nemica si raccomandarono ai Cicolani. Micarelli staccò 200 Uomini e li protesse: Ciò avvenne più volte con tutti i Popoli vicini. Dopo dunque, che i Francesi coll’ajuto anche degli Aquilani, che avevano forzati involontariamente ad armarsi ebbero sottomessi alcuni pochi Paesi lungo l’Aterno, s’intese, che le loro Armate d’Italia erano state battute in tutti i punti dal valore Austro-Russo, obligati perciò ad evacuare il Regno si restrinsero tutti quei delle tre Provincie di Abbruzzo nella Città dell’Aquila, ed accamparono fuori Porta S.Antonio. Una tal novità produsse il suo effetto negli animi benintenzionati. Si aspettava il momento di vedersi libero, si sospirava il ritorno del Legittimo Sovrano. Vennero alcuni Soldati Repubblicani, a cui fu consegnato il Castello nel dì 1° Maggio. Tutte le Masse tra speranza, e timore stavano perplesse alla vista di un formidabil Corpo di 3.500 Uomini. Si seppe che la lor partenza dovea seguire il dì seguente 2 Maggio. Le Armate sociali di Montereale, Cagnano, Pizzoli, Sassa, ed altre sotto la direzione de bravi Comandanti D.Cesare Marj, Aiutante D.Luigi Masci, D.Bernardino Marinucci, D.Giuseppe Fabrizj, D.Antonio Pavone, questi due ultimi Commissionati del S.Marchese D.Giovanni de Torres, ed altri, che più distintamente in altra opera si descriveranno, concertarono, ed eseguirono il Piano il più ben formato, che le regole militari avessero potuto immaginare. Stavano questi nel Quartiere Generale di S.Vetturino (anticamente di Amiterno) quando alle ore 10 del giorno antecedente partì la Truppa Francese dall’Aquila seguita da un numeroso convoglio Militare corrispondente ad un corpo così grande, e vincitore, che si supponeva carico di tutte le ricchezze, e preziosità tolte ne saccheggi delle Provincie: Tutti si disposero sul momento per fare una imboscata al nemico, per cui circa due cento Individui s’incaminarono sul momento per prendere una vantaggiosa posizione sulla strada, che dovea batter l’inimico, e porsi di guardia avanzata. Nella mattina giorno indicato circa le ore dieci d’Italia uscì, secondo l’avviso, l’inimico, che formatosi in Colonna regolata, e preceduto dalla Vanguardia, sfilò con tutto l’intiero equipaggio per la strada, che conduce ad Antrodoco, e Borghetto. Le guardie, che si trovavano nel posto avanzato erano a portata di osservare ogni mozione nemica; si diede sul momento avviso al Quartier Generale: subito si chiamò all’armi, e dopo essersi disposta una guardia di circa 400 Uomini in una posizione vantaggiosa, acciò fosse stata di retroguardia, e di difesa alle masse, che erano nel numero non più di 200 a marcia forzata si dettero tutti ad inseguir l’inimico. L’ardore, e la premura, con cui l’inseguivano  fece si che subito fosse raggiunto; questo vedendosi sorpreso senza curare di deviare per rinvenire il Ponte del fiume Aterno vicino a Pile si diede a passarlo a guado per esser più sollecito il camino.

In questo tempo le masse divisesi in due Colonne formarono accampamento sulle alture: rinvennero delle svantaggiose posizioni nei boschi della impietratura di S.Bernardino passata la Madonna del Piano, e di là cominciò a farsi foco sopra la retroguardia Francese. La Vanguardia, e la maggior parte della Colonna del centro si era avanzata né potea esser raggiunta dale Masse: Si pensò a tal fine di deviare per la parte del bosco nominato valle dell’Inferno, e quindi vantaggiosamente abbreviando la strada sorprendere al fianco destro il nemico, e farsi forti in quei siti, che la natura rendeva inaccessibili dalla parte della strada battuta, e coperti dai colpi micidiali, che si fossero potuti vibrare. Circonvenuta così la intiera Colonna, che stretta nelle angustie del loco non potea né agire, né offendere, si videro imminenti le sue rovine. Accelerò essa la sua marcia, e sperò di liberarsi con rinvenire un più esteso sentiere, dove potesse portarsi in guardia di difesa. Ma tutto li cospirò contro: I suoi fucili, che il continuo tempo piovoso aveva inabilitati a far foco; i boschi, che sovrastavano alla via di suo passaggio, d’onde le masse poteano offendere, e non essere offese. La costernazione universale, per cui ognuno si affrettava di liberarsi da quelle strettezze, e ognuno o si dirupava tra fossi, o stramazzava tra morti, tutto era perdita, tutto desolazione. Si mandarono da messi in Antrodoco; Questa Popolazione unita con tutte le altre della sua vallata gli uscì a fronte, e così battuti i nemici da tergo, da lati, e di faccia, tutto l’intiero corpo fu rotto, e sbaragliato: Perdé equipaggi, e Cavalli: non si salvarono che quei della vanguardia, ma la maggior parte feriti. I morti ascesero ad un numero immenso. Se ne contarono sino a 700. Pieni di timore, e delle ombre della morte giunsero i restanti in Rieti, e vi seminarono lo spavento, ed il rammarico. Questo fatto memorabile negli Annali dei Popoli si sparse per tutta l’Italia.

Ripresa del Castello dell’Aquila.

Seguita questa sconfitta quei, che prima erano stati pigri, ed inerti presero le armi, corsero all’Aquila, e volevano assalire il Castello: ma siccome tra il Generale Salomone, ed il Comandante repubblicano Peti si era fatto armistizio, così furono licenziate tutte le masse, finché non si sapesse l’esito di Napoli, restando piccola guarnigione nell’Aquila. In questo fratempo tenutosi un Congresso generale a S.Sisto nel dì 7 Maggio 1799 si mandò il Micarelli a parlamentare col Comandante, ed allora cominciò a spargere de’ semi di realismo, che nel giorno seguente essendosi quivi riportato per un nuovo abboccamento, trovò, che le sue parole non erano state infruttuose negli animi di molti repubblicani, e parea che dovessero sbucciare prolificamente. Vivea tranquillamente il Sig. Salomone nel Palazzo Vescovile, quando si vide assalito, arrestato, e portato in Castello per ordine del Comandante Petit. Questa che sembrò una disgrazia fu l’origine della liberazione dell’Aquila. Le guardie, che lo custodivano sebbene fossero al servizio della Republica Napoletana scoprì nondimeno in esse con microscopica diligenza, che ancora avevano un sensibile attaccamento verso il Sovrano, e lo spirito di Realismo. A poco a poco cominciò a fomentarli queste massime, gli ridestò i sentimenti di fedeltà, e di virtù, e li accese di amore verso la Monarchia. Tirati così molti al suo partito, questi si effusero con altri, e così di mano in mano ritornarono mercé la prudenza. E buona condotta del Generale Salomone alla dovuta obbedienza, ed alla sommissione primiera. Si concertò che fossero chiamate le Masse nel Castello, che gli sarebbero stati abbassati i ponti, tolte le chiavi alle porte ai Custodi, e voltate le armi contro i Democratici. Tutto ebbe un esito felice. Il Generale passò da morte a vita: le Masse presero il Castello, fecero prigioniera la Guarnigione, e punirono li ribelli. Questo fatto merita considerazione per l’accortezza, e maneggio con cui operò il Generale, e che fa veramente il merito del suo non mai abbastanza lodato carattere. Ritornò in tal guisa l’Aquila, ed il Castello al suo legittimo Sovrano, si ristabilì l’antico governo, cessò l’anarchia, e sotto la protezion delle leggi i Popoli non soffrirono più né l’oppressione, né il disordine.

Il Sig. Micarelli è scelto per Segretario Militare, e Politico.

Ripristinandosi l’antico Tribunale, ed avendosi in mira i tanti servigj prestati dal Sig.Ab. Micarelli a’ publici voti, e col consenso del Generale fu prescelto per suo Segretario in tutti gli affari Militari, e Politici; ed ecco brevemente tessuta l’Istoria della invasione, e della ricuperazione della Provincia dell’Aquila. Per non defraudare de’ giusti elogj tutte le Popolazioni, ci faremo un dovere di dare con una più esatta, e circostanziata relazione storiografa una testimonianza di lode a tutti i cooperatori della buona causa. Molti certamente non valeranno la pena di esser rammentati, perché non avendo avuto per oggetto la comune difesa, ma il particolare profitto, si son fatto lecito di opprimere, ed assassinare le Popolazioni, ed i particolari sotto falsi pretesti, per la sola passione dell’interesse hanno prostituito, e si sono abusati del nome del Sovrano, aprendosi così una larga miniera di oro, e di argento, e nulla curando la estirpazione del nemico.

“Auri sacra fames
Quid non mortalia pectora cogit?”

a cura di

Raimondo Rotondi

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